La causalità, da Rosmini all’intelligenza artificiale

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Il recente libro di Marco Staffolani, Il principio di causalità. Antonio Rosmini e la metafisica agapica (Edizioni Studium, 2020), avendo come punto di riferimento il pensiero rosminiano, avvia una profonda riflessione sul tema della “causalità”, ricomprendendola nel crocevia dei saperi all’interno di una metafisica agapica. Questo tema assume un rilievo notevole per il nostro mondo neo-moderno, come evidenzia Giuseppe Lorizio nella prefazione: «spunti di notevole interesse a questo riguardo, vengono messi in campo allorché si affronta la tematica della tecnologia e del rapporto uomo/macchina» (p. 14).

La causalità nell’era dell’intelligenza artificiale, ovvero la causalità delle macchine calcolanti, viene declinata dallo Staffolani come causalità impersonale, programmata e reificatrice, in contrapposizione ai tre aggettivi rosminiani di una causalità personale, libera e finalistica (cfr. p. 436). Proviamo a chiarire meglio di cosa si tratta.

Nelle macchine calcolanti la causalità si presenta in modo frantumato, mancante di un senso unitario e, per via della complessità algoritmica, non comprensibile dall’essere umano. Quest’ultimo aspetto è stato evidenziato con chiarezza nelle riflessioni etiche e filosofiche sull’intelligenza artificiale (IA). Gli algoritmi di apprendimento automatico (machine learning), dove la molteplicità di dati e di variabili in gioco viene analizzata attraverso tecniche statistiche e probabilistiche, conducono a decisioni che gli esseri umani dovranno attuare senza spiegazioni adeguate. Non basta dare risposte con una elevata percentuale di affidabilità, occorre anche offrire le motivazioni che hanno prodotto le decisioni conclusive. In tal senso, i ricercatori dell’IA stanno cercando di equipaggiare i sistemi cosiddetti sub-simbolici del machine learning e del deep learning (basato su una struttura stratificata, profonda, di reti neurali) con gli approcci simbolici basati sulla logica matematica e sulla rappresentazione della conoscenza oppure con la costante interazione con l’essere umano.

Come recentemente evidenziato da Luigia Carlucci Aiello, pioniera dell’IA in Italia, si tratta di accogliere un cambio di paradigma: dai sistemi autonomi ai sistemi semi-autonomi, dove appunto la macchina non è abbandonata a se stessa (al suo programma) o, forse sarebbe meglio dire, dove l’essere umano non è sottomesso in toto al giudizio dell’agente artificiale, piuttosto la causalità impersonale e programmata della macchina è costantemente rilanciata e reindirizzata dalla causalità personale e libera dell’essere umano.

A nostro modo di vedere, non si tratta soltanto di riparare, attraverso l’intervento umano, gli eventuali errori o bug presenti nella fase di programmazione della macchina. Piuttosto la programmazione, nella sua chiusura statica, necessita di una novità creativa che solo la ragione umana può offrire. La macchina non apporta una reale novità nel mondo, la sua, potremmo dire, è un’essenza statica e fissa, definita completamente dal suo algoritmo, mentre l’essere umano è essenzialmente dinamico, la sua essenza è pro-tensione all’oltre, auto-trascendimento, ec-centricità.

Accogliere il paradigma dei sistemi semi-autonomi nella ricerca verso una IA Generale significa riconoscere la causalità reificatrice della macchina calcolante, radicalmente incapace di realizzare i fini dell’essere umano. Questi fini diventano comprensibili soltanto nella vicinanza “sensibile” all’essere. Teologicamente, diremmo, che solo nell’intercettare la voce dell’Infinito, dell’Eterna Novità che è Dio, l’essere umano scopre i propri fini in questo mondo, che non sono mai qualcosa di semplicemente già dato, ma hanno a che fare con la vocazione e la missione che l’essere umano realizza all’interno delle vicissitudini storiche, permettendo l’incedere di quella novità creatrice, che pervade il cosmo e, in modo tutto particolare, l’essere umano. A questa novità hanno bisogno continuamente di accedere i sistemi di IA, per essere anche essi redenti dall’azione salvifica posta da Dio nelle mani e nell’intelligenza, non artificiale, ma agapica dell’essere umano.

In tal senso, Staffolani mostra come sia possibile compiere un passo “oltre Heidegger”, nel senso di prendere seriamente in considerazione l’analisi heideggeriana della tecnica, dunque senza negarne tutta la sua potenza nientificatrice, ma intravedendo nel fondo dell’abisso di questo nulla compulsivo del fare e del trasformare dispoticamente la realtà, una luce in grado di redimere la stessa tecnica: «la tecnica, depurata dai suoi eccessi oggettivanti e posta in riferimento al volere del Creatore, può essere vista come un dono al pari della libertà stessa» (p. 439). La tecnica (per la tecnica) è infatti destinata a perire, in quanto, come avvertiva Emanuele Severino, l’incremento infinito della propria potenza perseguito dalla tecnica può sopravvivere soltanto nell’annullamento di ogni verità incontrovertibile. Tuttavia, l’approdo al divenire come nulla o all’eternità di ogni ente, non è l’unica possibilità metafisica razionalmente valida, ma dipende essenzialmente da una libera scelta di fede “filosofica”. All’interno di una metafisica agapica, la causalità tecnica non è più nemica dell’umanità, perché il principio agapico dell’Essere non lascia mai nel nulla il divenire, ma lo trasforma verso una pienezza relazionale nell’Essere/Agape.

Da una prospettiva teologica, il nichilismo presente nella tecnica, ed anche nella libertà umana non è dovuto ad una visione pessimistica del mondo, ma è piuttosto da inquadrare in ciò che la fede cristiana indicava come “stato decaduto” del vecchio mondo. Nel mondo ferito dal peccato, sia la tecnica che la libertà sono destinati alla schiavitù del peccato per via della separazione dalla Fonte sorgiva dell’agape, ma come la libertà umana viene redenta nella passione, morte e risurrezione di Cristo, Logos/Agape incarnato, in modo analogo la stessa tecnica partecipa a questa nuova creazione e viene redenta da Cristo. Anche la tecnica in Cristo ha compiuto la sua Pasqua, passando dalla morte alla vita, divenendo “strumento nuovo” nelle mani dell’“uomo nuovo”. Come osserva lo Staffolani, la tecnicizzazione dell’umano non può attuarsi senza una più fondamentale e primaria umanizzazione della tecnica, perché «solo in questo modo la tecnica può diventare feconda, lasciandosi plasmare dalla causalità esemplare umana, mettendosi a suo servizio, senza distruggere e senza snaturare il connubio umano di carne e spirito» (pp. 465-466). Come in Cristo siamo nuove creature, così nell’uomo ri-creato, la tecnica si umanizza.

Marco Staffolani, Il principio di causalità. Antonio Rosmini e la metafisica agapica, Studium, Roma 2020, 512 pp., 33,00 euro.

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