Parresia e intelligenza di Francesco

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Sul New York Times International Edition del 24 aprile, così scrive Austen Ivereigh (saggista e giornalista britannico, autore di una biografia di Papa Francesco, partecipante ai Sinodi sulla sinodalità): «La morte di Papa Francesco, avvenuta lunedì, introduce la Chiesa cattolica in un’epoca incerta per la quale egli ha cercato di prepararla. I cardinali saranno presto convocati a Roma per il conclave che eleggerà il suo successore e dovranno ora valutare se la visione di Francesco, una Chiesa misericordiosa in cui tutti sono benvenuti, sia ancora quella giusta o se sia necessario un approccio completamente diverso, forse più incentrato sulle esigenze della fede cristiana».

Ma il punto interessante, verso la fine, riguarda la sinodalità. Ecco come la vede Ivereight: «Qualunque altra cosa emerga nelle priorità dei cardinali per un nuovo leader, è probabile che sia l’appello di Francesco alla “sinodalità” a risuonare maggiormente nelle loro discussioni. “Sinodalità” è il termine dato all’antica consuetudine della Chiesa di riunirsi, discutere, discernere e decidere.

Francesco ha adattato l’antica pratica di sinodi e concili in un modo radicalmente inclusivo che invita tutti i fedeli a essere coinvolti. I cardinali potrebbero concludere che, in questo momento, questo è il più grande segno di speranza che la Chiesa possa offrire al mondo. Questa “cultura dell’incontro”, come l’ha definita Francesco, può sembrare una cosa insignificante ai poteri forti. Ma parte da un’idea che chi è schiavo della volontà di potenza non riesce a comprendere: l’innata dignità di tutti, la necessità di ascoltare tutti, compresi coloro che sono ai margini, e l’importanza di attendere pazientemente il consenso.

Questi aspetti sono tutti cruciali per riparare un tessuto civico lacerato. I cardinali potrebbero guardare il mondo e decidere che, qualunque cosa possano desiderare dal prossimo papa, la questione urgente che l’umanità si trova ad affrontare è come ci trattiamo a vicenda».

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Di segno diverso, sempre sullo stesso quotidiano, Philip Senon, commentatore di ‘cose’ religiose, il giorno dopo, 25 aprile. Titolo: «Cosa è accaduto esattamente alla rivoluzione di Papa Francesco?». La risposta è nelle prime righe: «non ha mai avuto luogo».

E aggiunge: «E poiché non ha riscritto radicalmente gli insegnamenti della Chiesa, le sue iniziative più controverse e importanti, tra cui la decisione del 2023 che consente ai sacerdoti di benedire le coppie dello stesso sesso e il documento del 2016 che apre le porte ai cattolici divorziati e risposati per ricevere la Santa Comunione, potrebbero essere revocate da un successore con poco più di un gesto della mano».

Il più «grave fallimento», nota il commentatore, accomunando in questo Francesco ai suoi due predecessori, riguarda la mancata estirpazione del problema degli abusi. Certo – notiamo ora qui noi – la questione è tutt’altro che risolta, ma è alquanto ingiusto pensare che una problematica così complessa si possa affrontare e risolvere una volta per sempre. Però certo, il problema esiste eccome!

In ogni caso, Senon sottolinea che «i cattolici riformisti delusi da Francesco potrebbero avere motivo di sperare in ciò che accadrà dopo il suo pontificato. Francesco ha trasformato il Vaticano in un’istituzione più tollerante e democratica, e sembra possibile che la rivoluzione di Francesco sia stata semplicemente rimandata a dopo la sua dipartita» – e dunque nelle mani di un successore che potrebbe sentirsi autorizzato a procedere speditamente sulla strada dell’accesso delle donne agli ordini e sul tema dei divorziati.

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E nella giornata del funerale, il gesuita James Martin, sempre sul New York Times International Edition, svolge alcune considerazioni sul tema dell’accoglienza verso le persone LGBTQ. Tema marginale, forse, ma che scatena grandi dibattiti e polemiche, oltre che feroci opposizioni ad ogni apertura.

«Per Francesco, le ideologie di qualsiasi tipo erano sospette. Preferiva assistere le persone come individui, in un contesto pastorale, cosa che ha sempre sottolineato nei nostri incontri e nelle note che mi ha inviato».

Pertanto, nota ancora il gesuita, «essere aperto all’ascolto e all’apprendimento e il suo desiderio di rendere la Chiesa accogliente per tutti sono al centro dell’approccio pastorale del Papa alle persone LGBTQ. Quindi, oltre al nome di Francesco, può vantare un altro titolo: alleato».

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Infine, su tutt’altro tema, un ricordo personale di don Maurizio Chiodi, teologo, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, docente, accademico della Pontificia Accademia per la Vita, spesso attaccato dai siti conservatori cattolici. Su L’Eco di Bergamo del 26 aprile, una intera pagina a firma sua riporta alcuni ricordi personali. Vale la pena di segnalare questo. Lo riporto per intero.

«15 maggio 2015. Ero a Roma per la discussione di un Dottorato alla Gregoriana, di cui ero corelatore, con padre Miguel Yáñez, un gesuita argentino, che conosceva il Provinciale Jorge Mario Bergoglio fin dagli anni 70, quando aveva iniziato il cammino formativo nella Compagnia di Gesù. In quei mesi io e altri teologi – l’attuale vescovo di Chioggia mons. Giampaolo Dianin, don Andrea Bozzolo, oggi rettore del Pontificio Ateneo Salesiano, mons. Pierangelo Sequeri, preside della Facoltà Teologica di Milano e poi del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II a Milano, e Miriam Tinti, fino a pochi anni prima avvocato rotale – avevamo lavorato a un libro, Famiglia e Chiesa, un legame indissolubile, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Famiglia, di cui allora mons. Vincenzo Paglia era il presidente.

Il libro stava per essere pubblicato per i tipi dell’editrice Vaticana ed era stato preparato come contributo teologico, nell’intervallo tra i due Sinodi (2014 e 2015) sulla famiglia. La pubblicazione, però, era stata bloccata, per intervento della Congregazione per la fede, allora presieduta dal Cardinale Gerhard Ludwig Müller.

La sera della discussione dottorale io ne avevo parlato, informalmente, con padre Yáñez. La mattina dopo, 16 maggio, durante una telefonata personale fatta da Papa Francesco al suo “antico novizio”, per chiedergli informazioni sulla salute della sorella disabile, tra le altre cose, padre Yáñez gli aveva raccontato, sconsolato e deluso, che la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva bloccato la pubblicazione del volume Famiglia e Chiesa, un legame indissolubile.

Il Papa in persona ordinò di dare subito il via libera alla pubblicazione, dicendo in quella telefonata quattro cose a padre Miguel, che me le riferì poi con grande gioia e stupore: primo, disse il Papa, “io ho bisogno del vostro lavoro di teologi”; secondo, “se il card. Baldisseri (allora Segretario Generale dei due Sinodi per la Famiglia) e mons. Paglia sono d’accordo, procedete con la pubblicazione”; terzo, “so bene che cosa pensa il card. Müller”; quarto, “qualunque problema potreste avere nel futuro, fatemelo sapere”». (…).

E conclude su questo don Chiodi: «È superfluo dire che quelle parole mi sono rimaste impresse in modo indelebile. Sono battute, si potrà dire – e peraltro non ne ho mai scritto prima d’ora – ma sono significative per comprendere il coraggio, la parresia, l’intelligenza, un certo modo di comprendere la riflessione teologica, e dunque alcune delle “novità” introdotte da Papa Francesco».

Conclusione alla quale anche io mi unisco.

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