Dopo Francesco. È anche questione di affetto

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Non si può sostituire Francesco – ma nemmeno si può fare come se non fosse mai stato. È passato tra noi e ci ha lasciato qualcosa: alla sua Chiesa e al mondo che ha amato. Ora, tocca a noi decidere come investire l’eredità che ci ha consegnato – questo l’orizzonte tratteggiato, con tatto e sensibilità, dal card. Parolin rivolgendosi agli adolescenti di tutto il mondo venuti a Roma per il loro pellegrinaggio giubilare.

Sono state le prime parole dopo il funerale di papa Francesco – e non deve essere stato facile trovarle, neanche per un diplomatico di lungo corso come Pietro Parolin. Perché non si trattava di mediazioni, di strategia, di concertare i prossimi passi della Chiesa cattolica Francesco assente. Era piuttosto questione di cuore – di un affetto che chiedeva pressantemente di passare dal tempo che sta appena alle nostre spalle a quel futuro desiderato da Dio che si attesta nei volti delle migliaia di ragazzi e ragazze a cui queste parole erano destinate.

Parolin ha trovato appiglio e sostegno nelle parole del vangelo di questa Domenica in Albis: con i discepoli smarriti e impauriti, sbarrati dietro a delle porte chiuse. Pensando che la separazione fosse il miglior antidoto contro l’assenza del Maestro.

In questa domenica era importante riuscire a consegnare alla generazione di giovani radunatasi a Roma «l’abbraccio della Chiesa e l’affetto di papa Francesco». Certo, devono essere molte le preoccupazioni che attraversano il cuore di don Pietro e occupano la mente del card. Parolin. Le ha espresse, mettendosi dentro la folla che «avverte il turbamento nel cuore» per l’assenza di Francesco.

Immergersi nel popolo amato e considerato da papa Francesco, proprio nel momento in cui si trovava davanti a esso, è stata la via scelta dalle parole di Parolin. Mettendo in risalto quella giuntura fra il Vangelo e il ministero di Francesco che lo ha reso un papa atipico, problematico per molti e affascinante per altrettanti. Dalla parte della folla, dalla parte dei discepoli smarriti, Parolin ha messo in circolo quella disposizione della gioia che è stata «al centro del pontificato» di chi ci ha lasciato da poco.

In principio sta la «gioia del Vangelo, che – come Francesco scriveva in Evangelii gaudium – “riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. (…) Con Gesù sempre nasce e rinasce la gioia”».

La Chiesa deve osare la gioia, perché non è scomparsa con l’assente ma si è «impressa soprattutto nei vostri volti, cari ragazzi e adolescenti che siete venuti da tutto il mondo a celebrare il giubileo». Solo una Chiesa che sa guardare questi volti, che come Gesù sa e vuole incontrarli «dove sono», sarà una Chiesa dalla gioia Pasquale per la gioia del mondo.

Quando ti entra dentro, l’affetto per papa Francesco ti fa togliere l’abito dell’ufficio di curia e ti consegna alla vita del pastore che sta tra la sua gente. Ti fa vibrare nella liberazione della fede da gioghi antichi (e moderni) che papa Francesco ha desiderato per ogni donna e ogni uomo che sente, in un qualche modo, di appartenere alla comunità del Signore.

Ti fa vibrare nella memoria del nome di Dio, che papa Francesco ha ripescato dal cuore del Vangelo: se «misericordia è il nome stesso di Dio», allora «nessuno può porre un limite al suo amore misericordioso» – ha detto Parolin ai ragazzi e alle ragazze che aveva davanti a sé.

Certo, il nome di Dio è impronunciabile – si sottrae alle nostre manipolazioni, si scontra con la volontà di confinarlo nelle parole sicure su cui dispone la Chiesa con il suo magistero e i potenti con la loro pretesa di totalità. È impronunciabile, però, soprattutto perché non è una parola, ma una pratica.

Il Dio di Gesù è gesti d’amore, dedizione, cura – e questi gesti sono l’intimità più profonda del suo essere: quella che, quando ci tocca, noi chiamiamo misericordia. E la buona notizia del Vangelo, ricorda Parolin ai ragazzi e alle ragazze, «è anzitutto la scoperta di essere amati da un Dio che ha viscere di compassione e di tenerezza per ciascuno di noi a prescindere dai nostri meriti».

Toccato dal Dio che è gesto, fedele al suo nome che è pratica di dedizione incondizionata a favore di ogni persona, sorpreso da questa gioia, «papa Francesco è stato testimone luminoso di una Chiesa che si china con tenerezza verso chi è ferito e guarisce con il balsamo della misericordia; e ci ha ricordato che non può esserci pace senza il riconoscimento dell’altro, senza l’attenzione a chi è più debole (…)».

L’affetto per papa Francesco è il perno su cui poggia il tempo del mondo e la Chiesa dopo di lui: «il nostro affetto per lui – ha detto Parolin –, che si sta manifestando in queste ore, non deve rimanere una semplice emozione del momento; la sua eredità dobbiamo accoglierla e farla diventare vita vissuta».

Dunque, è soprattutto questione di affetto… dove il noi indistinto del popolo di Dio è chiamato a essere una pratica dell’essere Chiesa che si fa carico del lascito di papa Francesco per consegnarlo alle generazioni che verranno – che potranno sentire qualcosa di lui se la Chiesa sarà all’altezza dei gesti dell’amore che sono il Dio che essa confessa.

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3 Commenti

  1. Pietro 28 aprile 2025
    • Gian Piero 30 aprile 2025
      • Pietro 2 maggio 2025

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