
Foto di Tony Gentile.
La Rivista venezuelana SIC, nostra partner nel lavoro di informazione religiosa, in occasione dei dodici anni di ministero di papa Francesco a guida della Chiesa cattolica, ha chiesto a cinque voci diverse del cattolicesimo del continente americano una breve istantanea su come Francesco incarni il concetto di misericordia.
“Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia voglio, e non sacrificio” (Matteo 9,9-13).
La misericordia è un tema centrale nel papato di Francesco, che ha fatto di questo concetto un pilastro fondamentale del suo ministero. Fin dal primo giorno come Papa, ha dimostrato un profondo impegno verso i marginali e gli esclusi della società.
Il suo famoso abbraccio a un uomo con una patologia cutanea in Piazza San Pietro e la sua visita a Lampedusa, dove celebrò una messa per i migranti e i rifugiati, sono esempi tangibili del suo desiderio di accogliere le persone così come sono e di incontrarle nella loro realtà. Francesco non si limita a parlare di misericordia: la vive, sottolineando la necessità di una Chiesa che non solo accoglie, ma si adopera attivamente per raggiungere coloro che si sono allontanati.

James Martin SJ (Stati Uniti)
Thomas Merton, monaco trappista e scrittore statunitense, una volta descrisse Dio come “Misericordia dentro la misericordia dentro la misericordia”. E spesso ripenso a questa frase quando rifletto sul papato di Papa Francesco. Dal suo abbraccio a un uomo con una malattia cutanea deformante in Piazza San Pietro, alla visita sull’isola di Lampedusa, dove celebrò la messa per i migranti e i rifugiati, fino al suo impegno verso le persone LGBTQ+, il ministero di Francesco come Papa è iniziato ed è stato caratterizzato da un profondo senso di misericordia.
Ciò non dipende soltanto dalla sua sequela di Gesù e dal desiderio di emulare la sottolineatura che Nostro Signore riserva alla misericordia, ma è anche dovuto a qualcos’altro. In quanto gesuita, Papa Francesco ha passato molte ore ad accompagnare le persone nella direzione spirituale, sviluppando un rispetto innato per l’azione dello Spirito Santo nella coscienza di ciascuno.
Per questo motivo, sa vedere le persone per quello che sono e incontrarle nel loro vissuto, in particolare coloro che sono ai margini della società e della Chiesa. Da qui deriva la sua vicinanza a ogni tipo di persona e la sua insistenza sull’essere una casa per tutti. Ho la sensazione che, dopo la sua morte, quando avverrà, sarà ricordato come il Papa della Misericordia.

Rafael Luciani (Venezuela)
Un’immagine ecclesiale che può aiutarci a intravedere la direzione da seguire è quella che il Papa usa quando dice: “Invece di essere soltanto una Chiesa che accoglie e riceve, mantenendo le sue porte aperte, cerchiamo piuttosto di essere una Chiesa che trova strade nuove, capace di uscire da sé stessa e andare verso chi non la frequenta, verso chi se ne è andato, verso l’indifferente”.
Francesco non propone una visione autoreferenziale, ma, al contrario, aperta al mondo, spingendo l’istituzione ecclesiastica a realizzarsi in mezzo alla società, oltre i confini dei soli credenti. In Evangelii Gaudium, Francesco parla di Chiesa in uscita “missionaria” (EG 20), per incontrare gli “esclusi” (EG 24), in grado di trasformare “le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale” (EG 27). Una Chiesa “con le porte aperte” (EG 46), capace di “fermarsi, mettere da parte l’ansia per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto ai margini della strada. A volte è come il padre del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte affinché, quando torni, possa entrare senza difficoltà” (EG 46).
È l’immagine di una Chiesa che, dopo essere uscita a incontrare il mondo, si ferma con libertà e senza pregiudizi moralistici per “accompagnare chi è rimasto ai margini della strada” (EG 46). Esce da sé stessa, per lasciarsi convertire dall’altro/a. Qui prende senso la metafora di un ospedale da campo o di una Chiesa samaritana, che mette in luce il cambiamento radicale che l’istituzione ecclesiastica deve compiere riguardo alle sue forme e dinamiche strutturali, per svolgere la sua missione. Di fronte al mutamento epocale attuale, la “Chiesa in uscita” mette alla prova —con le parole di Francesco— la propria capacità “di curare ferite e dare calore ai cuori dei fedeli, vicinanza, prossimità”. Per questo, dice il Papa:
“Vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito se ha il colesterolo alto o la glicemia! Bisogna curare le sue ferite. Parleremo poi del resto. Curare ferite, curare ferite… E bisogna iniziare da ciò che è più fondamentale… essere misericordiosi, prendersi cura delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce e consola il suo prossimo. Questo è Vangelo puro”.
Questa metafora di “un ospedale da campo dopo una battaglia” viene utilizzata per la prima volta nel pensiero di Francesco all’interno di un contesto mondiale che egli descrive come “guerra mondiale a pezzi”, espressa in diverse forme di conflitti armati, crisi migratorie, nuove alleanze globali di stampo autoritario e molto altro ancora. A ciò si aggiunge oggi la crisi antropologica e culturale di portata globale, che stiamo vivendo.
La metafora non rimanda a una Chiesa maestra che insegna e orienta. Piuttosto, invita a farsi carico di un’umanità ferita, riconoscendo la fragile credibilità istituzionale nella quale si trova la stessa istituzione ecclesiastica dopo la crisi degli abusi. Tuttavia, è proprio in questo modo, riconoscendo il proprio peccato istituzionale, che essa può trovare la vera conversione uscendo nel mondo di oggi e mostrandone la propria vulnerabilità, senza sentirsi superiore a chi è ferito, ma accompagnandolo e camminando insieme.
Questo riconoscimento, sia nel linguaggio che nei simboli, della fragilità istituzionale è fondamentale in questo momento, poiché ci pone tutti allo stesso livello. È in e come Popolo di Dio che la Chiesa può trovare sentieri di conversione. Ciò emerge dalle parole di Francesco alla Chiesa in Cile. Dapprima egli riconosce che “il rinnovamento nella gerarchia ecclesiale di per sé non produce la trasformazione a cui lo Spirito Santo ci spinge” (cf. Lettera a tutto il Popolo di Dio in Cile, maggio 2018). Successivamente aggiunge che “in quel popolo fedele e silenzioso risiede il sistema immunitario della Chiesa” (cf. Lettera privata ai Vescovi del Cile).
Una Chiesa-ospedale riconosce la vulnerabilità delle proprie forme istituzionali. È colei che discende dal pulpito e si fa una con tutti e tutte, prossima e vicina. Solo così può iniziare un cammino autentico per superare ogni residuo di clericalismo o di sacralizzazione, che l’ha resa una realtà distante e separata dal mondo. Francesco lo esprime in questi termini: “La Chiesa mi sembra un ospedale da campo: tanta gente ferita che ci chiede vicinanza, ci chiede ciò che chiedevano a Gesù: vicinanza, prossimità. E con questo atteggiamento degli scribi, dei dottori della Legge e dei farisei, non daremo mai una testimonianza di prossimità”.
Congar affermava che “il futuro della Chiesa sta nel futuro del mondo” [6]. Possiamo dire che oggi quel futuro si è reso presente nei mutamenti antropologici e culturali manifestatisi alla luce dei segni dei tempi attuali. Le nuove strade che decideremo di percorrere per rispondere, sia sul piano teologico sia pastorale, devono partire dal riconoscimento e dall’integrazione dei volti feriti delle nuove periferie. Curare queste ferite significa dare loro voce e spazio nella Chiesa. Da un punto di vista ecclesiologico, ciò comporta la conversione al modello di Chiesa Popolo di Dio. In caso contrario, continueremo ad avere una visione sociale avanzata, ma senza che ciò implichi necessariamente un cambiamento nelle identità e nelle istituzioni ecclesiali.

Manuel Antonio Texeira SCJ (Venezuela)
Una delle peculiarità del papato di Francesco è l’esercizio della misericordia. Più che un concetto, è un modo di essere, che a volte può risultare perfino scomodo. Chi si reca di notte in Piazza San Pietro, nella Città del Vaticano, non può non restare impressionato dalla quantità di persone senza dimora che cercano riparo dalla pioggia e dal passaggio dei pedoni sotto il colonnato. Colpiscono le piccole tende, tutte uguali, nelle quali si rifugiano. La Santa Sede mette a loro disposizione un posto dove dormire con un minimo di privacy. Al mattino, i bagni della piazza diventano il luogo di toeletta per coloro che dormono nei dintorni. Questo gesto è molto criticato e il Papa, talvolta, è definito un promotore del disordine, ma la realtà è che molti trovano un piccolo rifugio.
Il suo esercizio di misericordia investe aspetti personali, politici ed ecologici. Francesco è consapevole di non poter fare molto da solo; per questo invita alla “amicizia sociale” e alla “carità politica”, riconosce l’Amazzonia come nuovo soggetto ecclesiale e chiama tutti a collaborare per salvare il nostro pianeta, già segnato da una visione devastante di progresso. Per il Papa argentino, la misericordia non è soltanto un gesto, ma un modo di essere: pensare, incoraggiare, scrivere, celebrare, perdonare, evitare di giudicare, ascoltare e continuare a credere che un’umanità più giusta sia sempre possibile, anche quando tutto sembra dire il contrario.

Rodrigo Guerra López (Messico)
Per Papa Francesco, seguendo l’insegnamento più profondo del Vangelo, la misericordia è l’iniziativa radicale di Dio, che si piega di fronte al nostro nulla. Il più grande mistero e la più grande sorpresa del Dio dei cristiani non è che Egli sia la Causa suprema delle cose o l’Essere infinito e assoluto da cui tutto dipende.
Ciò che costituisce l’Evento supremo è che Dio è Amore radicale, che va oltre le nostre aspettative, perdona i nostri peccati e sana le nostre numerose ferite. Questo Amore misericordioso non è mai astratto o puramente formale: ha un volto e uno sguardo concreti.
È Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, Sacramento del Padre, l’unico Redentore della mia storia e di quella di tutti, in particolare dei più poveri ed emarginati.

Juan Salvador Pérez (Venezuela)
“E, guardandolo con misericordia, lo scelse”: questa frase, tratta da un’omelia di San Beda sul Vangelo di Matteo, è il motto e lo stemma papale di Francesco. Fin dall’inizio del suo pontificato, è apparso chiaro che il suo sarebbe stato un papato ispirato e dedicato alla misericordia.
La misericordia, ci dice Francesco, è l’atteggiamento divino che abbraccia, è il dono di Dio che accoglie, che si presta a perdonare. Abbracciare: che atto umano così prezioso! Accogliere: che gesto così confortante! E perdonare: che liberazione! Ma quanto ci costa!…
È un messaggio che Francesco ha sostenuto con fatti concreti e non solo con parole, dimostrando un esempio serio di vita. Insieme all’invito ad abbracciare, accogliere e perdonare, Francesco ci ha mostrato altre due virtù indispensabili per essere veri cristiani: l’umorismo e l’umiltà.
Ricordo perfettamente, in modo vivido, quando 12 anni fa guardavo in TV la prima comparsa pubblica di Francesco, appena eletto. Si affacciò dal balcone per salutare i fedeli riuniti in Piazza San Pietro e iniziò dicendo: “I miei fratelli cardinali sono andati a cercare il Papa quasi alla fine del mondo…”.
Così, con umorismo e umiltà, è iniziato il pontificato della Misericordia.

Alfredo Infante SJ (Venezuela)
Il punto più rilevante di Francesco è il ritorno a Gesù e la sua centralità nella Chiesa; per questo motivo insiste sul seguire Gesù attraverso il discepolato e la missione. La misericordia, su cui Francesco insiste tanto, è espressione di questo ritorno a Gesù. Gesù, infatti, ci dice: «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro».
La parola “misericordia” è formata da “miseria” e “cuore” e, quando la attribuiamo a Dio, significa che il nostro Dio non tiene conto dei nostri peccati, delle nostre piccolezze umane, ma ci abbraccia con amore e ci dona sempre l’opportunità di ricominciare, di crescere, di essere pieni e di aiutare gli altri. Pur disapprovando il peccato e le sue conseguenze, Dio ama il peccatore, cerca di salvarlo; non è un giudice inflessibile, ma un padre-madre che confida nei suoi figli, al di là dei loro limiti. Tuttavia, la misericordia non ci dispensa dalla decisione di accettare o meno la salvezza offerta da Dio: la salvezza richiede reciprocità.
Il volto di Dio predicato da Francesco conosce la condizione umana, perché l’ha assunta dall’interno nel suo Figlio, Gesù Cristo; è consapevole delle nostre fragilità, miserie, limitazioni, ma anche delle nostre grandi virtù, potenzialità e possibilità. Per questo non cerca la perfezione farisaica, bensì la trasparenza del cuore e il desiderio di incamminarsi verso la fraternità.
La misericordia che predica Papa Francesco è vista dai padroni di questo mondo polarizzato, in guerra e così pieno di disuguaglianze e ingiustizie, come una follia o persino una stupidità, perché ci sfida a immaginare e a mettere in pratica una convivenza giusta e un destino comune per l’intera umanità.
Francesco ha iniziato il suo pontificato con l’Anno Giubilare della Misericordia e lo conclude con l’Anno della Speranza: questo perché la speranza di fare del nostro pianeta una casa fraterna e sostenibile, senza esclusioni, è realizzabile soltanto attraverso la misericordia, ovvero a partire dalla consapevolezza che «laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia».
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