Onore e onere del diaconato

di:

diaconato

In un’intervista dell’ottobre 2023, il cardinale Robert McElroy di San Diego e il cardinale Blase Cupich di Chicago hanno affermato che l’Assemblea generale del Sinodo sulla sinodalità ha sollevato la questione del “re-immaginare” o della “revisione” del diaconato nel suo complesso. È proprio una “revisione” di questo tipo che molti storici e teologi del diaconato si sono impegnati a fare da molti anni, per cui è incoraggiante sentire due leader ecclesiastici di spicco esprimere questo punto di vista.

In particolare, i cardinali Cupich e McElroy hanno sollevato la questione se sia ancora necessario o addirittura auspicabile ordinare i seminaristi al diaconato prima dell’ordinazione al presbiterato. Questo suggerimento non è nuovo. Voglio offrire alcune motivazioni per cui l’eliminazione del diaconato per i futuri preti (quello che altrove ho definito un “modello di apprendistato” del diaconato) non solo è possibile, ma anche necessaria per immaginare un diaconato maturo e pienamente formato per il futuro.

A titolo introduttivo, va ricordato che nella Chiesa antica e altomedievale l’ordinazione diretta era comune, mentre l’ordinazione sequenziale secondo il modello del cursus honorum rappresenta uno sviluppo successivo a livello regionale. Questo sistema di “ascesa nei ranghi” è stato rinnovato e semplificato su richiesta dei vescovi durante il Concilio Vaticano II e attuato da papa Paolo VI nel 1972.

Va notato che questi cambiamenti riguardano il rito latino della Chiesa. Il rito della tonsura (che introduceva un candidato nello stato clericale e lo rendeva idoneo a ricevere la successiva ordinazione) fu soppresso, così come gli ordini minori dell’ostiario, lettore, esorcista e accolito. Papa Paolo mantenne le funzioni di lettore e accolito come ministeri laici che non richiedevano più l’ordinazione. Infine, rivolse la sua attenzione ai tre ordini maggiori di suddiacono, diacono e presbitero. Soppresse il suddiaconato e vincolò l’ingresso nello stato clericale all’ordinazione diaconale. Le azioni del papa hanno portato ai tre ordini che abbiamo attualmente: episcopato, diaconato e presbiterato.

Esperienza nel ministero

Lo scopo generale dell’ordinazione sequenziale era quello di garantire che i candidati agli ordini superiori avessero acquisito esperienza nel ministero prima di assumere maggiori responsabilità. Nel sistema del seminario, la tonsura, gli ordini minori, il suddiaconato e il diaconato erano tutti legati a diverse fasi della formazione seminaristica. I seminaristi che si avvicinavano alla fine del processo venivano ordinati diaconi e poi inviati in una parrocchia per un certo periodo di tempo prima dell’ordinazione presbiterale. Questo è stato sostituito da un anno pastorale che normalmente precede l’ordinazione diaconale.

Da un punto di vista pratico, ci si potrebbe chiedere quale sia lo scopo di richiedere l’ordinazione diaconale come prerequisito per l’ordinazione presbiterale. Certo, a volte si suggerisce che l’ordinazione diaconale sia essenziale per coloro che si avviano al presbiterato (e all’episcopato), perché li radica nel fondamento di ogni ministero: la diaconia della Chiesa. Sebbene ciò sembri ragionevole, sembra anche che tutto il ministero, laico, religioso e ordinato, debba essere fondato sulla diaconia e quindi sia più un effetto del battesimo che dell’ordine sacro.

La nuova edizione del Programma di Formazione Sacerdotale della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti prevede una “Fase di Sintesi Vocazionale”, durante la quale un seminarista-diacono si reca “fuori dalle mura” del seminario in una parrocchia per un certo periodo di tempo, generalmente da sei a dodici mesi. Il testo si preoccupa di dichiarare che non si tratta di una fase in cui il seminarista sta seguendo un addestramento “sul posto di lavoro”, ma che si sta avvicinando a un apprezzamento più completo delle esigenze e delle benedizioni dello stato clericale. Tuttavia, la sensazione generata da questa sezione del programma di formazione è quella di un apprendistato, in quanto il seminarista-diacono è incorporato nella comunità del clero all’interno della diocesi, un’incorporazione che è ancora focalizzata sulla sua eventuale ordinazione nel presbiterato, non su un apprezzamento del diaconato nella sua identità sacramentale. Il “traguardo” sacramentale è davanti a lui.

Infine, vorrei sottolineare che la formazione di un seminarista, per quanto lunga, è focalizzata in una sola direzione: il presbiterato. In nessun momento il seminarista discerne la vocazione al diaconato, che serve solo come tappa della sua preparazione al presbiterato. Si tratta di un vero e proprio modello di apprendistato. Ma la vocazione a un ordine non presuppone e non deve presupporre la vocazione a un altro.

Le parole contano

Tenendo conto di questo, passiamo a due considerazioni importanti che emergono dal linguaggio spesso usato per descrivere il diaconato.

In primo luogo, dobbiamo immediatamente eliminare l’uso di aggettivi per descrivere un diacono come un diacono “permanente” o un diacono “transitorio”. Da decenni, studiosi e vescovi hanno sottolineato che esiste un solo ordine dei diaconi, così come esiste un solo ordine dei presbiteri e un solo ordine dei vescovi. Tutte le ordinazioni sono permanenti, quindi chiamare un diacono “permanente” è ridondante e chiamare un seminarista-diacono “transitorio” è sacramentalmente sbagliato. Tutti i diaconi sono permanenti. Non ci riferiamo a un presbitero che viene successivamente ordinato vescovo come a un sacerdote “transitorio”.

La Conferenza episcopale statunitense lo ha riconosciuto anni fa e ha rinominato il segretariato responsabile del diaconato. Il Segretariato per il Diaconato Permanente era conosciuto come Segreteria per il Diaconato Permanente, mentre il Comitato dei vescovi responsabile era conosciuto come Comitato per il Diaconato Permanente. A metà degli anni ’90, la parola “permanente” è stata rimossa sia dal nome della commissione che dal suo segretariato. Nonostante questa presa di coscienza sia avvenuta decenni fa, ancora oggi si parla di uomini ordinati nel diaconato permanente o nel diaconato transitorio, come se ci fossero due ordini di diaconi separati.

Perché è così importante? Perché le parole contano. Pensare al diaconato come a una tappa temporanea sulla strada che porta da qualche altra parte minimizza il significato sacramentale del ministero in cui ci si trova già. Quanti diaconi-seminaristi hanno sentito commentare il giorno della loro ordinazione diaconale: “Beh, ci sei quasi, no?”. E quanti cosiddetti diaconi permanenti si sono sentiti dire: “O.K., allora quando è la tua vera ordinazione?”, cioè: “Quando sarai ordinato presbitero?”. Un diacono appena ordinato ricorda che un familiare, dopo la sua ordinazione, ha commentato che la cerimonia “era quasi come una vera ordinazione”!

Un diacono è un diacono e basta. Il mantenimento di un modello di apprendistato in seminario diluisce e distorce tutto questo.

In secondo luogo, il modello dell’apprendistato perpetua un’immagine distorta del diaconato. Il diaconato, così come viene vissuto da un seminarista, è in gran parte liturgico, scolastico e, se il seminarista è fortunato, parrocchiale. Questo ha senso se il diaconato è visto come una sorta di “formazione sul lavoro” per il presbiterato. Ma non riflette le realtà, le sfide e l’impegno per tutta la vita nel diaconato che devono affrontare gli altri diaconi che non aspirano o si preparano al sacerdozio. I diaconi sono formati secondo le norme emanate dalla Santa Sede nel 1998 e, qui negli Stati Uniti, da due successive edizioni del Direttorio nazionale per la formazione, il ministero e la vita dei diaconi permanenti negli Stati Uniti.

Una visione storica

Fin dall’inizio, ai candidati diaconi si chiede di essere competenti nella triplice munera della Parola, del Sacramento e della Carità, e nessuno deve essere ordinato che non lo sia. Non c’è nulla di “transitorio” nella formazione diaconale. L’accento è posto sull’identità sacramentale del diacono-qua-diacono (in contrasto con il senso di diacono-qua-futuro sacerdote) e sulle responsabilità ministeriali che derivano dall’ordinazione diaconale.

Questa concezione non è nuova. Il 2 giugno 1563, al Concilio di Trento, il 41enne vescovo di Ostuni, Giovanni Carlo Bovio, fece il seguente intervento: «desidero che le funzioni di suddiacono e di diacono, diligentemente raccolte dai detti dei santi Padri e dai decreti conciliari, siano ripristinate, specialmente quelle dei diaconi. La Chiesa si è sempre avvalsa dei loro servizi, non solo nel ministero dell’altare, ma anche nel battesimo, nella cura dei malati, delle vedove e dei sofferenti. Infine, tutti i bisogni del popolo sono presentati al vescovo dai diaconi. Desidero inoltre… un periodo più lungo tra un ordine e l’altro, almeno tre o quattro anni, durante i quali il ministro possa svolgere il suo ministero e servire bene nel suo ufficio, per poi essere autorizzato a passare a un ordine superiore».

Trovo questa descrizione interessante e utile. In primo luogo, offre una visione del diaconato che è sia storica che orientata al futuro. Le antiche funzioni del diacono sono rimaste necessarie nel XVI secolo del vescovo Bovio e nel nostro XXI secolo. C’è il legame tradizionale del diacono con il vescovo, un aspetto del diaconato che dobbiamo urgentemente recuperare in modo più sostanziale, e c’è la preoccupazione che l’ordine dei diaconi non sia trattato come una funzione cerimoniale durante il percorso verso il presbiterato, ma sia apprezzato a pieno titolo. Purtroppo, l’intervento del vescovo non è stato inserito nei testi finali del Concilio di Trento.

Sono totalmente d’accordo con il cardinale McElroy e il cardinale Cupich sul fatto che questo è il momento ideale per rivedere il diaconato nel suo complesso. Anzi, direi che è già tempo di farlo. La prima cosa da fare è abbandonare il modello dell’apprendistato, insieme alla falsa distinzione linguistica tra “permanente” e “transitorio”. Se il diaconato potrà mai maturare e diventare adulto, conquistando l’immaginazione cattolica come un “ordine pieno e uguale”, dobbiamo eliminare le vestigia del cursus honorum e lasciarci alle spalle l’apprendistato.

  • Pubblicato sulla rivista dei gesuiti statunitensi America.
Print Friendly, PDF & Email

14 Commenti

  1. Virgil Bercea 7 maggio 2024
  2. Barbara 5 maggio 2024
  3. Don Paolo Andrea Natta 3 maggio 2024
    • Chiara 3 maggio 2024
    • Chiara 4 maggio 2024
  4. Carlo Fumagalli 3 maggio 2024
    • chiara 3 maggio 2024
  5. Paolo 2 maggio 2024
  6. Valerio Scalco 2 maggio 2024
  7. Chiara 2 maggio 2024
    • Fabio 6 maggio 2024
    • Gian Piero 6 maggio 2024
  8. Ranieri 2 maggio 2024
  9. Giuseppe 2 maggio 2024

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto