Annunciare dentro la realtà

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Foto di Kristel Hayes su Unsplash

La realtà contemporanea è un ambito della sintesi im-perfetta tra opposti. È il luogo in cui si moltiplicano esperienze di partecipazione dal basso, di condivisione di tempi e di beni, ma anche il luogo in cui si radicalizzano comportamenti individuali, chiusure e atteggiamenti difensivi. È il contesto comunque da vivere, se si vuol capire come gira il mondo.

Il convegno dei direttori degli uffici catechistici tenutosi a Scalea (Cosenza, 15-17 giugno) ha affrontato il tema del kerygma declinandolo sui problemi del nostro tempo.

Recuperare la relazione

Lo spazio, la città, le relazioni contano tantissimo se ripensiamo alla nostra esperienza di benessere e di crescita assieme agli altri. Tutto quello che sta attorno a noi ci plasma ci fa stare bene o ci fa stare male.

La qualità degli spazi incide profondamento sul nostro vissuto. Ma veniamo da un periodo in cui il mondo si è trasformato in “scatole”: la casa, la scuola, l’ospedale, perfino la Chiesa, pensata come “scatola dello spirito”…

Oggi questa organizzazione non ci appartiene più, non risponde più alle esigenze umane più profonde. Ci si è resi conto, ad esempio, che la salute non è legata solo all’ospedale, ma anche alla natura, al cibo, alle relazioni.

Dentro l’esigenza di uscire dalla prigionia dalle scatole si capisce quale rilevanza abbia la relazione. La catechesi non può avvenire dentro una scatola, in chiesa, seduti su un banco. L’esperienza religiosa deve tornare ad essere emozione, esperienza del corpo, incontro con una comunità che ci ricorda a che cosa siamo chiamati.

Immagina se…

“Immagina se”. Sono potenti queste due parole. Se liberate, possono diventare espressione di bellezza, di vita e di esperienza. Lo spazio rigenera le anime, a partire dall’esperienza di tre “E”:

  • Empatia, sentire e ascoltare le cose del cuore
  • Esperienze, fare delle cose insieme
  • Emulazione, fare delle cose che si vuole fare imparando da coloro che le hanno già vissute.

L’“Immagina se” dice che non si è fatti solo di bisogni materiali, ma anche di domande di senso, soprattutto nei momenti della pena e della fragilità.

Decisamente efficace nella sua proposta Elena Granata, docente di Urbanistica e Analisi della città e del territorio presso il Politecnico di Milano. Agli operatori pastorali ha suggerito di immaginare quanti altri luoghi di apertura e di contaminazione si possono pensare per la vita ecclesiale, e quante energie creative non vengono utilizzate finché si vive pacifici dentro le scatole.

Legame tra kerygma e catechesi

Una prima azione da mettere in atto perché non ci sia la riduzione del Vangelo nelle scatole della dottrina e della morale è la costruzione del legame positivo tra kerygma e catechesi, che ha la forma del racconto del Vangelo di Gesù, e che è Gesù.

Il kerygma dice il carattere di grazia, di sorpresa, di prossimità, di novità del Vangelo. La catechesi è l’eco di questo annuncio nello spazio sconfinato della vita, è la risposta della conversione, della fede, l’affascinante cammino della sequela e della missione, la costruzione della mentalità cristiana, la trasformazione del mondo e il rinnovamento della storia.

Il rapporto tra kerygma e catechesi è intessuto nel racconto che custodisce l’ancoraggio sia alla vicenda singolare di Gesù come centro della storia della salvezza, sia al fatto che questa storia si esprima in un annuncio di gioia e di vita (kerygma) e nell’appello alla conversione, alla fede (catechesi).

L’intreccio tra kerygma e catechesi si realizza nel racconto evangelico e nella predicazione apostolica e, in secondo luogo, nella catechesi dell’iniziazione cristiana.

Il kerygma crea racconto. Man mano che l’annuncio si sviluppa e si concretizza nella fondazione di nuove comunità apostoliche, si recupera la vicenda di Gesù fino al grande scenario della storia di Dio con il suo popolo.

Il kerygma crea racconto perché fa storia, aggrega discepoli, fonda nuove comunità, sostiene la loro vita liturgica e missionaria, incontra popoli diversi, abbatte il muro di separazione tra giudei e greci.

La narrazione orale e scritta dei discepoli di Gesù è possibile perché dà forma alla loro azione pastorale, che è una pratica e una catechesi di vita buona e di fraternità missionaria. Perciò il Vangelo ha la forma di un racconto e trova piena comprensione narrando l’incontro con Cristo e la trasformazione della vita cristiana.

La forza del racconto

Kerygma e catechesi sono distinguibili e inseparabili. La loro forma unitaria e unificante è il racconto: sia la singola narrazione esemplare, sia il macro-racconto del vangelo, sono concepiti come un congegno per cercare e incontrare Gesù. Le strade di accesso sono diverse, ma tutte portano all’incontro singolare con Gesù. Il racconto custodisce sia la strada per cercare sia il cammino per incontrare, con le sue incertezze, i suoi tempi e i suoi esiti. Nessun racconto del Vangelo è lineare, tutti sono sorprendenti.

Kerygma e catechesi sono inseparabili nella narrazione evangelica e nella tradizione apostolica. L’uno indica il roveto ardente dell’annuncio, l’altra indica l’eco della vita, del colore e del calore dell’incontro con Gesù, che si diffonde in tutti gli spazi della società e del mondo.

Il fuoco ardente, se non riscalda gli spazi dell’esistenza, non serve a nulla. Il terreno che non si lascia fecondare dal seme resta steppa arida. Il vangelo è, per larga parte, il racconto dell’incontro con Cristo e della formazione dei discepoli al nuovo volto di Dio che egli comunica.

In egual modo, la proclamazione di Gesù risorto diventa un appello a riconsiderare la morte e la croce non come il fallimento della sua vicenda, ma come l’inizio della nuova vita dei credenti (cf. in Settimananews del 15 febbraio 2023 “Annunciare il Risorto. Come?”).

L’annuncio di Pasqua fa capire che l’incontro originario con Gesù non è un episodio rinchiuso nella storia e capitato solo ad alcuni, ma è l’incontro sempre attuale con il Risorto vivente.

La parola Vangelo dice il cuore del cristianesimo che è, insieme, incontro e annuncio. È un incontro che diventa annuncio ed è un annuncio che porta a un incontro, anzi, all’incontro decisivo con Cristo, vivente oggi nella testimonianza della Chiesa e dei credenti, il quale, nello Spirito, conduce a pienezza la nostra ricerca di identità.

Proponendo il tema dell’annuncio, non si tratta solo di trovare nuovi linguaggi per dire oggi la fede di sempre, ma occorre anche trovare forme pratiche di vita per favorire l’incontro vivo con Gesù.

Un periodo per immaginare

In un tempo di grandi mutazioni, due fatti sfidano l’azione catechistica.

Il primo dice che siamo in difficoltà non solo a trasmettere la fede, ma anche a trasmettere la vita con i suoi significati. Il secondo presenta la realtà di tante persone che, in maniera differenziata, si affacciano alle porte delle nostre comunità e domandano la fede.

Il primo fatto mostra che la fatica di trasmettere la fede è legata alla difficoltà di trasmettere le forme della vita buona. Le ragioni sono tante ma, in particolare, si assiste all’affievolirsi della passione educativa sia delle famiglie sia delle comunità.

Nel comune sentire, la trasmissione alle nuove generazioni non solo dei saperi ma anche della formatizione è percepita come compito prioritario. Di fatto, però, l’educazione sembra patire una certa marginalità nella sensibilità sociale. Talvolta, le migliori risorse del volontariato, anche cristiano, sono rivolte prevalentemente verso la cura dei mali sociali.

Nel contesto sociale pluralista e multireligioso di oggi, non si può più dare per scontata la trasmissione dell’esperienza credente e della dottrina essenziale della fede. L’identità della fede appare minacciata da ragioni culturali e religiose, da forme di relativismo ideologico, dall’identificazione frettolosa della fede con alcuni segni cristiani, dal fenomeno della trasformazione della fede in una specie di religione civile e identitaria.

Oggi si presentano sempre più situazioni che richiedono una vera e propria rinascita della fede.

L’intreccio tra kerigma e catechesi ha ancor oggi un momento vitale nella catechesi dell’iniziazione cristiana, ma rivela ormai tutta la sua fatica. È forse il sintomo più importante della fine del regime di cristianità.

Il dispositivo messo in campo per ovviare alla difficoltà è un accrescimento della dimensione pedagogica, facendo leva sulla formazione ai sacramenti e sulla consapevolezza per accedervi. Si propende più per un’iniziazione ai sacramenti che per un’iniziazione attraverso i sacramenti. E anche quando si pone l’accento sul secondo percorso, il “mediante i sacramenti” viene riferito prevalentemente all’aspetto rituale più che alla trasmissione della fede in rapporto alle età della vita. Si fatica a iniziare alla vita di fede.

Nel trentennio dopo il secondo conflitto mondiale le componenti del triangolo educativo erano strettamente saldate. Nel trentennio che è seguito, dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo delle ideologie (1989), famiglia, scuola e comunità si sono sciolte nelle relazioni della società liquida e sembra stiano passando allo stato gassoso.

La trasmissione della vita e delle sue forme buone non può avere solo come fine l’armonia fisica, psichica, spirituale, ma deve consentire di ereditare l’essere-persona, l’agire da persona. Su questo sfondo è possibile prospettare l’iniziazione alla fede come coronamento della trasmissione della vita. La sfida che rimane aperta è trasmettere il saper-vivere in profonda simbiosi con il saper-credere. Non si può vivere senza credere, non si può credere che per vivere. E per vivere come risposta al bello, al bene e al vero.

Il senso del cammino

Nel processo di iniziazione ci sono alcuni passaggi che sono stati rivistati in questi anni ma che, nel tempo, hanno perso la loro qualità di azione. La catechesi da 0-6 anni mira ad accompagnare la trasmissione della vita da parte dei genitori perché non trasmettano solo la vita fisica, ma anche i valori della fede. È la stagione della vita in cui il bambino diventa un essere parlante attraverso il racconto, l’immaginazione, la preghiera, la musica, il gioco…

Dai sette anni fino alla pubertà, la catechesi di iniziazione dovrebbe essere quella che introduce alla vita cristiana mediante i sacramenti come dono promesso. Non si deve temere che la vita umana come dono e i sacramenti come dono dell’incontro con Gesù nella Chiesa, possano attraversare una crisi, perché questo tempo è dirompente nella vita dei ragazzi. Pensare che la pratica religiosa del tempo della fanciullezza sia una garanzia che dura tutta la vita, significa interpretare il sacramento in modo cosificato e la vita umana senza storia.

La terza fase inaugura il viaggio dell’esodo verso la vita umana e cristiana adulta. L’elemento di discontinuità rispetto al percorso fatto fin qui è il cammino della libertà che fa fiorire il dono trasmesso come dono personalizzato. La scuola passa in primo piano nella frequenza dei luoghi del sapere e dell’agire competente, comunità e famiglia restano attivi come luoghi di passaggio verso la scelta di vita personale del giovane.

Giulio Brambilla, vescovo di Novara e presidente CEDAC, ha dato concretezza alle riflessioni sul rapporto kerigma/catechesi con un’immagine felice: «Nel cammino struggente e meraviglioso del deserto, si sperimenta la mancanza di beni necessari (pane e acqua), si stipula l’alleanza tra Dio e il cuore, nasce la coscienza di essere popolo, si diventa numerosi nell’ascolto della Parola che esce viva dalla bocca del Signore» (Dt 8,1-4).

Sono le persone, con i loro comportamenti, le passioni, gli interessi, che trasformano la realtà e rendono vivo l’annuncio.

Occuparsi di evangelizzazione oggi significa provare a intrecciare gli sguardi, mettersi in gioco, cimentarsi nello scambio, confrontarsi con soggetti che hanno storie diverse dalle nostre, per vedere insieme più lontano.

Solo facendo esperienza di ricerca viva e condivisa si può consentire la modernizzazione del kerygma e l’uscita dallo scontato. La Chiesa non può più rimanere bloccata sul “si è sempre fatto così”. Non serve una “teoria” della partecipazione, occorre l’energia necessaria per uscire dalle proprie autonomie e confrontarsi con gli interlocutori reali. Loro stessi ci trasformano, e l’annuncio diventa vita che si intreccia.

È quello che è avvenuto nei giorni del convegno, ed è ciò che succede ogni volta che si diventa “curiosi” della vita e ce ne prendiamo cura.

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