Libano-Pascal Sleiman: un omicidio politico

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Il 13 aprile – oggi – ricorre in Libano l’anniversario dello scoppio della guerra civile, nel 1975. Non pochi lo ricordano molto bene nel Paese. Lo scambio di provocazioni armate tra gruppi palestinesi e milizie cristiane finì malissimo: un autobus, con a bordo molti lavoratori palestinesi, fu attaccato e morirono 27 innocenti. Scoppiò una guerra civile che covava da tempo.

Forse è stato proprio per evitare il collegamento con questo drammatico precedente che i funerali di Pascal Sleiman – responsabile nella regione di Byblos del partito cristiano delle Forze Libanesi – è stato celebrato ieri, 12 aprile, e non oggi. La situazione è, infatti, esplosiva.

Pochi in Libano credono alla versione ufficiale del delitto: Pascal Sleiman sarebbe stato fermato da ladri d’auto, tutti siriani, che poi lo avrebbero portato, per occultarne la salma, in Siria. Per me non è normale rubare una macchina a un automobilista che sta percorrendo una deserta stradina di montagna nel nord del Libano, ucciderlo, per poi andare a nasconderne la salma in Siria. Peraltro, gli omicidi sarebbero fuggitivi dalla Siria: improbabile che abbiano voluto rientrarvi, così, a cuor leggero.

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Va chiarito che quel pezzo di confine siro-libanese è controllato su entrambi i versanti da Hezbollah, la milizia libanese filoiraniana legatissima al regime di Assad. Perciò a molti – ed anche a me – è parso più logico supporre che siano proprio loro – gli Hezbollah – i plausibili mandanti del crimine.

Il partito di Pascal Sleiman, le Forze Libanesi, è il più fermo oppositore dell’egemonia politico-militare instaurata dal Partito di Dio, perché proprio questo significa, letteralmente, Hezbollah.

Tutto questo, sotto la pressione dell’esercito israeliano, col quale Hezbollah combatte dal 7 ottobre una guerra d’attrito che potrebbe dilagare, come più volte scritto da tutti. Ma Hezbollah sa che i suoi avversari interni in Libano gli negherebbero ogni solidarietà, poiché il Paese è stremato da una lunga e devastante crisi economica, col pessimo concorso (sovente decisivo sebbene non certo esclusivo) di Hezbollah. E la guerra aggrava la già grave crisi economica.

Servirebbe dunque a Hezbollah un retroterra istituzionale che non c’è – e non ci sarà – posto che i rivali, da un anno e mezzo, stanno resistendo alle pressioni per l’elezione di un Presidente della Repubblica loro amico.

Dunque, il sospetto di un delitto politico intimidatorio è fondato. La storia libanese ne è zeppa, almeno dal 2005, da quando fu ucciso l’ex premier libanese Rafiq Hariri. Una sentenza della giustizia internazionale, passata in giudicato dopo quasi un ventennio, ha riconosciuto colpevoli alcuni operativi di Hezbollah.

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Questa volta però gli operativi sono siriani e ciò porta ad un intreccio di opposti estremismi assai rilevante, e grave. Hezbollah da tempo invoca l’espulsione dei profughi siriani fuggiti dal loro Paese per sfuggire alle purghe del tiranno Assad. I filoiraniani sostengono che i siriani sarebbero riaccolti, in maniera sicura, in Siria, tra le braccia del presidente Assad.

Gli esponenti cristiani di Forze Libanesi sostengono, anche loro, il rimpatrio dei profughi, non certo per simpatia con Assad, ma perché sono nazionalisti, allarmati dal fatto che i profughi siriani sono, quasi tutti, musulmani sunniti. Così, dopo il delitto, si sono verificati gravi episodi di caccia ai siriani, definiti, da alcuni delle stesse Forze Libanesi, «barbarici»: un clima da 1975!

Quanti sono i siriani in Libano? Parliamo di un numero enorme. Ce ne siamo dimenticati? 1.500.000 persone, in condizioni di miseria assoluta, quindi facilmente manipolabili e utilizzabili, per ogni impresa senza scrupoli.

L’emergenza di 5 milioni di libanesi, ridotti essi stessi in miseria, è oggettiva. Si sta male in Libano.  Ma, sin quando in Siria governerà un certo Assad, il più brutale dei criminali al potere in Medio Oriente, nessuno oppositore (o ritenuto tale) se sano di mente rientrerà mai, di propria volontà, in Siria: vorrebbe dire votarsi a morte certa.

Si può deportare un milione e mezzo di persone, con la forza? Hezbollah lo sta proponendo, da tempo, e ampia parte della base cristiano-maronita, impaurita dalla criminalità dilagante, dalla crisi economica e presa dal terrore della crescita della popolazione musulmana, lo accetterebbe. Ciò chiude il cerchio tra gli opposti estremismi: per cinismo degli uni e paura ancestrale degli altri.

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Alla spirale dell’odio sembra sottrarsi la Chiesa maronita che, dopo aver chiesto il rimpatrio dei profughi siriani, perché il Libano non ha più le risorse per ospitarli, ai funerali di Pascal Sleiman si è espressa con più accortezza, chiedendo che la questione sia risolta, con l’ausilio dell’Onu, con procedure legali e verificate: parole che smorzano i fuochi più accesi, ma che indicano, comunque, una strada impraticabile, sinché al potere in Siria ci sarà Assad.

Mi sembra, dunque, che i funerali di Pascal Sleiman non abbiano aggravato, come si poteva temere, il quadro di tensione, già alle stelle.  Il messaggio di non vendetta che il leader delle Forze Libanesi, Samir Geagea, ha lanciato con nettezza durante la sua orazione funebre, almeno per ora, impedisce che si accendano immediatamente altri incendi.

Ma la Chiesa maronita, dopo aver sostenuto anni fa, Assad ed Hezbollah contro il terrorismo, oggi si trova nella morsa del terrore stretta da Assad, Hezbollah e dall’Iran, senza poterlo denunciare con chiarezza, sebbene, ora, sulle armi di Hezbollah, abbia il coraggio di esprimersi con fermezza.

La Chiesa dovrebbe chiaramente dire che quei profughi sono le povere vittime di un potere immodificabile e che l’unico modo per sanare il malanno è andarne a rimuovere la causa prima. Può farlo?

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Così il Libano resta in un limbo assai plumbeo. Nessuno può escludere altre provocazioni. Se il confronto militare tra Israele ed Hezbollah non dovesse attenuarsi – e l’indisponibilità dei suoi rivali politici a seguirli in avventure filoiraniane restasse inossidabile, come certamente sarà – sarebbe difficile, per Hezbollah, trovare altri sistemi per tutelare i propri interessi. Il pericolo che per un motivo o per l’altro la situazione possa scappare di mano è evidente.

Ieri il Libano – mentre si celebravano i funerali di Pascal Sleiman – non sarà stato a poche ore dalla guerra civile, ma certo non vi era molto lontano. Stiamo a vedere, oggi.

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