
Ricca e complessa, quella del vampiro è una credenza che si è mantenuta salda lungo il corso della storia umana. Ad essa, oltre a tanti motivi culturali, sono legati anche profondi significati psicologici di diversa natura. Il vampiro viene comunemente definito come un defunto che continua a vivere nella tomba, da dove esce di notte per succhiare il sangue di un vivente; in tal modo si nutre evitando la decomposizione. Ancora, secondo la tradizione, stregoni, eretici e altri reietti dopo morti diventano vampiri, come chiunque sia stato morso da un vampiro.
Tuttavia è interessante che proprio il nutrirsi di sangue compaia come un tratto tardivo nella definizione di questa creatura. L’Alp tedesco, il Drud, la Churel indiana, la Mara slava, entità notturne di natura spesso femminile, succhiano la vita giacendo con la vittima addormentata. Questo aspetto avvicina la figura del vampiro a quello dell’incubo notturno, incubus o succubus che dir si voglia, e forse proprio nel significato della parola incubo si rivela la tenace vitalità di questa figura, nonché la sua complessa ricchezza simbolica. La radice indo-europea MR, da cui mare e nightmare (incubo appunto), significa sottomettere, schiacciare, logorare, esaurire, consumare ma anche legare, ridurre in catene e infine morire; entità oppressiva che schiaccia il dormiente inerme.
Non sorprende allora che al di là del suo nutrirsi di sangue il vampiro sia anche definito come tiranno oppressore del popolo, un amante morboso dal quale siamo attratti e insieme respinti. Infine, nelle versioni più moderne e avvedute, il vampiro è un cadavere che suscita l’attenzione della popolazione in circostanze di crisi, e viene considerato la causa di quella medesima crisi.
Tra letteratura, cinema e serie TV
Reso popolare nella letteratura di genere, il vampiro ha poi trovato nelle produzioni audiovisive – cinema e serie TV – il suo sviluppo più fecondo insieme ad altri mostri classici come Frankenstein e il lupo mannaro. Il 2025 si è aperto con il discusso remake cinematografico di Nosferatu ad opera del maestro dell’horror psicologico Robert Eggers, mentre a ottobre sarà la volta di Luc Besson e del suo Dracula. L’amore perduto, che per quanto si può intuire sembra essere un remake diretto del Dracula di Francis Ford Coppola del 1992.

Ma Eggers e Besson rappresentano solo la punta dell’iceberg delle produzioni che coinvolgono i vampiri al cinema e non solo. A questi, in virtù del fatto che la natura profonda del vampiro non è solo legata al consumo di sangue, bisogna aggiungere quelle pellicole che rileggono il tema del vampirismo in modo straniante e originale. Solo due casi recenti come esempio: il disturbante e glitterato body-horror The Substance e il meno recente ma importante Get Out di Jordan Peele, regista afroamericano che si è confermato come uno fra i più intelligenti interpreti del cosiddetto afro-horror.
Il riferimento a Peele non è casuale se si pensa che anche questa primavera è stata segnata dall’inaspettato e clamoroso successo di un film horror sui vampiri, proprio di un regista afroamericano: Ryan Coogler, già resista di Creed e Black Panter. Il suo I Peccatori (The Sinners), uscito nelle sale italiane il diciassette aprile, è infatti un afro-horror, cioè un film che racconta storie fantastiche per immaginare un rapporto diverso tra la società e gli afroamericani o esprimere una critica rispetto a tematiche quali integrazione e diritti.

Il film di Coogler è stato il migliore debutto di un film originale dal 2019, quando proprio Jordan Peele incassò 70 milioni di dollari con Us. I Peccatori ha poi superato anche un altro film di Peele, Nope, come miglior debutto di un film originale dall’inizio della pandemia di Covid-19. La pellicola è diventata l’unico film horror in oltre 35 anni a vantare il più alto indice di gradimento del pubblico dopo le prime proiezioni nelle sale.
Il film
Il primo aspetto interessante del film di Coogler, infatti, è quello di essere una sceneggiatura originale, che mette così in discussione quello che è diventato un luogo comune a Hollywood, l’idea cioè che il pubblico non sia interessato a storie che non siano sequel, spin-off o remake. Tuttavia, l’aspetto più interessante del film è la componente di critica culturale fatta per mezzo della figura del vampiro.
Il film si apre nel Mississippi del 1932, durante la segregazione razziale, e segue le vicende dei gemelli Smoke e Stack (entrambi interpretati Michael B. Jordan), due reduci della prima guerra mondiale che tornano nel loro paese natale dopo aver lavorato come gangster per Al Capone a Chicago.

Il loro scopo è quello di aprire un juke joint, un locale notturno per afroamericani, ma durante la notte dell’apertura le cose non vanno come dovrebbero e i due, insieme a qualche avventore sopravvissuto, dovranno fare i conti con un gruppo di vampiri che prova a invadere la loro nuova attività.
Tra i protagonisti va menzionato anche il giovane cugino dei due gemelli, Sammie «Preacher Boy» Moore, figlio di un predicatore ma poco interessato alla religione e talentuoso interprete della chitarra blues. La notte dei vampiri rappresenterà per lui una sorta di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, ma anche la totale rottura con la comunità cristiana guidata dal padre.
Il gioco dei dominanti
Dal punto di vista formale I Peccatori richiama immediatamente un altro memorabile film di vampiri, Dal tramonto all’alba: anche qui due fratelli (criminali in fuga) dovranno sopravvivere a una notte in un locale notturno gestito da vampiri. Va subito detto però che I peccatori non raggiunge il livello di grottesca follia della pellicola di R. Rodriguez, che rimane un punto di riferimento dell’horror pulp a tinte sovrannaturali.

Tuttavia, la forza della pellicola di Coogler sta nel sottolineare la crisi ancora aperta tra la cultura nera e il mondo dei bianchi. In questo senso la scelta simbolica del vampiro come nemico da combattere non poteva essere più azzeccata. Il capo dei vampiri – un uomo bianco – promette pace, vita eterna, fine delle sofferenze e invita i protagonisti ad unirsi alla sua famiglia. Per Coogler il vampiro diventa così il simbolo dell’assimilazione, della negazione delle differenze, il tentativo di trasformare gli individui in una massa controllabile, imponendo a questi ultimi gli stessi bisogni.
In questo senso anche la religione cristiana viene messa in discussione come elemento di dominazione culturale imposto alla comunità nere dall’oppressore bianco, ed è interessante che proprio i vampiri siano immuni alle tradizionali pratiche di contenimento come crocefissi e preghiere.

In un momento cruciale del film, il Padre Nostro recitato da «Preacher Boy» come ultimo tentativo per salvarsi – ma anche ultimo ostacolo per abbracciare nuovamente le sue radici – risulta inutile contro la minaccia del capo dei vampiri. Solo la compagna di Smoke sembra sapere come affrontare le creature: è infatti esperta nelle pratiche di magia tribale e nella creazione di amuleti, unici orpelli capaci di respingere efficacemente l’attacco dei mostri.
Coogler sembra trovare nella musica Blues, la musica autenticamente nera, il vero elemento identitario delle comunità nere in America: la musica di «Preacher Boy» sarà capace di diventare mediatrice tra il mondo dei vivi e quello dei morti e costruire un ponte tra passato e futuro. Di forte valore simbolico a tal proposito è la scena in cui il ragazzo, sopravvissuto alla notte dei vampiri, nonostante l’abbraccio del padre durante la celebrazione domenicale non riesce a lasciare il manico della chitarra spezzata in favore di una salvezza nella quale non crede.

Infine è molto interessante che proprio i gemelli Stack e Smoke siano i portatori della disgrazia sulla comunità. Sono reduci di guerra, contaminati dal morbo della civiltà bianca fatta di corruzione e potere, perpetrato con denaro e violenza. Tuttavia è chiaro che per Coogler assimilazione e reciproca contaminazione sono alla fine inevitabili e che la convivenza è possibile e anche proficua a patto che l’uomo bianco sappia contenere la sua fame insaziabile. [1]
Fenomeno culturale
I peccatori non è un film memorabile, ma nonostante le apparenze la pellicola di Coogler gioca sapientemente su diversi registri culturali e simbolici, riscrive la figura del vampiro e ne utilizza il valore di creatura oppressiva e tirannica come immagine del giogo imposto da una civiltà dominante nei suoi tratti peculiari: denaro e religione. Una pellicola che è diventata velocemente un vero e proprio fenomeno culturale negli Stati Uniti e che, viste le questioni sollevate, non è da sottovalutare.
[1] In questo senso il regista gioca abilmente con le figure dei gemelli Stack e Smoke che devono essere considerati come i due versioni dello stesso personaggio.





