Chiesa indiana, aria di scisma?

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La messa rivolti verso il popolo o con le spalle ad esso? La domanda ha suscitato nella Chiesa siro-malabarese un profondo conflitto, tanto che l’inviato del papa è stato addirittura bersagliato da uova. L’esperto ecumenico Martin Bräuer non ritiene irrealistico uno scisma e ne spiega i perché.

Celebrare rivolti verso il popolo o avendolo alle spalle? Questa problema ha suscitato nella la Chiesa siro-malabarese in India un profondo conflitto. L’inviato del papa è stato addirittura bersagliato con uova. Domenica 20 agosto è scaduto l’ultimatum vaticano per avere chiarimenti. Prima, Roma aveva addirittura minacciato la scomunica. L’esperto Martin Bräuer non ritiene irrealistico uno scisma e ne spiega le ragioni che stanno dietro.

– Signor Bräuer, come mai ci sono comunità cristiane in India?

Le comunità cristiane in India esistono fin dai primi secoli. I cosiddetti “cristiani di Tommaso”, che vivono in gran parte nell’attuale stato del Kerala nel sud dell’India, ma ora sono sparsi un po’ in tutto il mondo, si ricollegano alla prima missione dell’apostolo Tommaso. La sua tomba è venerata oggi a Chennai (stato del Tamil Nadu). I Padri della Chiesa parlano dei cristiani in India già dal IV secolo. Ma essi sono cresciuti in modo autonomo.

Avendo avuto pochi contatti con i cristiani dell’impero romano e anche con quelli che vivevano nell’impero persiano e accanto a paesi in mano all’islam, essi hanno avuto uno sviluppo indipendente. Hanno vissuto una vita ecclesiale autonoma, nella quale furono integrati anche molti elementi indiani, in comunione con il Catholicos d’Oriente – il capo della “Chiesa d’Oriente” siro-orientale – che esisteva già al di fuori dell’Impero Romano. Da essa hanno ereditato il rito siro-orientale.

Quando i portoghesi arrivarono in India, nel 1498, alla ricerca di nuove rotte commerciali, trovarono alcuni cristiani.

Dopo un primo tempo felice, iniziò una latinizzazione durata secoli, soprattutto dopo il Concilio di Trento. Prima avevano vissuto una vita ecclesiale largamente indipendente, poi sono stati latinizzati e costretti ad esserlo. Era inevitabile che sorgessero dei conflitti.

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– Se uno va alla messa da loro, può paragonarla a quello che trova in una messa cattolica o anche ortodossa nel mondo occidentale?

Innanzitutto bisogna dire che la Chiesa siro-orientale non appartiene alle Chiese ortodosse bizantine (ad esempio, alla Chiesa ortodossa russa) e nemmeno alle antiche Chiese orientali (come la Chiesa apostolica armena o la Chiesa copta), ma che si è sviluppata dall’odierna “Chiesa assira d’Oriente”, che si separò nelle dispute cristologiche già nel 431 d.C. in occasione del Concilio di Efeso.

La loro liturgia è più semplice di una liturgia russo-ortodossa. Tuttavia, ha alcune caratteristiche speciali: ad esempio, utilizza la cosiddetta anafora di Addai e Mari, che non recita le parole dell’istituzione dell’eucaristia, ma descrive in maniera narrativa gli eventi del Cenacolo. Nel corso dei decenni furono fortissime le pressioni, sotto il “Patroado” – cioè il dominio portoghese – anche in materia ecclesiastica, per latinizzare la liturgia o per adattarla ai costumi latini.

Si arrivò al punto che, nel 1599, al Sinodo di Diamper, l’arcivescovo di Goa, guida della Chiesa nominato dai portoghesi, impose di usare solo libri liturgici che fossero in parte o largamente conformi a quelli latini. Ciò suscitò ovviamente proteste e fu allora che, nel 1653, al cosiddetto giuramento sulla “Croce Pendente di Cochin” dichiararono: ci separiamo dai latini e, soprattutto, non accetteremo più un vescovo gesuita. Questo fu l’inizio della scissione in diverse denominazioni dei “cristiani di Tommaso” che vediamo oggi espresse in sei o sette forme.

– Ci sono gli ortodossi, c’è una Chiesa autocefala, ci sono i siro-malabaresi che sono uniti a Roma. E i numeri? Se parliamo dei siro-malabaresi, ora in conflitto con Roma, si tratta di un’arcidiocesi di 650.000 abitanti. In un subcontinente di oltre un miliardo di abitanti non è un grande gruppo.

No, bisogna separare i “cristiani di Tommaso” anche dagli altri cristiani indiani, le cui origini risalgono a successivi sforzi missionari. I “cristiani di Tommaso” sono concentrati nello stato indiano meridionale del Kerala. Un tempo si chiamava Costa del Malabar, da cui deriva il nome.

I “cristiani di Tommaso”, secondo le stime, comprendono circa 7 milioni di credenti. Di questi 7 milioni, circa 4 milioni sono siro-malabaresi, e costituiscono la più grande Chiesa dei “cristiani di Tommaso”. Secondo il diritto canonico, è considerata una Chiesa orientale cattolica indipendente, una cosiddetta Ecclesia sui iuris. Esiste anche un equivalente della Chiesa siro-malabarese da parte della “Chiesa assira d’Oriente”, e soprattutto c’erano ancora approcci ai cristiani siriaci occidentali, che oggi si definiscono siro-ortodossi.

Ci sono due Chiese: una parte appartiene al patriarca di Antiochia, al patriarca siro-ortodosso di Damasco, e una parte si è separata dal patriarca di Damasco ed è indipendente. Esiste, infine, una Chiesa cattolica orientale separata di rito siro-occidentale, che è anche un’Ecclesia sui iuris, cioè la Chiesa cattolica siro-malankarese. Quando, in seguito, arrivarono gli inglesi, ci fu anche un piccolo gruppo che si avvicinò alla Chiesa anglicana.

Era la fine del 19° secolo e si chiamavano “Chiesa di Mar Thoma”. È un gruppo molto interessante. Dall’esterno sembra una Chiesa ortodossa, ma mantiene il rito anglicano. Rimane il fatto che la Chiesa siro-malabarese è la più grande dei “cristiani di Tommaso”, ed è anche la seconda Chiesa orientale più grande unita a Roma dopo quella ucraina.

– Se dovessimo andare alla loro messa o se guardassimo i loro paramenti, come potrei immaginarla?

Il rito siro-orientale è in realtà un rito relativamente semplice. Non è così complesso come, ad esempio, il rito bizantino-ortodosso. A questo proposito, le chiese non sono così riccamente adornate come le chiese ortodosse greche o russe. La forma liturgica principale, che è l’equivalente della messa della Chiesa latina, è chiamata “Qurbana”. I paramenti sono leggermente diversi. Ci sono anche forme tipiche indiane. Non si troveranno da nessun’altra parte.

Ci sono anche abiti indiani ad essere indossati. Nella messa vengono indossati paramenti simili al piviale usato in Occidente. Celebrano le funzioni religiose con questi paramenti. Altrettanto si deve dire dei vescovi. Anche i vescovi hanno una mitra, che è relativamente simile alla mitra occidentale, anche se non identica.

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– Ora proprio questi cristiani sono in conflitto con Roma a causa di una disputa liturgica che dura da anni. Di cosa si tratta?

Nel lungo periodo di latinizzazione, la liturgia si è avvicinata molto all’Occidente. Solo nel 1934 papa Pio XI ha detto: voi dovete avvicinarvi al vostro vecchio rito, il rito ancestrale. Questo processo è iniziato e terminato negli anni ’80, quando furono pubblicati i nuovi testi nel rito siro-orientale della “Qurbana”.

È qui che si è accesa la discussione. Fino ad allora, c’erano liturgie indiane che si erano fortemente inculturate. Adesso si dovrebbe improvvisamente tornare all’antico rito, dal quale ci si era allontanati per secoli. Da quel momento sono sorti i problemi.

– La disputa riguarda la direzione verso cui viene celebrata la messa, se rivolti alla comunità oppure all’altare. Questo dibattito è familiare anche nella Chiesa cattolica.

Il punto è che il rito siriaco orientale – vale a dire il rito originale – era rivolto verso l’altare. A causa della progressiva latinizzazione si è sviluppata anche una forma rivolta alla comunità. La discussione all’interno di questa Chiesa si protrae da molto tempo.

Al Sinodo dei vescovi della Chiesa siro-malabarese (2021) è stato scelto un compromesso per il quale la prima parte, quella che negli ambienti cattolici latini viene chiamata “Liturgia della Parola”, viene celebrata rivolti al popolo, versus populum. Poi il sacerdote si gira e continua la celebrazione con le spalle ai fedeli, cioè versus Deum. Questo compromesso è stato approvato dal papa, ma non tutti lo accettano. I tradizionalisti dicono che dobbiamo sempre celebrare versus Deum, mentre le posizioni più aperte e liberali dicono che si deve celebrare rivolti alla comunità.

Può succedere che ora una parte si separi o che un’altra diventi indipendente. Il pericolo c’è. Aspettiamo e vedremo.

– Spesso accade che tali controversie non riguardino questioni sostanziali, quanto piuttosto problemi di identità, di cultura, di conflitto tra gruppi diversi. È possibile fare una classifica? Perché questo argomento è così importante tanto che l’inviato del papa, l’arcivescovo Cyril Vasil della Slovacchia, che è stato mandato con l’incarico di rimettere ordine, è stato bersagliato da uova?

È un gesuita e anche il papa è gesuita. E poi invia un vescovo bizantino. La Chiesa siro-malabarese comprende fondamentalmente due gruppi con determinate identità etniche. Coloro che vivono più a sud dello stato del Kerala sono chiamati Kananiti, perché sono riconducibili ad un mercante ebreo-cristiano di Cana di Galilea che vi si era stabilito con un gruppo di seguaci e con una liturgia siro-orientale.

Questi cristiani, dal punto di vista sociale, vivono molto per sé stessi, completamente isolati e si sposano solo tra di loro. E poi ci sono i settentrionali provenienti da altri contesti. Non so dire se ciò abbia a che fare con il nostro problema. Bisogna considerare che entrano in gioco anche molte identità etniche. Ho l’impressione che si tratti anche della questione dell’inculturazione: quanto possiamo introdurre elementi indiani e quanto siamo indipendenti rispetto a tutto ciò? Dobbiamo continuare a chiedere a Roma?

– Quindi bisognava evitare che, dall’esterno, venissero a dire come bisognava celebrare, perché ciò viene collegato al periodo coloniale e a tutto quello che hanno vissuto negli ultimi secoli?

Si tratta di un ordine dall’alto, del papa, di ritornare all’antico rito, anche se esso, nel frattempo, si era evoluto e sviluppato. E poi è difficile tornare indietro e rinunciare alle identità. Più o meno, la stessa cosa accadrebbe anche oggi, se dovesse dire, ad esempio, a una comunità cattolica romana in Germania che deve assolutamente osservare di nuovo il rito tridentino!

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– Ma è difficile capire perché la questione venga discussa in modo tale che l’inviato del papa cada in ginocchio e implori la gente: per favore attenetevi a ciò che dice Roma. E poi che gli vengano scagliate contro bottiglie e uova.

È così da molto tempo. Qualche tempo fa le foto dei cardinali venivano bruciate sovrapponendole a pupazzi di paglia. Una era del card. Sandri, ex prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, e l’altra dell’arcivescovo maggiore George Alencherry, anch’egli non esente da polemiche, soprattutto per problemi finanziari. Mentre per la questione del cardinale si è trovata una soluzione, per le questioni liturgiche l’insoddisfazione è ancora molto forte.

– Come andrà a finire? Nei giorni scorsi il confronto ha raggiunto il livello più alto. Il Vaticano ha detto: se non rispettate la nostra decisione, sarete scomunicati come comunità cristiana. Qualche anno fa si è verificata una situazione analoga in Nigeria. È un pericolo reale?

Il rischio esiste. I “cristiani di Tommaso” hanno una lunga storia di divisioni. Di tanto in tanto, anche in passato ci sono state separazioni, ma non sempre si sono protratte nel tempo. Ci sono state delle divisioni, delle separazioni da Roma. Quando sono arrivati i portoghesi, anche se non c’era stata una presa di posizione ufficiale, ci si sentiva uniti e legati a Roma.

Poi sono avvenute altre divisioni, seguite da altre riconciliazioni. Può succedere che una parte si separi o che una parte diventi indipendente. Non so come andrà a finire tutto questo. Sono però molto sorpreso dai toni molto aspri che ha assunto l’intera vicenda.

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5 Commenti

  1. Giuseppe 29 dicembre 2023
  2. Umberto Masperi 21 dicembre 2023
  3. Antonino 6 settembre 2023
  4. adriano bregolin 5 settembre 2023
  5. Giovanni Polidori 4 settembre 2023

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