Lungi da me intenzioni ipercritiche, polemiche, malevole o svalutatrici dei fratelli, ma omelie, lezioni, conferenze che, per scelta di parole, sintassi e morfologia, si presentano come indiscutibilmente cattoliche, dogmaticamente ineccepibili, biblicamente fondate, mi lasciano l’inevitabile impressione di discorsi che, nonostante l’indiscutibile ortodossia, suonano stonati, incompleti e privi della buona verità evangelica.
Uno stile che è frequente tra noi, che è forse motivato da un’umile fedeltà alla dottrina e alla sperimentata ritualità della tradizione, un modo ecclesiastico diffuso tra fratelli e sorelle che amano sinceramente la verità e trovano pericoloso e orgoglioso modificare e rimodellare il modo di dire le cose di Dio.
In questo modo, lasciano l’impressione di privilegiare la fedeltà alla Chiesa e, quasi, di relegare la persona di Gesù a un ruolo secondario, lasciandoci orfani della poesia e dello spessore esistenziale di un Vangelo che va oltre le istituzionali convenzioni consolidate. Vissuto, provocatorio, travolgente, poetico, rivoluzionario, che cerca la contaminazione della vita dei discepoli profondamente disturbati e scomodati dalla Parola. E sfidati dalle tragedie e dalle sofferenze della nostra storia.
Papa Francesco ha avuto questa capacità trasgressiva di andare oltre i riti fedeli e ripetitivi e di lasciarsi guidare dalla follia del Vangelo. Gesti, linguaggio del corpo, abitudini, abiti, scarpe: non si trattava semplicemente di rivelare quel Jorge che il ruolo istituzionale non poteva cancellare, bensì l’intenzione radicalmente evangelica di spogliare la figura del successore di Pietro della sacralità accumulata lungo i secoli. Demistificare, desacralizzare, recuperare il volto del “figlio dell’uomo” e del semplice pescatore, anche nel successore di Pietro.
Prima di lui, Pedro do Araguaia, il vescovo Casaldàliga, profeta e poeta rivoluzionario, ha dispensato le insegne e lo stile episcopale, erede della tradizione imperiale romana, per essere «il soldato sconfitto di una Causa invincibile».
E, prima di lui, anche padre Claudio Bergamaschi, di São Mateus do Maranhão, amico fraterno degli oppressi, che sempre suscitava nei suoi ascoltatori la domanda «con quale autorità fai e dici queste cose?».
Sappiamo, però, che le profetesse e i profeti sono rari e vanno sempre controcorrente rispetto ai codici sacralizzati e prestabiliti. Provocano, infastidiscono, scandalizzano i benpensanti, gli autoritari e i tradizionalisti.
Questa libertà creatrice, dono dello Spirito, è rara, come lo sono la santità e il martirio. Ciò che è più comune nella nostra Chiesa è la via autoritaria o, nel migliore dei casi, l’equilibrismo diplomatico, che, irenicamente, finisce per mediare e conciliare l’inconciliabile. Sia l’autoritarismo che la diplomazia finiscono, però, per creare vittime, a volte tra i meno colpevoli o quasi innocenti.
E per noi, che non siamo profeti, resta la Speranza e la chiamata a stare, in ogni circostanza, insieme al “Figlio dell’uomo”, al fianco dei poveri, vittime della violenza e dell’indifferenza.






Quindi i problemi del mondo (e della Chiesa) non sono le guerre, le ingiustizie, chi sfrutta gli altri, chi fa il Male (quello con la m maiuscola)….i problemi del mondo sono l’ortodossia, la sacralità e la ritualità…e il Buon Pastore non è colui che da la vita per le pecore ma colui che si mette le scarpe nere e desacralizza e deritualizza il papato. Il giudizio sul papato ormai non passa più dal “cosa ha realmente fatto” ma dal “come si è vestito e cosa ha abolito” del passato. Preciso che non sono un nostalgico, non voglio difendere nulla del passato come “assoluto” e non nego non solo l’opportunità del progresso ma anche la necessità di un progresso ma….nelle scarpe? Nella desacralizzazione? Il progresso è costruzione di qualcosa di nuovo….non abolizione ideologica del passato.
Tenendo conto che Papa Francesco telefonava di continuo al parroco di Gaza per informarsi della situazione…
E qui lo si vedeva come vero pastore della Chiesa!
Per quanto mi sia sforzato di vedere qualche cosa di positivo nello scritto, non ci sono riuscito. Altro non so
Legga con più attenzione…
Lasciamo che sia la Storia a giudicare il pontificato di Papa Francesco, il più divisivo della chiesa moderna, fortemente contraddittorio poiché lui cercava di stare in un equilibrio molto precario tra dottrina e smania di novità così da contraddirsi continuamente. Ha lasciato una Chiesa confusa e divisa. Ma come dicevo il tempo farà capire meglio.
Una Chiesa autoritaria e dogmatica, ricca di simbolismi della tradizione ( la ricchezza delle vesti e dei pizzi è solo un esempio ) soffoca l’essenza del messaggio di Gesù e impoverisce il processo di evangelizzazione.
Articolo davvero provocante e interessante sullo stile di quello che io definisco il cattolicesimo borghese (cfr. https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/11/cattolicesimo-borghese-4.html).