Misericordia come luogo teologico

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Gli amici di Religion Digital mi invitano a scrivere alcune righe di sostegno a papa Francesco che – spero – ci aiuteranno a comprendere il significato del suo pontificato e del tempo che stiamo vivendo nella Chiesa cattolica. È un invito che accolgo volentieri. Lo accolgo, consapevole non solo del coraggio evangelico (la famosa “parresía”) di questo singolare pontefice, ma anche di alcuni limiti che ha come essere umano vivente nella storia, come tutti noi.

Sono soprattutto cosciente di alcuni fra i tanti bastoni che gli sta mettendo fra le ruote una minoranza di cattolici, anche se questa minoranza rappresenta pochi milioni su un totale di quasi 1.400 milioni.

Nessun papa ha avuto vita facile nella sua responsabilità di presiedere all’unità della fede e alla comunione ecclesiale. Nemmeno Francesco.

Questa difficoltà – altrettanto evidente nella gestione degli ultimi papati, seppur per ragioni diverse – non mi impedisce di riconoscere la singolarità delle critiche che, fin dall’inizio, vengono fatte al «papa venuto dalla fine del mondo».

Mi permetto di indicare, di impulso e senza la minima intenzione di mettermi in cattedra, solo l’ultima di esse; ma potrebbero essere molte di più.

Fin dai primi momenti della sua elezione, sapevamo che questo papato – a differenza dei due precedenti – voleva privilegiare non la “verità”, ma la “misericordia”.

La verità della misericordia

La scommessa di Francesco, oltre che radicalmente evangelica, mi è sembrata, fin dal primo istante, più l’accoglienza che la pretesa di gestire la “verità in astratto” o, talvolta, solo “naturale”, mettendo al servizio di questa visione tutto il potere ecclesiale.

Un potere, peraltro, che – a partire dal Concilio Vaticano I (1870), si era concentrato – in modo unipersonale – nel vescovo di Roma e che né il 2° dei Concili Vaticani (1962-1965) né la sua attuazione postconciliare sono ancora riusciti a ricondurre ad un’intesa e ad un esercizio collegiale.

A differenza di quanto ho vissuto – e persino sofferto – nei pontificati dei suoi predecessori, mi è sembrato che, con Francesco, sia arrivato finalmente un papa che, sostenitore della “verità della misericordia”, avrebbe potuto rallentare l’emorragia dei cattolici nelle Chiese dell’Europa occidentale o, comunque, prendere alcune decisioni affinché tali Chiese non finissero col perdere del tutto il treno della storia, o scomparire, come già accaduto, a suo tempo, con la Chiesa olandese.

Inoltre, non solo ero soddisfatto che avesse collegato la “misericordia” con la “verità” – prima e ultima – di quanto era stato detto, fatto e consegnato da Gesù di Nazaret e predicato dai suoi discepoli, ma anche perché indicava la “fraternità” come suo fronte/retro e, con essa, la giustizia e la solidarietà.

La verità della fratellanza

Perciò, mi è piaciuto che la sua prima uscita dal Vaticano sia stata a Lampedusa, isola che, da allora, è divenuta il simbolo profetico di ciò che significa “fraternità”, e cosa intende e vive come “giustizia” e “solidarietà” la stragrande maggioranza dei cattolici e, per estensione, buona parte dei cristiani e delle persone di buona volontà.

L’attenzione che rivolse – con quel viaggio all’isola di Lampedusa – alla verità più radicale e definitiva del Vangelo («alla sera della vita sarete giudicati sull’amore») cominciò a ricollocare l’ossessione per la morale sessuale, fondata sulla cosiddetta verità o “legge morale naturale”, in un altro ambito molto più interessato ad accogliere e ad aiutare piuttosto che a condannare e ad espellere dalla comunità in nome della “verità” o “legge morale naturale”.In definitiva, cominciò a mettere in risalto un’altra ragione e un’altra verità, molto più evangeliche.

Samaritanesimo e legge morale “naturale”

Così cominciamo a renderci conto della superiorità – cristiana e cattolica – della morale “samaritana”, collocando, in questo processo, la verità o la “legge morale naturale” al di sotto di essa; cosa che non è piaciuta – e non piace tuttora – ai cosiddetti difensori di detta verità o legge morale “naturale”, favorevoli, per questo, a porre il Vangelo al di sotto di tale “naturalità”.

Questo è stato uno degli insegnamenti più importanti dei sinodi mondiali dei vescovi del 2014 e 2015 e della lettera post-sinodale Amoris laetitia (2016) che la minoranza sinodale di allora – formata in buona parte dall’episcopato africano, da quello europeo orientale e da una parte, per niente trascurabile, di quello statunitense – non ha accettato; né, a quanto pare, è disposto ad accettare.Alla luce di questi dati e argomentazioni, credo che la mancanza di “conversione” che si coglie in tali gruppi, in nome di ciò che intendevano – e continuano a intendere – per verità “naturale”, spieghi le critiche e i rifiuti delle benedizioni alle coppie risposate civilmente (e no) e delle unioni omosessuali.

Cosa resta da fare agli uni e agli altri? A Francesco – e a noi che stiamo dalla sua parte in questa “conversione” teologica e spirituale – non resta che armarci di pazienza continuando a sottolineare la consistenza – anche razionale – della misericordia di un Dio che ci ha creati per amore «a sua immagine e somiglianza»; compresi, ovviamente, gli omosessuali; sebbene quest’ultima considerazione non piaccia affatto ai partigiani della verità o della legge cosiddetta “naturale”.

Tra l’altro, una presunta “verità” che, visto com’è formulata e realizzata, non è – dal punto di vista formale – universale, ma maggioritaria.Naturalmente, dobbiamo anche continuare ad accogliere criticamente i progressi che si stanno compiendo nelle diverse conoscenze su ciò che è “naturale” per quanto riguarda il sesso e il genere; che è molto. E, in base di tali progressi, continuare a dialogare.

La determinazione della verità “naturale” – qualcosa di raggiungibile attraverso l’esercizio del sapere razionale in libertà – non è esclusiva soltanto di alcuni. Anche noi – favorevoli alla decisione presa da Francesco – siamo attenti alla “verità naturale” e ne teniamo molto conto, anche se gli approfondimenti più recenti potrebbero sorprenderci. Ancor più, se siamo stati educati con un martellante insegnamento ad una comprensione della “verità naturale” che, molto legata alle circostanze dal punto di vista storico, oggi percepiamo, fortunatamente, limitata.

Sono d’accordo con chi sceglie di fare teologia cattolica tenendo in grande considerazione i famosi “luoghi teologici” di cui Melchor Cano parlava già nel XVI secolo. E che, da allora, sono oggetto di un appassionato dibattito che il teologo J. Ratzinger non è riuscito a chiudere, per quanto impegnato durante tutta la vita unicamente attorno ad un magistero papale inteso più in termini impositivi che propositivi; un tentativo fallito, com’era da aspettarsi, data la sua concezione unipersonale – e niente affatto collegiale o sinodale – del potere e del suo esercizio.

Questi luoghi teologici sono e restano, in primo luogo, la Scrittura e la Tradizione. Ma, anche, l’autorità – sempre storica – dei concili, il magistero dei papi, dei santi padri, dei teologi e giuristi, della ragione non rivelata, del pensiero moderno e del sapere storico.E, con essi, quello che K. Barth chiamava «il giornale», e il Concilio Vaticano II, i «segni dei tempi». Ai critici di papa Bergoglio non resta che portare la fede e la Chiesa in un vicolo cieco, mentre occorre “convertirsi”, cioè a credere al Vangelo, a cosa ha detto, fatto e consegnato Gesù, e fare teologia cattolica rispettando e articolando tutti “i luoghi teologici” (non solo alcuni); in definitiva: collocare ciò che intendono per “naturale” al di sotto del Vangelo.

Non il contrario o, comunque, non al posto del Vangelo.Penso abbiano molto lavoro da fare.Non ci resta che continuare a riflettere, positivamente, cioè «a tempo opportuno o inopportuno». E, allo stesso tempo, vedere se in questo dialogo che manteniamo con i critici di papa Bergoglio essi apportano qualcosa di nuovo, degno di essere considerato come articolazione dei “luoghi teologici” in base ai quali valutare, in ogni momento storico, la consistenza teologica e dogmatica di ciascuna proposta; incluse quelle ricevute dalla tradizione. Non è piccolo il compito che ci resta.

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7 Commenti

  1. Valerio Scalco 31 gennaio 2024
  2. Adelmo li Cauzi 30 gennaio 2024
    • pietro 31 gennaio 2024
  3. Francesco Cosentino 27 gennaio 2024
  4. Mario 26 gennaio 2024
  5. Mauro Mazzoldi 26 gennaio 2024
    • Pietro 26 gennaio 2024

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