
Felix Neumann intervista il provinciale dell’ordine di sant’Agostino in Germania, p. Lukas Schmidkunz (il primo a sinistra nella foto), sulle radici spirituali, relazionali e pratiche dei trascorsi di papa Leone XIV nella famiglia religiosa (katholisch.de 12 maggio 2025).
- Padre Lukas, quando Benedetto XVI fu eletto, lo slogan in Germania era «noi siamo il papa». Gli agostiniani sono ora anche «papi»?
Appena è stato annunciato, ho ricevuto i primi messaggi: «Ora sei papa!». Ma questa espressione non è usata dai nostri confratelli.
- Vi aspettavate che uno di voi sarebbe diventato papa?
Avere un agostiniano in conclave, per la prima volta da molto tempo, lo rendeva ovviamente possibile, almeno in teoria. Abbiamo parlato, nel nostro interno, delle opportunità che poteva avere, di quanto fosse ben inserito e di quanto fosse rispettato. Le valutazioni sono state diverse. Noi in Germania lo ritenevamo piuttosto improbabile, mentre i nostri confratelli in Belgio erano più ottimisti. Ma alla fine è stata una sorpresa per tutti quando ci siamo seduti davanti alla televisione e il nome è stato annunciato.
Socievole e capace di umorismo
- Lei ha conosciuto l’attuale papa durante il suo mandato come priore generale degli agostiniani. Che impressione le ha fatto come persona?
È un uomo molto gradevole e socievole. È bello sedersi insieme a lui la sera; ha un grande senso dell’umorismo. Ha partecipato ai nostri capitoli provinciali, che ha presieduto e accompagnato visitando poi i nostri fratelli nei monasteri e nei conventi. Non si è mai mostrato come qualcuno che esibiva il potere e che sentenziava su ciò che stava accadendo. È un uomo che ascolta, che osserva e si interessa alle persone che lo circondano. Quando vivevo nel monastero di Germershausen, nella diocesi di Hildesheim, gli feci visitare il centro educativo per famiglie di San Martino. Fu allora che notai quanto fosse attento e interessato al nostro lavoro e alla nostra vita insieme. Il suo comportamento è modesto. Non si limita a chiacchierare e quando parla lo fa in modo profondo e ponderato.
- Parla anche tedesco?
Un poco, ma parla un inglese molto comprensibile. Questo non avviene per molti americani.
- Come esercitava il suo ruolo di priore generale? Cos’era importante per lui?
Per lui era importante conoscere i fratelli. Non gli piaceva la parola Visitation (visita canonica). Come priore generale, doveva naturalmente visitare le province e i conventi, come stabilito nelle costituzioni. Ripeteva sempre che non veniva come visitatore apostolico con l’atteggiamento di ispettore, ma come uno che incontrava i fratelli. Domandava: «Come si vive qui la comunità? Come vivete insieme voi agostiniani a livello locale?». Per lui era molto importante che rispettassimo la regola delle nostre costituzioni secondo cui ogni convento è composto da almeno tre fratelli, o meglio ancora, quattro. Soprattutto nelle province più piccole, la tentazione di mandare qualcuno altrove da solo per avviare attività, o di lasciare qualcuno indietro quando qualche opera stava per finire, era ed è forte. Non voleva questa mentalità da combattente solitario.
Decidere assieme
- Nel caso di papa Francesco, molte cose sono state spiegate in ragione dello stile di leadership gesuita. Esiste uno stile di leadership agostiniano?
Per noi è essenziale prendere decisioni come comunità. Possono esserci discussioni e divergenze di opinione. Non è tipico degli agostiniani che il superiore si alzi e imponga ciò che ritiene giusto. Abbiamo un alto ideale di comunità. A tutti i livelli abbiamo consigli che decidono, si consultano e cercano insieme una soluzione. Questo è lo stile di leadership agostiniano: partecipazione, coinvolgimento e possibilità per tutti di partecipare. Le decisioni sono prese non sul momento, ma a partire da un processo condiviso.
- Quale spiritualità caratterizza gli agostiniani? Come vedono il mondo e come vivono la loro fede?
Siamo plasmati dall’insegnamento di Sant’Agostino e dalla regola monastica che ci ha dato. Il principio del vivere insieme e del camminare insieme è centrale in tutto questo. Ciò che ha influenzato di Agostino non sono tanto le grandi opere teologiche, quanto le sue lettere e i suoi sermoni. Ciò dimostra chiaramente che Agostino era consapevole delle persone del suo tempo, delle preoccupazioni e ansie condivise. Siamo nati nel Medioevo nel contesto del movimento degli ordini mendicanti. Ciò significa che vogliamo essere per la gente, ascoltarla e porre le persone al centro delle nostre azioni e delle nostre convinzioni. Non vogliamo forzare o imporre nulla, ma piuttosto comprendere le loro preoccupazioni e i loro bisogni, stare al loro fianco e vivere con loro.
Francesco resta, le riforme seguiranno
- Questo potrebbe descrivere il lavoro di un papa.
«Come vescovo, Robert Prevost, ha vissuto in questo modo e si è avvicinato alle persone come pastore e missionario. Spero e credo che lo farà anche da papa.
- A 69 anni, Leone è relativamente giovane per essere un papa e può aspettarsi un lungo pontificato. Cosa si attende?
Avrà bisogno di tempo per adattarsi al suo ruolo. Non è uno che farà grandi riforme in tempi rapidi. Né mi aspetto che annulli qualcosa di quanto è stato creato durante il pontificato di Francesco. Il suo atteggiamento è affidabile e coinvolgente, apre alla Chiesa e al mondo la possibilità di far coinvolgere le correnti che oggi divergono ovunque: conservatrici e progressiste. Nella Chiesa e nel mondo le cose possono coesistere senza che gli uni debbano condannare gli altri. Papa Leone ha esattamente i punti di forza necessari per questo cammino di riconciliazione e unità.






Nella domenica del BUON PASTORE (Giovanni cap. 10), con l’intera Chiesa Cattolica ancora in festa il nuovo successore di Pietro, la Chiesa pisana è riunita in cattedrale – con grande partecipazione di popolo – per l’ordinazione episcopale di padre Saverio Cannistrà OCD: dopo un agostiniano a Roma, ecco un carmelitano a Pisa. Nella nomina di due religiosi voglio vedere un auspicio, una speranza: se il vissuto di un prete diocesano è di regola e quasi sempre quella di chi vive il suo servizio da solitario (a cominciare da molti parroci), l’appartenenza a un ordine religioso comporta costitutivamente la vita comune, fare famiglia (comunità, convento…) con altri frati, cioè fratelli (non è un caso che tra preti diocesani ci chiamino con-fratelli, quasi che l’aggiunta del “con” giustifichi lo stare ciascun per conto suo). Il dato di fatto di un papa e un vescovo “religiosi” mi sembra possa essere colto come di per sé predisponente a vivere quella dimensione sinodale che è uno dei lasciti più importanti e fecondi che Francesco ha lasciato alla Chiesa universale, alle diocesi, alle parrocchie. Già alcune tracce della volontà di proseguire su questa strada appaiono dal primo breve discorso di papa Leone dalla loggia di San Pietro, e l’arcivescovo Saverio nel suo primo messaggio ai pisani ha dichiarato di “voler percorrere con voi i sentieri di questa storia e di questa terra”.
Camminare insieme è quello che ci aspetta, che provoca ogni cristiano a camminare, crescere e testimoniare insieme ai suoi pastori, sulle strade di una Chiesa in uscita, ospedale da campo per curare le persone ferite da tanti mali e violenze di questo tempo.
Caro Papa, caro Arcivescovo: BUON CAMMINO!