Bologna: 40 anni di diaconato

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La Chiesa bolognese lo scorso 18 febbraio ha ricordato i suoi primi diaconi permanenti ordinati nel 1984. Son passati quarant’anni da allora e nel Convegno “Vocazione al diaconato oggi” tenutosi nell’Aula Magna del Seminario arcivescovile di Bologna sono stati tracciati alcuni riferimenti interessanti a partire dal saluto che mons. Ottani ha fatto anche a nome dell’arcivescovo Zuppi, ricordando come il diaconato sia oggi sempre un’esperienza nuova per la crescita della comunità.

In diocesi i diaconi permanente oggi sono 160. Di questi, 101 hanno partecipato a un’indagine conoscitiva promossa dall’équipe formativa guidata da don Angelo Baldassarri. La maggioranza dei diaconi intervistati pari al 59,4% ha un’età compresa tra i 50 e i 69 anni; una piccola parte è più giovane, mentre il 36,6% ha tra i 70 e i 79 anni; un’altra piccola percentuale è data dagli over 80.

Sono nei primi anni di ministero, fino a 10 anni, il 38%; il 35% tra gli 11 e i 20 anni; seguono il 16% degli ordinati dai 21 ai 30 anni e, infine sono l’11% i diaconi tra i 31 e i 40 anni di ordinazione. La stragrande maggioranza sono coniugati (91%). La restante parte sono o celibi o vedovi. Il 63,7% ha due o tre figli; il 16.2% ha un solo figlio/a e il 14,1% quattro o più figli. Alcuni non hanno figli. Poco più del 70% sono pensionati mentre i restanti sono tutti occupati.

Una buona parte, oltre il 70%, presta il proprio servizio in parrocchia e/o in zona pastorale. La parte restante sia in parrocchia sia in diocesi. A nome della diocesi, un terzo dei partecipanti all’indagine, presta anche servizio in attività caritative e un altro terzo circa negli ospedali.

In parrocchia, la quasi totalità non solo si impegna nel servizio liturgico (presiedendo la liturgia della Parola nelle esequie, celebrando i battesimi in percentuale maggiore e in altri servizi propri del diacono), ma anche nell’annuncio e nella catechesi e – come detto – per il territorio diocesano, ci si conferma in ambito caritativo. I diaconi si sono detti sostenuti nel loro servizio principalmente dalle proprie mogli e dalla comunità, ma anche il parroco, gli altri diaconi e il vescovo contribuiscono in misura diversa al loro essere diaconi.

Le testimonianze di tre diaconi, di cui una proprio di quel 18 febbraio 1984, hanno dato ancora più vita ai dati raccolti.

Assestamenti

Mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena e Carpi, è stato il relatore principale in questo pomeriggio di valutazioni sui 40 anni di diaconato bolognese, consegnando per l’occasione alcune sue riflessioni ai presenti che riportiamo in sintesi.

Prendendo spunto dal principio enunciato da papa Francesco che «la realtà è più importante dell’idea», si è detto convinto che la figura del diacono si assesterà ancora, un po’ alla volta. Troppo a lungo il suo ministero è stato assente dalle comunità cristiane prima del Concilio Vaticano II e la sua presenza oggi è una risorsa missionaria che richiama l’originaria vocazione della Chiesa, non per la conservazione di ciò che è, ma per ciò che esso può sempre divenire nel servizio alla Parola.

Il diaconato, quando è stato ripristinato, non aveva come scopo quello di sopperire alla crisi dei presbiteri, ma anzi, viene ricostituito nel recupero delle fonti antiche e, specificatamente, il diaconato tipico è proprio quello permanente (non quello transeunte!), tanto che l’aggettivo “permanente” non dovrebbe essere proprio necessario quando se ne parla.

Nella costituzione dogmatica della Chiesa Lumen gentium al numero 29 è evidente che, nel ristabilimento del ministero, vi è non il motivo funzionale ma quello simbolico, come atto di fede ministeriale che c’era agli inizi e che anche oggi è necessario per dare spazio allo Spirito per davvero. Tuttavia – prosegue Castellucci – il rischio di supplenza alla carenza di presbiteri, rimane.

Un verbo attivo

L’arcivescovo di Modena e Carpi ha poi proseguito accennando all’esercizio specifico del diaconato. Il Nuovo Testamento parla del servire e del servitore, non del diaconato.

Gesù è il servo (Mc 10,45); Gesù capovolge i criteri mondani di guida e si mette il grembiule (Gv 13). Con il grembiule appare chiaro come il potere in sé non sia cosa cattiva. Ma il potere cristiano è il potere di servire. Il trono del mondo per i cristiani deve lasciare lo spazio al catino che usa Gesù. Ministero=farsi meno.

La Chiesa riceve lo stesso compito. Anche Paolo sceglie per sé questa definizione: servo di Cristo (Fil 1,1; 1Tim 3; Rom 16,1). La diaconia è uno stile, lo stile di Gesù; il diacono per la Chiesa è la figura che custodisce il servizio. A questo ministero è affidato un compito efficace: la testimonianza come compito personale perché il diacono si chiama come uno dei nomi di Gesù. Così il diacono è colui che suscita il senso del servizio, soprattutto verso coloro e verso ciò che nessuno vuole fare. In altre parole, il diacono sventa i tentativi di imborghesimento della comunità cristiana. Cristo glorioso va bene a tutti; Cristo servo, no.

Ministero di soglia

Mons. Castellucci ha continuato nell’esposizione dei suoi spunti, facendo passare in maniera semplice e immediata contenuti studiati, vissuti, pregati personalmente. Ha evidenziato come nel diaconato c’è una prospettiva di “soglia”, riprendendo in tre passaggi la figura e la presenza del diacono durante la celebrazione eucaristica.

L’annuncio del Vangelo è per tutti un’azione di soglia, è l’essenza della missione. Il diacono proclama il Vangelo. Il diacono traferisce la pace. Un segno antichissimo di condivisione che significa tutte le implicanze che il gesto in sé contiene. Il diacono poi, nel congedo finale “andate in pace”, indica e invita tutti alla missione dopo aver condiviso la mensa della Parola e del Pane.

Don Erio ha proseguito dicendo che, oltre al suo essere soglia (sociologicamente è un laico; sacramentalmente fa parte del clero), il diacono è un po’ la sveglia della comunità; deve essere, come la sveglia al mattino appunto, scomodo, un po’ fastidioso.

L’intervento del vicepresidente della Cei si è concluso con le risposte alle domande di alcuni dei presenti, non senza ricordare che c’è una vocazione di tutti alla diaconia e di alcuni al diaconato e che il diaconato è un dono alla Chiesa, le cui potenzialità ancora sono da esprimere.

Verso dove?

Senza saziare ma nutrendo, mons. Castellucci ha seminato degli stimoli per far germogliare queste potenzialità da esprimere, a partire dai contenuti passati in queste righe a mo’ di appunti. Alcune considerazioni potrebbero diventare anche principio di confronto per continuare a dire la vocazione al diaconato incarnato nell’oggi.

Questi appunti appaiono come cose preziose antiche e nuove, tirate fuori dal tesoro del Regno da mettere continuamente in atto, a partire da un linguaggio che avrebbe bisogno di essere aggiornato. Non è un problema semantico usare permanente o meno, perché una visione di Chiesa si esprime anche attraverso le parole che raccontano contenuti e significati.

In una visione post-conciliare, sarebbe opportuno considerare come alcuni termini tipo gerarchia, grado, ordine (…), possano lasciare ancora più spazio a collegialità, ministero, carismi (…) per contribuire ulteriormente ad un’idea pratica di sinodalità, per esempio, richiamando anche ad alcuni aspetti delle prime chiese.

La Chiesa come casa, più volte evocata da mons. Zuppi arcivescovo di Bologna, non ha un padrone, ma tanti servitori. Con i termini, le azioni rappresentano l’identità delle nostre comunità, dove tutti sono chiamati a servire secondo il proprio ministero (v. il farsi meno ed esercitare il proprio potere) e il diacono in questo è chiamato, secondo la propria vocazione e la capacità del singolo e dalla comunità di appartenenza, a testimoniare il servire.

L’immagine della soglia indica un passaggio, un attraversamento, se vogliamo anche una specie di ponte, un raccordo; il senso di un limite, di un margine, come una spinta profetica che raccolga l’idea di frontiera non come recinto per delimitare, ma come spazio ulteriore da scoprire, un ulteriore da trovare insieme.

Per cercare e trovare le potenzialità da esprimere con l’aiuto della vita concreta della comunità dei credenti e non, insieme all’esperienza vissuta dei diaconi, insieme ai teologi, agli esperti di Scrittura, potrebbero incontrarsi ogni tanto e offrire coraggiosamente sentieri profetici da intraprendere.

Per una Chiesa millenaria, 40 anni sono pochi e tante cose sono ancora da dire, fare, svelare ed essere più missionari oggi.

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