
Rembrandt, Ritorno del figliol prodigo (1669 circa), Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
A quasi dieci anni di distanza dalla pubblicazione di Amoris laetitia, lo “scandalo” di alcuni gruppi cattolici per la visione misericordiosa di papa Francesco non è stato ancora superato. Lo ha rilevato con la consueta acribia Fabrizio Mastrofini, in un recente articolo per SettimanaNews[1].
Le cose più ovvie sono spesso quelle meno conosciute
Com’è noto, Francesco, nella famosa esortazione apostolica del 2016, si è mostrato, tra le righe, aperturista sulla possibilità di concedere la comunione alle persone che hanno divorziato e si sono poi risposate civilmente. Contro questa eventualità non sono mancate le critiche, talvolta aspre, talvolta anche dirette contro lo stesso pontefice. Ma adesso alcuni ambienti cattolici sembrano aspettarsi che il nuovo papa, Leone XIV, intervenga sulla questione e chiuda le porte alla misericordia auspicata dal predecessore. Leone XIV non si è tuttavia pronunciato sul problema, almeno non apertamente, sino a oggi. E non è detto che sia disposto a farlo.
D’altra parte, in questi anni, altri ambienti cattolici, in America o in Europa, si sono impegnati a difendere la linea di Francesco, invocando classiche distinzioni “di scuola”. Un peccato mortale, è stato ricordato, presuppone materia grave, piena consapevolezza e deliberato consenso; se manca anche una sola di tali ‘condizioni’, allora la colpa grave non sussiste: in casi del genere si potrebbe quindi concedere l’eucarestia anche alle persone risposate civilmente. Basterà questo solo argomento a mettere d’accordo le parti?
Ne dubito e anzi ritengo che dopo tante discussioni sia giunto il momento di rivisitare alla radice il problema che ha trascinato Amoris laetitia in così tante polemiche[2]. Dare la comunione alle persone risposate: in fin dei conti, sulla base di quale criterio si può decidere per un sì o per un no?
Per molti la soluzione è da cercare direttamente nel magistero dei papi prima di Francesco o più in generale nella cosiddetta ‘tradizione della Chiesa’. Ma chi si occupa di storia del cristianesimo sa benissimo che questo terreno va approcciato con molta cautela, dato che la dottrina della Chiesa, per quanto stimata immutabile – o immutabilizzatasi nell’immaginario contemporaneo? –, ha sperimentato nel suo bimillenario divenire parecchi sviluppi e cambiamenti, talvolta persino gravi contraddizioni, anche sul piano della morale e della prassi penitenziale. Nasconderselo sarebbe un grave errore. L’appello esclusivo alla ‘tradizione” non risolve quindi la questione di cui ci occupiamo, ma rischia di prolungarla indefinitamente.
Sic stantibus rebus, a mio avviso non c’è che un’unica via per venire a capo dei dubbi circa la possibilità di concedere l’eucarestia a quanti si trovano in situazioni familiari difficili: il confronto con le Scritture e in particolare lo studio delle testimonianze dei vangeli. Sono le Scritture, e in particolare i vangeli, il riferimento primario della vita della Chiesa ed è su base scritturistica che ogni aspetto della vita dei credenti è da vagliare, specialmente in situazioni complesse.
Che qualsiasi presa di posizione nella Chiesa debba essere presa e giustificata in tal modo è evidente a chiunque, naturalmente anche a quanti hanno assistito Francesco nella elaborazione della Esortazione del 2016. Ciononostante, e soprendentemente, la linea aperturista di Francesco in Amoris laetitia non è stata corredata da un adeguato approfondimento del concetto di misericordia secondo il vangelo.
Spero di non essere frainteso. Le citazioni, i rimandi, le allusioni ai vangeli, come ad altri libri biblici, non mancano nella Esortazione. Ma sono assenti, o sono fugaci laddove era più lecito attendersele e averne una discussione accurata, cioè al cap. 8, dove Francesco lascia trasparire la sua visione.
L’esercizio della misericordia nella vita della Chiesa e i suoi eventuali limiti vanno insomma giustificati spiegando, e se necessario riconsiderando con attenzione, cosa siano a) conversione, b) perdono e c) comunione secondo Gesù di Nazaret (per quanto ne ricaviamo dai vangeli ovviamente). È imperativo farlo. È l’aspetto fondativo di ogni possibile discorso ecclesiale. Se tutto questo avesse ricevuto maggiore attenzione in sede di elaborazione di Amoris laetitia, alcune polemiche non avrebbero forse avuto luogo o sarebbero state superate più facilmente.
Visto il deficit argomentativo della Esortazione di Francesco, mi sembra dunque ora opportuno presentare alcune riflessioni su tre punti cruciali appena enunciati: perdono, comunione, conversione secondo il Gesù dei vangeli. Prevedo ora un’obiezione: si dirà che si tratta di cose così scontate che non è necessario rimetterle al centro della discussione. Obiezione fragile, visto che molto spesso le cose ritenute più ovvie sono poi anche quelle meno conosciute.
Eccone una prova eloquente.
Luca 15,11-32 e l’arte degli equivoci sulla parabola “del figliol prodigo”
Come concepisce Gesù la misericordia del Padre? O come ce la presentano gli evangelisti?
La parabola lucana del “figliol prodigo” (15,11-32), che sarebbe più giusto chiamare “del padre misericordioso”, costituirebbe un ottimo esempio su cui riflettere, se non fosse che il brano, celeberrimo, è anche uno dei più equivocati del N.T.
L’equivoco ha radici secolari, tanto da essere stato ‘consacrato’ all’attenzione del grande pubblico da una celebre tela di Rembrandt (1606-1669): Il ritorno del figliol prodigo (in olandese: Terugkeer van de Verloren Zoon).
Rembrandt presenta il “figliol prodigo” della famosa parabola come un giovane col capo rasato, mesto e umiliato, che non osa levare lo sguardo. Sincero penitente, è in ginocchio di fronte al padre, un anziano che cerca a sua volta di proteggere pietosamente il figlio più giovane dal giudizio feroce degli altri. Sullo sfondo e sul lato destro del dipinto sono rappresentate altre figure, una delle quali rigida e distaccata, ha sguardo spietato: molti moderni, ma non tutti, vi riconoscono il fratello maggiore della parabola lucana.
Gli occhi chiusi del padre e le sue tenere mani, tratteggiate diversamente, quasi a sancire una duplice protezione – materna e paterna – del figlio riavuto, sono tra le cose artisticamente più riuscite del dipinto di Rembrandt e hanno da sempre comprensibilmente suscitato la commozione degli osservatori. Tuttavia, la giusta attenzione per questi particolari ha distolto lo sguardo dei più, anche quello dei critici, da un problema di fondo.
Ben pochi osservatori si sono resi conto che Rembrandt esprime in realtà nella tela la sua personale visione della misericordia divina, non quella del testo lucano. Per Rembrandt (e a dir il vero anche per tanti altri del suo tempo e forse anche di oggi), la misericordia del padre risiede nell’avere riaccolto e perdonato un figlio già pentito.
Pentimento come presupposto del perdono, conversione e solo allora pure comunione: in quest’ordine di idee ragiona Rembrandt intorno alla misericordia del padre, ovvero alla misericordia divina. Ma non è affatto questo il modo di pensare di Gesù secondo la parabola lucana, come a breve vedremo.
La tela del pittore olandese ha contribuito a plasmare in età moderna, e nella Chiesa, un ben preciso immaginario della misericordia divina, ovvero la concezione secondo la quale la pietà di Dio si esercita solo su chi, già pentito, torna ormai sui suoi passi. Nessuno, purtroppo, riesce a togliere dalla mente di tanti credenti di oggi l’immaginario che Rembrandt suo malgrado ha contribuito a radicare. È il potere delle immagini, capaci alle volte di sopraffare anche il significato della fonte ispiratrice[3].
L’amore senza condizioni: il vero significato della parabola lucana (nella sua prima parte)
Il messaggio della parabola è in realtà di senso perfettamente opposto alla rappresentazione del pittore olandese. A questo proposito giova tenere a mente che il Gesù lucano pronuncia la parabola proprio in risposta ad alcuni suoi critici, “scandalizzati” dal fatto che il Nazareno condividesse la mensa con i peccatori. Ricordo che al tempo e nel contesto di Gesù, la condivisione della mensa era un atto di comunione.
Torniamo quindi al racconto, che nella sua prima parte descrive un padre abbandonato e tradito e ciononostante in cerca del figlio perduto. Avendolo rivisto, quando quello era ancora lontano, il padre non esita: sente le sue viscere lacerarsi quasi come quelle di una partoriente – qui Luca usa il verbo della misericordia divina: σπλαχνίζομαι – e preso da un impeto d’amore esce di casa, corre disperatamente incontro al giovane figlio e giunto a lui si getta quasi come un bambino, per baciarlo sul collo.
Il padre della parabola sfida in questo modo anche la mentalità del mondo, compromettendo la sua reputazione. Toccare un impuro, e il figlio in quelle condizioni lo era visibilmente, voleva dire, per gli ascoltatori di Gesù, contaminarsi.
E ora il figlio, sorpreso ma in piedi di fronte al padre, prende la parola: «Padre ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». I Padri della Chiesa, che erano anche retori ed eccellenti filologi, individuano qui un elemento cruciale per la comprensione del racconto, un vero punto di svolta. Si tratta di una mancanza. Dopo l’abbraccio e i baci del padre, che inaspettatamente si è giocato tutto, persino la reputazione pur di amare suo figlio, il giovane non aggiunge, come inizialmente aveva meditato di fare, «trattami come uno dei tuoi servi».
Per quale motivo questa assenza? Perché l’amore del padre lo ha convertito.
Inizialmente, infatti, il ritorno del figlio non era stato provocato né da rimorso né da pentimento, ma da fame e miseria. Il figlio era ancora nel peccato. L’evangelista Luca lo dice a chiare lettere, beninteso per coloro che leggano con attenzione. Il figlio, in apertura della parabola, si reca in un paese «lontano». «Lontano» vuol dire peccato. Sulla via del peccato egli sperpera quanto ha per vivere e cade nel più acuto bisogno; la fame e il bisogno lo spingono a questo punto a convertire non il suo cuore, ma i suoi interessi (spera di vivere almeno da servo, con pane in abbondanza). E si mette sulla via di casa.
Luca narra il ritorno del giovane così: «Quand’era ancora lontano», cioè quando era ancora in peccato, il padre lo vide, uscì di casa e gli corse incontro con amore oltre ogni attesa e contro la mentalità dell’epoca. Ed è a questo punto che avviene l’inaspettato: di fronte alla misericordia senza condizioni del padre, il figlio perduto entra in crisi. E il suo cuore si converte all’amore del suo genitore.
Nella logica del vangelo il pentimento è la conseguenza dell’incontro con l’amore gratuito di Dio, non la sua condizione preliminare. È l’amore del padre che cambia il cuore del giovane uomo, non l’uomo a cambiare sotto il peso delle circostanze difficili della vita. Gesù, per come Luca (e non solo Luca) ce lo presenta, ha una visione controcorrente della misericordia divina, di senso opposto alla logica del mondo, perché per lui Dio è controcorrente.
Il Padre non aspetta il pentimento degli uomini, ma nel suo Figlio viene a mettersi a tavola con loro, perché il suo amore incondizionato li riporti alla vita. Il perdono è dato, non meritato.
È accettabile questa logica?
Convertirsi, cioè «cambiare mentalità»
La misericordia divina manifestata dal Gesù lucano contraddice in modo paradigmatico la mentalità del mondo, ovvero la mentalità che ha portato Rembrandt a equivocare la parabola sul “figliol prodigo” e a ribaltarne il senso su un aspetto cruciale.
Con ciò non si pensi che Rembrandt abbia colpe particolari. Era la mentalità del suo tempo.
Già, la mentalità. Anche questo è un punto su cui gravano molti equivoci. Perché quello a cui i credenti in Cristo sono chiamati è proprio un cambiamento di mentalità.
A questo proposito è utile forse anche un chiarimento sul significato evangelico del termine «conversione».
Nel vangelo di Marco, «conversione» non indica, almeno non in prima istanza, un cambiamento di comportamento (e meno che mai la sottomissione al tempio), ma un cambiamento di mentalità. Lo si dice in greco mediante il sostantivo metanoia (o col verbo corrispettivo μετανοέω).
Di cambiamento di mentalità si parla già all’inizio del vangelo di Marco (cap. 1, v. 15). Gesù inaugura il suo annuncio del vangelo in questi termini: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi (μετανοεῖτε) e credete nel Vangelo». Per quale motivo, in questo brano programmatico, si associa il cambiamento di mentalità al credere alla buona notizia?
Perché era contro la mentalità dell’epoca l’idea che Dio si facesse avanti per salvare il mondo. Dio, secondo molti di allora, veniva piuttosto per giudicarlo e condannarlo. Bisognava farsi trovare preparati (lo stesso Battista la pensava così). Per Gesù invece il Regno non aspetta che il mondo cambi. Al contrario, è il mondo a cambiare perché incontra il Regno, che viene inaspettatamente a fare comunione.
Gesù scandalizzava, scandalizzava il suo insegnamento, la sua provenienza (era un Galileo), il perdono che dava, come lo dava, la logica in base al quale lo concedeva, la misericordia guaritrice di cui egli parlava, la stessa comunione con i peccatori.
Oggi come ieri, il vangelo continua a essere motivo di scandalo, forse anche tra alcuni degli stessi cristiani, molto attaccati a tradizioni idealizzate e poco alla conoscenza approfondita dei vangeli.
Forse sono ancora in molti a pensare che la misericordia divina sia qualcosa in fin dei conti da meritare. Nella logica del vangelo, si tratta invece di un farmaco ricevuto gratuitamente, capace di guarire. Era quest’ultima la visione di Gesù, la logica da lui vissuta fino in fondo, anche la sera del tradimento. Allora, in segno di comunione col suo corpo e nel perdono dei debiti, egli spezzò il pane. Poi diede loro il calice del vino come farmaco di vita nuova. In quella notte drammatica, tutti ebbero parte al pane spezzato e al calice condiviso, anche Giuda. Questi aveva ancora il boccone in bocca, dice Giovanni (cap. 13,26-30), quando uscì da quella comunione. Gesù stesso gli aveva dato il boccone. Giovanni lo sottolinea.
Conclusioni
Il vangelo ha una visione controcorrente del perdono, della comunione, della conversione e di conseguenza anche della misericordia divina.
Oggi molti rifiutano l’idea di concedere la comunione a persone che vivono in questa o quella situazione considerata di peccato grave, ma il discorso, come rilevato a suo tempo dal card. Carlo Maria Martini, dovrebbe essere impostato in senso praticamente inverso: in che modo la Chiesa attraverso i sacramenti può venire in soccorso di quanti sono in situazioni familiari complesse[4]?
L’eucaristia, “usata” così tante volte nel corso dei secoli come strumento di esclusione, è invece la celebrazione, in Gesù di Nazaret, dell’inclusione[5].
- Emanuele Castelli è docente di Storia del cristianesimo e Letteratura cristiana antica presso il Dipartimento di civiltà antiche e moderne dell’Università di Messina
[1] Cf. F. Mastrofini, USA: questioni etiche e mondo “tradizionalista” − SettimanaNews, 25 agosto 2025.
[2] Amoris laetitia non era stata pensata specificamente per la questione. È vero, comunque, che Francesco ha toccato il problema, esprimendo la sua visione con cautela e tra le righe, senza enunciare apertamente un sì o un no sulla strada da percorrere. Così il suo documento è stato recepito in modi diversi proprio in merito alla concessione della comunione alle persone risposate. Per alcuni, il contenuto dell’Esortazione non modifica in nulla la precedente prassi penitenziale. Altri, invece, hanno riconosciuto la volontà aperturista di Francesco, approvandola. Altri ancora, pur avvertendo la stessa volontà, si sono opposti. Comunque, lo stesso Francesco è intervenuto successivamente confermando la linea aperturista della sua visione pastorale sul problema di cui discutiamo. Per opportuni approndimenti si veda l’importantissimo volume di Ignace Berten, Les divorcés remariés peuvent-ils communier ?, Enjeux ecclésiaux des débats autour du Synode sur la famille et d’Amoris Laetitia, Lessius, Bruxelles 2017, e dello stesso autore: Quand la vie déplace la pensée croyante. Mémoires d’un théologien, Cerf, Paris 2021, in part. pp. 399-405.
[3] Se ci fosse ancora bisogno di un esempio, basterebbe interrogarsi sulla conversione dell’apostolo Paolo. Nell’immaginario odierno è diffusissima l’idea che Paolo sulla via per Damasco cadde da cavallo. Peccato che in Atti non si parli affatto di questo, anzi è certo che lo spostamento avvenne a piedi (e infatti “lo presero per mano”). È Caravaggio ad avere dipinto la conversione di Paolo come un evento illuminante dopo la caduta da cavallo.
[4] Carlo Maria Martini pone questa domanda nella sua famosa intervista sulla Chiesa, indietro di 200 anni: «Chiesa indietro di 200 anni » − Corriere.it.
[5] Quanti desiderano ulteriori approfondimenti sulla natura della Chiesa e sul significato dell’eucaristica potranno leggere con profitto l’agile e lucido volume di Antonio Meli, Intervista sull’avvenire del cristianesimo, Armando Editore, Roma 2018. Lo stesso autore si è soffermato sul significato dell’eucaristia, con opportuni riferimenti alle fonti, in un precedente lavoro: Il mistero eucaristico, Armando Editore, Roma 2016.






Esiste ancora il peccato mortale? L’adulterio è ancora un peccato mortale? Il peccato mortale ci separa ancora dal Sommo Bene, togliendoci la Grazia santificante? Per tornare in Grazia di Dio è ancora necessaria la Confessione? Per avere l’assoluzione è ancora necessario il dolore per i propri peccati ed il fermo proponimento di non peccare più?
Se lasciassi mia moglie ed i miei figli per illudermi di vivere una seconda giovinezza con una nuova fiamma, non dico il papa, nemmeno un angelo potrebbe convincermi di non essere separato dal mio Creatore: “Chi mi ama osserverà i miei comandamenti”
Come non restare estasiati dalla lettura di questo articolo, come non credere che lo Spirito Santo continua a soffiare nella Chiesa ad illuminare donne e uomini. Per quanto possa essere limitata la mia conoscena questa lettura evangelica è sempre più diffusa e radicata. Una voce controcorrente che da anni ha una lettura simile, per esempio, è quella di Alberto Maggi, discusso, osteggiato, ma che continua per la sua strada.
Gentilissimo Cesare, ha perfettamente ragione, p. Alberto Maggi è un grande bene per la Chiesa di oggi: sempre impegnato a fare conoscere il vangelo, unisce competenza e libertà di coscienza a grandi capacità comunicative. Un cordiale saluto
Se leggiamo i Vangeli con attenzione, scopriamo una cosa sorprendente: Gesù non chiede quasi mai di domandare perdono direttamente a Dio.
• Gesù annuncia un Dio che perdona prima ancora della richiesta. Pensa al paralitico calato dal tetto (Mc 2,1-12): Gesù non gli chiede di pentirsi, ma subito dichiara: “Ti sono perdonati i peccati”. Lo stesso con la donna peccatrice (Lc 7,36-50): non c’è nessuna formula di richiesta, ma Gesù dice: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”.
• L’unico passo in cui Gesù mette sulle labbra dei discepoli una domanda di perdono è nel “Padre nostro”:
“Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12; Lc 11,4).
Qui Gesù insegna che la preghiera al Padre comprende anche il chiedere perdono, ma legato al perdono reciproco.
• In altre occasioni Gesù non dice “chiedete perdono a Dio”, ma “convertitevi” (Mc 1,15). La conversione non è tanto una formula di richiesta, quanto un cambiamento di vita che apre al perdono già offerto.
• Quando parla di perdono, Gesù insiste piuttosto sul perdonare gli altri: “Se tuo fratello pecca, rimproveralo; e se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ritorna a te dicendo: mi pento, tu gli perdonerai” (Lc 17,3-4).
Quindi, in sintesi:
• Gesù insegna a chiedere perdono a Dio una volta esplicitamente: nel Padre nostro.
• Molto più spesso, però, mostra che Dio prende l’iniziativa e che il perdono è legato al nostro perdonare gli altri e al convertirsi.
Gentilissimo Lucio, giustissimo. La ringrazio molto. Un cordiale saluto.
Capisco la buona intenzione dell’autore di argomentare la difesa verso l’insegnamento della Amoris Laetitia su una questione controversa; penso però che abbia girato un po’ intorno al problema cruciale che l’enciclica ha voluto affrontare, in linea con il precedente magistero, sulla questione della ricezione nella Chiesa delle persone risposate. Ricordiamo anche che l’enciclica raccoglie i frutti del dibattito di due sinodi sulla famiglia…
Per approfondire meglio la validità ed attualità dell’insegnamento di Papa Francesco sul tema, nonché la corretta lettura delle parti dell’enciclica che hanno suscitato perplessità e che sono oggetto dell’articolo, suggerirei un paio di letture:
Rocco Buttiglione, Risposte (amichevoli) ai critici di Amoris laetitia, Ares, 2017.
Walter Kasper, Il messaggio di Amoris laetitia. Una discussione fraterna, Queriniana, 2018.
Grazie e buon approfondimento!
Gentile GI (naturalmente non sono in condizione di decifrare l’acronimo), il suo commento suscita, quantomeno, perplessità che ho il piacere di condividerle. Già dalla parte iniziale del mio articolo è evidente che non ho intenzione di argomentare, a priori, a difesa dell’insegnamento di “Amoris laetitia”, perché uno studioso non scrive per posizione presa, favorevole o contraria che essa sia, né ha da dimostrare una tesi di partenza, ma argomenta e sviluppa un discorso su dati obiettivi in considerazione di un problema. Naturalmente ho trascelto poche cose dei vangeli tra le molte, moltissime possibili (ma il discorso potrebbe continuare all’infinito con altri esempi: ottime osservazioni qui sotto in un commento di Andrea Sanjust; e il discorso potrebbe andare avanti davvero a lungo). Come pure dico nell’articolo, “Amoris laetitia” è stata in realtà recepita in modi diversi, tanto che il papa ha dovuto/sentito il bisogno di pronunciarsi successivamente sulla questione e dare una indicazione sulla retta interpretazione dell’esortazione. In terzo luogo, discutere del tema della misericordia alla luce dei vangeli non vedo come possa essere un girare intorno al problema. I sinodi precedenti, il dibattito sul lungo periodo, e una infinita messe di dati storici sono esposti con ammirevole dettaglio specialmente (ma non solo) nel primo dei due volumi, che ho indicato nell’articolo, a cura del teologo domenicano Ignace Berten. Spero che entrambe le opere siano presto tradotte e che il pubblico italiano ne abbia presto familiarità e beneficio. Infine, è bene non dimenticare che “Amoris laetitia” non è una enciclica, ma una esortazione apostolica.
Articolo valido ed interessante con molti passaggi belli e significativi. Metterei però in evidenza la necessità di passare, prima di accostarsi all’Eucarestia, per il sacramento della riconciliazione, perché è questo che manifesta ed attua la misericordia di Dio per i peccatori: non a caso il brano evangelico del padre misericordioso viene spesso usato per decifrare la confessione sacramentale. Nello stato di grazia che tale sacramento realizza, sarà più idoneo poi accedere alla santa comunione.
È chiaro che la Confessione non serve secondo la prospettiva dell’articolo. Se il perdono è automatico, se non serve pentirsi, se non occorre nessun tipo di desiderio di miglioramento a cosa serve la Confessione? Non serve a nulla, è inutile.
Ma un divorziato risposato ( Catechismo Universale n.1650) non può accedere alla riconciliazione sacramentale, salvo che non si penta di ciò che ha fatto e decida assieme al coniuge di vivere castamente. Da fratello e sorella. Mi stupisce che non lo sapessi.
la prima parola del vangelo di Marco è : convertitevi non dice fate come vi pare tanto c’è la misericordia.
A Giovanni il Battista è stata tagliata la testa perché ha detto in faccia ad Erode che era in stato di peccato essendo divorziato risposato.
Domanda: dopo AL avrebbe ancora il diritto di rinfacciare ad Erode il suo stato? O andrebbe classificato tra gli indietristi?
Seconda domanda: Erode avrebbe avuto diritto all’ Eucarestia?
Credo ce ne sia abbastanza per concludere che AL ha aperto a delle contraddizioni da vertigine!!! Cosa mai successa in 2000 anni.
Una realtà, un mistero: l’incontro tra la misericordia divina e la libertà. Dio si propone e non si impone. Quando tutti noi eravamo “lontani” Gesù si è incarnato. San Josemaria esortava ad andare fin sull’ orlo dell’ inferno per cercare di salvare un’ anima. Ripeto: di fronte all’ iniziativa divina e alla nostra libertà dobbiamo avere l’umiltà di fermarci, non possiamo cadere nello gnosticismo. Non abbiamo in mano la soluzione per tutto. Dopotutto per salvarsi occorre il pentimento. Poiché la comunione, anche se può sembrare contraddittorio.
La “Amoris Laetitia” è forse l’opera più grande lasciataci dal meraviglioso Papa Francesco: rappresenta, infatti, un abbraccio e un invito rivolto a tante persone finora ingiustamente maltrattate da una chiesa spesso dura e intransigente. Grande, Papa Francesco, e grande la sua opera!
Uhm! Mi sembra un commento da “excusatio non petita”…
Non se la prenda! Dice di essere un non credente. Sicché per lui il Matrimonio non è un Sacramento.ma un mero contratto. Il suo giudizio non riguarda il dibattito all’ interno della Chiesa …
Quindi tutti i destroidi a partire da salvini. Be tanto h abbracciato leone mon potra mai fare la comunione e io aggiungerei non solo perche e divorziato due volte ma e anche razzista r la meloni contro i matrimoni figlia nata in peccato originale
Sì l’Amore gratuito di Dio apre una strada.. non solo per il figliuol prodigo.. anche per l’adultera.. tutte quelle situazioni in cui il Signore tende la mano per rialzare il peccatore senza aspettare il pentimento..
Tanti sacerdoti sentono nel cuore che possono farlo in qualche caso.. che sollievo per la persona che si è accostata al Sacramento.. il confessore sente operare la Misericordia nel cuore di quell’uomo o di quella donna.. che cambia.. si scioglie e si dispone al pentimento.
Grazie Signore Gesù.. sia benedetto il Tuo cuore..
Si… Diritto all’inferno!!! Se “osi” ricevere il Corpo e Sangue di Gesù Cristo indegnamente!!!
San Paolo e tutta la tradizione bimillenaria non possono essere “aggiornati” dai pruriti accomodanti dell’ultimo minuto.
Bellissima considerazione, GRAZIE, che apre la mente e il cuore per accogliere la Misericordia del Padre che Gesù è venuto a portarci. “Nella logica del Vangelo il pentimento è la conseguenza dell’incontro con l’amore gratuito di Dio, non la condizione preliminare”. Pensiero bellissimo ed esclusivamente “divino”. La nostra mente non poteva cogliere questa Bellezza e Grandezza. Solo il Vangelo ci può aprire la mente e il cuore. Eccezionale. GRAZIE, GRAZIE
Ma sinceramente, esiste un modo ‘degno’ di ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo, visto che lui è il Signore che siede alla destra di Dio Padre e noi siamo piccoli e fragili?
E la libertà dell’uomo?
L’uomo è libero o no di accettare il perdono di Dio?
Credo di sì.
È il figlio a tornare dal Padre.
È il figlio ad abbandonare la compagnia dei maiali (letteralmente) per tornare alla sua vecchia casa.
Il Padre certamente non vede l’ora di abbracciarlo ma, nonostante tutto, lo aspetta.
Significherà qualcosa?
Infine un’ultima osservazione.
L’unità della Chiesa è gravemente in pericolo, preghiamo per il papa affinché, con l’aiuto di Dio, trovi il modo per porre riparo alle vistose crepe che vanno allargandosi.
Il passaggio dell’articolo (articolo a mio avviso veramente eccellente) in cui l’autore cita il fatto che anche Giuda ha parte del pane e del calice di Gesù, penso si possa integrare con quanto detto da Leone XIV nell’udienza generale del 13 agosto (e, tra parentesi, posto in evidenza proprio in questo sito da Riccardo Cristiano): [ Gesù] “non rinuncia a spezzare il pane anche per chi lo tradirà”.
A proposito di misericordia e comunione, verità e carità, personalmente penso che anche il racconto del rapporto tra Gesù e la samaritana del pozzo di Sichar capitolo 4 di Giovanni) vada proprio nel senso indicato dall’articolo. Gesù si rivolge così alla donna: “hai detto bene: “non ho marito”, perché hai avuto cinque mariti e ora quello che hai non è tuo marito”, quindi non nasconde la verità, ma questo non impedisce a Gesù stesso di continuare a parlare con lei, di proclamarsi con lei il Messia, di far sì che lei stessa divenga apostola presso i Samaritani (con tutto ciò che rappresentavano i Samaritani!) e a stare poi due giorni presso di loro: più comunione di così!
Grazie, devo leggerlo bene Amoris Laetitia, è una mia grave mancanza.
Le tesi esposte nell’ articolo sono completamente sbagliate. Per potersi accostare all’ Eucaristia bisogna trovarsi (o almeno presumere di trovarsi) in stato di grazia. Diversamente si compie un atto inautentico (non si può essere in comunione con Cristo se si è in stato di peccato) e pure un sacrilegio. In più, è perfettamente vero che il perdono presuppone il pentimento. Affermare in contrario significa non conoscere il cristianesimo (anche se si insegna in una facoltà teologica) o volerlo sovvertire. Questa è la dottrina cattolica autentica, il resto è eresia. Ma, francamente, che certe posizioni vengano da codesto giornale non mi stupisce a fatto. Pregherò per la vostra conversione e per l’ anima degli sventurati che dovessero accogliere i vostri cattivi insegnamenti. P.S. so che mi darete di fariseo ipocrita ecc.. sappiate in anticipo che me ne frego.
Vedrà che leggere settimananews la farà bene. Insista.
Nell’ultima cena.. siedono i dodici apostoli insieme con Gesù alla mensa eucaristica.. c’è il traditore.. c’è l’avversario..
Se sapesse quale sogno misericordioso ho in fondo all’anima.. i meriti di Cristo Gesù sono infiniti.. anche la speranza..
La Chiesa sarà protestante senza esserlo, sbaglierà i suoi passi, dopo Sarà.
(Prossimi eventi in Vaticano)
Matteo 26,21-25
21 Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». 22 Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». 23 Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. 24 Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». 25 Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
Mi permetto soltanto di sottolineare questo passo: guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!
La Speranza cristiana non è un sogno che ci fa battere il cuoricino. E’ la Speranza che il peccettore si converta.
Sig. Tommaso, secondo Lei le tesi nell’articolo, sono completamente sbagliate, e sottolineo secondo Lei. Sicuramente dal suo discorso traspare una rigidità impressionante che non ritrovo assolutamente nei Vangeli. La sua posizione assomiglia di più a quella del fratello del figliolo prodigo che a quella del Padre misericordioso. Il fatto poi che lei stesso creda che le diano del fariseo e dell’ ipocrita anticipa forse una sua autovalutazione. E, sinceramente, quel me ne frego finale non mi sembra proprio ispirato dallo Spirito Santo. La chiesa che lei vorrebbe rappresentare non è quella di Gesù Cristo descritta nei Vangeli. Per favore li rilegga lasciando da parte ogni pregiudizio e lasciandosi ispirare dallo Spirito Santo. E così faccia quando incontra i suoi fratelli in questo mondo.
Saper leggere il Vangelo significa cogliere i particolari. Questo padre che corre verso il figlio lontano solo vedendolo all’orizzonte. Questo padre sempre alla finestra pronto a cogliere ogni segno di ritorno anche senza pentimento perché il figlio rientra per fame non per pentimento. Eppure senza nemmeno attendere la richiesta di perdono lui corre verso il figlio. Ma non è meraviglioso? Ma quale Dio meraviglioso e di amore commovente abbiamo noi cristiani? Eppure non riusciamo a capire…. Siamo duri di cuore spesso e non riusciamo a trasmettere un amore così grande perché non siamo in grado di capirlo. Solo la conversione riesce a metterci in sintonia con l’amore Dio. Altrimenti restano solo dottrina, devozioni e regole.
Inutile girarci attorno, con amoris letitia la dottrina è stata sovvertita.
E con fiducia supplicas peggio.
Domanda: perché la fraternità di San Pio X è in continuo aumento di preti e suore?
Sovvertire la dottrina quando non è in linea col vangelo è un dovere! Chi ha paura scappa nella tradizione.
“Impugnare la verità conosciuta” è un peccato contro lo Spirito Santo, definito da San Tommaso come l’atto di combattere o opporsi alle verità di fede che si conoscono, con l’intento di peccare con maggiore libertà”..anche l’ AI ci arriva .. comunque già il fatto che si debba rileggere più volte un articolo per capirlo bene è indicativo . Queste teorie non solo confondono la fede nei semplici ma alla fine confermano i fratelli nel peccato invece che nella grazia. Il peccato è peccato anche se non se ne vuole più parlare . Lo sanno tutti quelli che ci sono passati e hanno lottato per uscirne ..al contrario, senza lotta, la porta che indica Gesù non sarebbe quella stretta ma l’altra. Ovvio che la via larga in un primo momento attrae di più, è molto più comoda .. fate attenzione, il vostro bagaglio di conoscenze dovrebbe servire per approfondire il magistero e per trovare nuovi modi per trasmetterlo, non per metterlo continuamente in discussione. Dovreste confermarci nella fede e invece create un sacco di confusione . Comunque l’Eucarestia non è un diritto
Visti alcuni messaggi invito la rivista ad organizzare una scuola biblica. C’è tanto bisogno.
“il vostro bagaglio di conoscenze dovrebbe servire per approfondire il magistero e per trovare nuovi modi per trasmetterlo, non per metterlo continuamente in discussione”. Esatto!!! Solo che per alcuni il magistero è solo ciò che credono loro, e se a loro non va bene qualche espressione del Magistero allora… apriti cielo. Che ci piaccia o no, anche Amoris Laetitia è magistero
Ma tu sei per Cristo o per la dottrina? chiedo per un amico fariseo.
Comunque la fraternità San Pio X è in crisi nera, altro che aumento di suore e preti, ma anche fosse ricordo che Cristo in croce c’è andato con due ladroni, gli altri son tutti scappati compreso Pietro.
Cristo è la DOTTRINA!
Vero tra due ladroni ….uno si è salvato perchè ha chiesto perdono l’atro no.
E mooooolto pericoloso sentirsi più buoni di NSGC.
Buona fortuna!
39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». 40Ma l’altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? 41Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». 42E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
Mi dica dove legge che chiede perdono?
Giusto. E neppure c’è scritto che l’altro non si è salvato….
Perché forse è nata per formare sacerdoti e in tutta la sua attività spinge molto sulle vocazioni insistendo sull’altissima dignità del sacerdozio?
Cosa che forse dovremmo anche noi imitare …
Per il resto questa sua politica allegra di reclutamento ha dato origine a tutta una serie di problemi, tra cui il continuo frazionamento ed emorragia verso altri gruppi e la presenza tra il loro clero di vari abusatori.
Credo che la riflessione potrebbe arricchirsi e, forse, anche completarsi se si riflettesse sul fatto che il cammino di ritorno al Padre – poiché il pentimento è un cammino, non senza una direzione precisa, però – ha inizio nel momento in cui il figlio rientra in sé stesso. Questa espressione mi richiama GS 14: “L’uomo nella sua interiorità trascende l’universo: in quelle profondità egli torna, quando si volge al cuore, dove lo aspetta Dio, che scruta i cuori, là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide di se stesso”. Questa presenza di Dio nel cuore umano non dipende dall’uomo, dal suo riconoscimento. Nella realtà il Padre non resta a casa a guardare e attendere da lontano il ritorno di chi si è allontanato da Lui, ma è nel suo cuore, e lì lo attende. Ciò che non dovrebbe darsi per scontato è che l’uomo è in relazione così stretta con Dio che è lontano da Lui solo perché è lontano da sé stesso, e ritornando verso sé stesso trova sé stesso e Dio. L’uomo, estraniandosi da sé stesso nelle cose, può non essere ancora o non essere più consapevole di questa presenza di Dio, ma non la perde. Dio, infatti, lo aspetta nel suo cuore (Benedetto XVI).
Quanto alle parole che il figlio rivolge al padre, mi sembra interessante notare che questi gli consenta di riconoscersi peccatore: ho peccato contro il Cielo e contro di te; lascia che il figlio dica e sia nella verità, non cerca attenuanti. Del resto, parlando con il figlio maggiore, dirà che suo fratello era perduto e morto, segno che allontanarsi dal padre non ha voluto dire farsi un’altra vita! Ciò che non gli permette di dire è quello che dovrebbe fare lui: trattami come un servo. Parole, queste, che dicono quanto ancora questo figlio debba camminare per riconoscere pienamente il padre e la sua identità filiale inalienabile.
“L’uomo nella sua interiorità trascende l’universo: in quelle profondità egli torna, quando si volge al cuore, dove lo aspetta Dio, che scruta i cuori, là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide di se stesso”.
No, l’ uomo è creatura, non trascende proprio nulla, tutto ciò che ha l’ uomo in più è dono.
Come ha fatto notare nell’ articolo l’ autore, il padre non aspetta nulla, il primo a correre fuori è proprio il padre, sottolineo, il padre non aspetta il figlio che ritorni, gli corre incontro, esattamente come il pastore che perde la pecora e va a cercarla. Allo stesso modo in realtà nella parabola del “figliol prodigo” mica si dice che il figlio si sia pentito, magari scappa un altra volta, la pecora poi mica si pente è una bestia, torna perchè il pastore la va a riprendere, ma nessuno ci dice che la pecora sia pentita o che non scapperà di nuovo. Quante volte noi diciamo padre ho peccato, ma poi torniamo a peccare… però il perdono non manca mai; penso che la conversione sia proprio accettare che L’ Amore di Dio è gratis e trascende il peccato. Penso sia difficile accettare un perdono che sia così, forse è proprio questo che ci viene chiesto di fare e poi di esplicarlo agli altri vivendo questo perdono gratis, accettando che Dio perdona anche gli altri gratis.
Articolo bello e interessante. Con una battuta – che poi in realtà non lo è – mi viene da far notare che nella Chiesa manca il discernimento (https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/09/amoris-laetitia-3.html). Tutto o quasi viene ridotto a quella logica mondana del “mi piace/non mi piace”: non deve e non può essere così in una comunità che vuole far proprio lo stile di Gesù.