
Il vescovo di Pinerolo Derio Olivero ha scelto il tema della festa, perché, dal come la si vive, emerge il modello di persona e di famiglia, di società e di Chiesa che c’è nel cuore.
La Lettera pastorale non è solo un modo con cui il vescovo esercita il suo magistero ordinario nella Chiesa locale, ma è anche l’espressione del suo stile di relazione con il presbiterio e il laicato, il segno del suo inserimento nella realtà territoriale, la cifra della sua sollecitudine pastorale e il criterio del suo servizio di guida della comunità diocesana. Si potrebbe sintetizzare così: “Dimmi a chi ti rivolgi, cosa proponi e come scrivi e ti dirò che vescovo sei”.
Con la sua Lettera “In Festa” Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, si rivolge alla gente comune, non intende fare un trattato di teologia per laici, non offre un testo farcito di citazioni bibliche, non vuole denunciare le varie derive della società odierna. Mettendo al centro la “festa”, egli preferisce proporre uno stile di vita con un linguaggio semplice e accattivante, coinvolgente e suadente. Niente di “ecclesiastichese”.
La lettura del testo è scorrevole e avvincente, motivante e capace di suscitare il desiderio di arrivare alla conclusione, come in un romanzo appassionante, cosa che non sempre avviene con le Lettere pastorali
Riti di passaggio familiari (compleanni e anniversari) e tradizioni popolari, riferimenti alla liturgia e al costume, cenni alla cultura e all’arte (dipinti, poesie), memorie personali: tutto viene valorizzato in una bella sintesi di sguardo antropologico e di esperienza cristiana.
Certo colpisce che, nella molteplicità di problematiche di attualità (guerra e pace, violenza di genere e partecipazione civica, ecologia e diseguaglianze sociali, calo della pratica religiosa e incertezza del futuro ecc.), mons. Derio scelga di approfondire proprio il tema della “festa”. Eppure, dal come si vive la festa emerge il modello di persona e di famiglia, di società e di Chiesa che si porta nel cuore. La festa aiuta molto ad essere pellegrini di speranza.
Il cristianesimo è “festoso”
Iniziata proprio il 15 agosto, questa lettera desidera aiutare a riscoprire il dono della festa, religiosa e laica, che manifesta la bellezza, la bontà e la gioia di stare al mondo, è una finestra sul mondo della fede e di tutte le persone.
Certo, la festa religiosa è incentrata sulla presenza di Dio. Il rito, il riposo, il pasto, il tempo con gli amici aiutano a percepire la sua presenza. Infatti, «se c’è un Dio che si cura di te e ti apre la strada, allora ha senso fare festa, stare con gli altri, mangiare un pasto in allegria. Ha senso vivere. In Dio si chiude il senso. Si può affrontare il futuro con fiducia, si possono portare i pesi dell’esistenza, si possono affrontare i contrattempi. Si può credere alla vita. La festa religiosa dice la verità di ogni festa laica, la verità della vita e la verità del nostro desiderio di felicità. Senza i sensi, la festa è vuota; senza il senso, la festa è cieca» (p. 12).
C’è bisogno di un reciproco rimando.
La festa laica tocca i sensi, ma spesso manca di senso, di una visione, di una storia, di una Presenza: puro divertimento e ripiegamento su di sé, senza accendere il desiderio, senza apertura su “altro”, su “oltre”.
La festa religiosa rischia di presentare un senso senza toccare i sensi, col pericolo di restare vuota, fredda e astratta, senta toccare realmente la vita e il suo grido.
Le feste sono un’ottima occasione per ritrovare la bellezza della fede cristiana, la sua vitalità e la sua incontenibile gioiosità; per ritrovare l’aggancio tra fede e vita, tra fede e cultura; per riscoprire la domenica, oggi divenuta semplicemente week-end.
Sì, il cristianesimo che sorge dalla bella notizia (Gesù offre la vita per te, è risorto e ti dona il suo Spirito) è una religione festosa, garantisce respiro e leggerezza al nostro cammino, assicura una direzione, una destinazione e un senso. Il sogno permanente di Dio è la festa: dalla creazione al compimento finale. Non è casuale che la Scrittura presenti il Paradiso proprio con i caratteri della festa: banchetto, danze, vino, profumi.
L’augurio del Pastore è chiaro: «Abbiamo bisogno di non sprecare le feste religiose. Senza di esse si spegne il panorama e si abbassa il soffitto. Non è più possibile uno sguardo lungo. Ci resta solo l’attimo presente, da spremere fino al midollo. Senza le feste, Dio diventa un’idea, un insieme di verità, una dottrina. Sa di carta, non di carne. Diventa astratto, inutile, lontano. Senza le feste, i desideri si spengono, lasciano il campo ai bisogni nella frenetica rincorsa al benessere ad ogni costo. Finiamo per essere pieni, ma vuoti. Non si tratta di essere pieni, ma accesi. Le feste vengono, nello scorrere del tempo, a riaccenderci alla vita. Donandoci ancora la presenza del Dio della festa» (p. 15).
Ogni settimana il cristiano ha un giorno per fermarsi e guardare con gratitudine al passato e incontrare il Dio che fonda il futuro. Allora, in sua compagnia e certi della sua benedizione, si riprende la settimana. Ogni domenica «interrompe il tempo dell’orologio, il tempo fatto di ore sempre uguali, per immetterlo nel tempo di Dio e dipingerlo di colore, di gusto, di compimento, di senso. Tutte le feste religiose squarciano il tempo inserendoci la sua Presenza, anzi la sua amorevole cura. Ogni festa inserisce il divino nella storia, il trascendente nell’attimo. Inserisce la Pasqua di Cristo nel nostro cammino quotidiano. L’amore esagerato del Crocifisso, l’amore smisurato, “sprecato” di Cristo entra nelle nostre giornate, nel nostro respiro, nella nostra ordinarietà. Dona un senso, una direzione, una salvezza. La vita non è inutile, non è una condanna. È una storia di salvezza» (p. 33).
La festa, sintesi e profezia
Il senso della festa è far riscoprire, quasi far “toccare” la presenza di Dio attraverso le relazioni vere e sincere, che generano il senso di comunità e di appartenenza.
La festa è strettamente legata alla costruzione dell’identità personale, perché il vero me non è un essere isolato, autocentrato, chiuso in sé, staccato da tuti. Il vero me è un essere in relazione. Io non sono un individuo che si è costruito da sé, ma un soggetto che è stato costruito da tanti incontri, con il contributo di tanti. Io sono ciò che sono grazie alla storia che mi ha preceduto (genitori, nonni, insegnanti, intero paese).
La festa del paese, ad esempio, insegna a dire grazie alla comunità paesana, alla società, alla terra, a Dio. La festa stimola la collaborazione e aiuta ad “assaporare” un senso, a percepire la bellezza della vita. Talvolta si pensa che le feste siano un momento “a parte” rispetto alla vita, per “staccare del tutto”, per stornare lo sguardo: invece, sono l’occasione per ripartire ad affrontare la vita, certi della vicinanza del Signore.
La parola “festa” deriva dal latino “festus dies”, che significa “giorno opportuno”. Come afferma Giuseppe De Luca, la festa è al tempo stesso «un’occasione di discontinuità nel tempo, che definisce un prima e un dopo, e un elemento di continuità e di riconoscimento, dal momento che ciclicamente rinsalda i legami, attribuisce al tempo regolarità e ritorni. Il corso della vita degli uomini e delle donne di ogni tempo è scandito dal “fare festa”: vivere un rito comunitario nel quale si afferma la cultura, si ripropongono alcuni valori comuni, si condividono gli eventi storici e quelli individuali, si conferma la fede. Il sacro e il profano, la morte e la vita, lo spontaneo e l’ufficiale, il privato e il pubblico, il tragico e il comico, l’integrazione e la contestazione, la cerimonia e il divertimento caratterizzano la festa come “sinergia di antitesi» (p. 24).
La nostra società concentra l’attenzione sul lavoro, per cui la vita è fatta di tempo lavorativo e tempo libero dal lavoro. In tale contesto, le feste generano un “tempo diverso” gratuito, generativo, rigenerante, capace di aprire al futuro.
Le feste rompono la rigida monotonia, creano “passi di danza” nel rigore regolare dei giorni, come la festa di compleanno che coniuga memoria, identità e comunità, intreccia passato e futuro, dona un senso al tempo.
La festa di compleanno esprime gratitudine, richiesta di aiuto e fiducia nel futuro; trasforma l’angoscia della finitezza in senso, riconosce il valore della vita dell’altro, invoca il bene per il suo domani e trasforma il passare del tempo in un momento sacro. Attraverso gli auguri, che sono un segno di benedizione e di speranza, la comunità rinnova i legami, accompagna i passaggi dell’esistenza e afferma che la vita è sempre degna di essere vissuta e celebrata.
Fare gli auguri significa riconoscere che la vita non è solo un fatto biologico, ma un mistero sacro. È un modo per dire: «Che la tua esistenza sia custodita, che ti sia dato di compiere ciò che sei chiamato a essere. Non sei solo davanti al nuovo che ti spetta, io sono con te e desidero il tuo bene» (pp. 30-31).
In tale circostanza è utile elencare le realtà belle della vita: persone, scelte, emozioni provate, come pure le fatiche, i contrattempi e, talvolta, le tragedie. Questo fa capire che la vita è più grande delle proprie mani e braccia perché è abitata dallo Spirito di Dio e dal Risorto, Presenza promettente, fedele alle sue promesse. Pur nell’incertezza e nella fragilità degli umani, «se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8,31-39).
Dal “Sabato” alla “Domenica”
La tradizione ebraica propone il sabato come giorno sacro, imitazione e ricordo del riposo di Dio dopo i sei giorni della creazione (Gn 2,2-3).
È il giorno dell’astensione da ogni genere di lavoro per riconoscere che il mondo appartiene a Dio e, quindi, che l’uomo non è il padrone assoluto del mondo e pertanto non può spadroneggiare.
È la rigenerazione interiore con la preghiera e lo studio della Torah, la dedizione alla famiglia e la cura della comunità, un nuovo rapporto con le persone e l’ambiente.
Il sabato è l’anticipo del compimento futuro improntato all’armonia universale, è un “tempio nel tempo” (A.J. Heschel). Non un “tempo libero”, cioè vuoto, ma un giorno meravigliosamente pieno, perché finalizzato a ritrovare la signoria di Dio, a ringraziare dei suoi doni e a vincere la tentazione di un atteggiamento solo estrattivo e predatorio verso il creato.
Il vescovo auspica: «Che bello sarebbe se le nostre feste fossero un “tempio nel tempo”, un tempo sacro, un momento per tornare a desiderare il compimento e ritrovare forze per perseguirlo. Un tempo per ritrovare il senso, per riaccenderci alla bellezza, alla giustizia, al desiderio di relazione, alla cura dell’armonia. Che bello se uscissimo da quel tempio con uno sguardo nuovo sul creato! Le feste possono davvero diventare un tempo per ritrovare uno sguardo riconciliato con il creato. Uno sguardo credente» (p. 39).
È l’invito di papa Francesco: imparare ad ammirare, apprezzare, ringraziare e custodire le creature, che non sono realtà puramente naturali ma sono piene della luminosa presenza del Signore (Laudato si’, nn. 100 e 221).
Come cambierebbe la vita quotidiana se la domenica fosse vissuta come un “tempio nel tempo”, una vera festa nell’abbraccio del Padre, nell’incontro col Risorto che si “fa a pezzi” per l’uomo pellegrino e nell’apertura allo Spirito che pervade l’universo, lo rinnova e lo guida verso la nuova creazione. Non è scontato abbinare la celebrazione eucaristica alla festa. Per questo il Pastore di Pinerolo offre alcuni passi da fare insieme: preti e laici, adulti e bambini, praticanti e non praticanti.
- Dalla “Messa magica” alla “Messa concreta”. La radice della festa sta nell’incontro effettivo con Dio, che viene a noi nei gesti e nelle parole, nel dinamismo del suo fare e del suo dire. Occorre che ognuno, come pure la comunità, entri “nel rito”, che trasforma e lievita la propria umanità.
- Dalla “Messa dovere” alla “Messa abbraccio”, dal precetto da soddisfare o dalla “buona azione” da compiere al lasciarsi avvolgere dall’abbraccio del Padre che rigenera perché in quella intimità c’è spazio per chiedere perdono, ringraziare, sognare, affidarsi.
- Dalla “Messa individuale” alla “Messa comunitaria”, dalla devozione privata (tra molti, da soli) alla maturazione del senso di appartenenza ecclesiale. Lo Spirito genera comunità cristiane, che sono palestre per diventare più fratelli e sorelle e quindi deputate a fare festa insieme.
- Dalla “Messa orizzontale” alla “Messa verticale”. Forse si sono privilegiati i richiami morali, gli appelli sociali e gli inviti all’azione a scapito della trascendenza, del senso del mistero di Dio, del paradiso, dell’andare oltre il visibile. Questo renderebbe le liturgie più curate e festose.
- Dalla “Messa parlata” alla “Messa celebrata” per ricuperare il ritmo e il silenzio, il gesto e lo spazio, il simbolo e il movimento, il canto e la bellezza, l’emozione e la luce, lo stupore e il colore. Solo chi si sente “invitato” può disporsi alla Festa.
- Dalla “Messa troppo umana” alla “Messa divina” per ripartire fiduciosi e grati, dopo aver riposato nel Signore, certi che l’iniziativa principale è sua: Lui lavora con efficacia per noi e ci precede sempre.
Per essere luminosi
Le feste cristiane sono un tempo per riscoprire l’amore di Dio, per sentirsi sostenuti dalla sua mano amorevole e per ripartire con la voglia di amare. Questo fa respirare l’anima e accende i desideri, fa vivere i vari festi della festa come momenti amorosi, con lo stile dell’amore di Cristo, confermando che la vita va donata.
La società odierna tende a proporre un ”io senza il noi”, a rifugiarsi nel privato, mentre la festa vive di relazioni e costruisce fraternità tra parenti e amici, tra membri della comunità e concittadini. La festa è autentica se è inclusiva, aperta a tutti, solidale. Per questo il cristiano mostra con i suoi atteggiamenti concreti che non si può essere felici “da soli”. Dalla carità di Cristo attinta alla Mensa eucaristica scaturisce la condivisione creativa, che si traduce in attenzione fattiva continuativa a persone sole, famiglie in difficoltà, migranti bisognosi, ammalati.
Ma la festa comprende anche aspetti più “seriosi”: la riflessione (la “fatica del pensare”) per mettere a fuoco i problemi odierni e cercare sentieri possibili, anche inediti, per il bene proprio e altrui; la preghiera, come tempo liberato per cogliere il respiro di Dio in ciascuno; lo stile del dono, della gratuità, del servizio, della gentilezza e del perdono; lo stupore che riscatta dall’abitudine ripetitiva e autoreferenziale e fa procedere oltre il preordinato, l’utile, l’organizzato, evitando la mediocrità e facendo esclamare “Che bello!”.
La festa è dono e compito per percepire la “totalità dell’umano”, come scriveva il teologo H. Cox: «Per sua natura l’uomo è una creatura che non soltanto lavora e pensa, ma danza, canta, prega, racconta storie e celebra».
Il lavoro, la produzione e l’efficienza non esauriscono l’umano, che comprende affetti e desideri, sogni e ideali, trascendenza e simboli, gratuità e amore. Un pasto condiviso senza fretta, una passeggiata, la lettura di un buon libro, la sosta davanti ad un’opera d’arte, una chiacchierata tra amici, la vita ad una persona in difficoltà, la partecipazione all’eucaristia… tanti modi per cogliere che senso e amore vanno a braccetto e rivelano squarci di Presenza divina.
Il vescovo propone 4 verbi, rivelativi della festa:
- scoprire il tesoro nascosto e la perla preziosa Mt 13,44-45) che popolano la nostra vita e la cambiano radicalmente, chiedendo di non fermarsi in superficie ma di cercare, meditare e pregare.
- impastare vita e fede (Mt 13,33). L’eucaristia offre un’esistenza lievitata, dilatata dall’ascolto della Parola e dal dono dello Spirito;
- arare il terreno per accogliere il buon Seme, che fa fiorire la vita (Mt 13). La frenesia odierna rischia di indurire e desertificare il cuore, rendendo incapaci di alzare lo sguardo e di lasciar emergere i desideri più veri e profondi per essere generativi.
- condire con lo Spirito (Mt 5,13) per dare sapore alla quotidianità, accendere desideri e tirar fuori le varie potenzialità.
La festa, soprattutto quella cristiana, è l’incontro dei sensi con il senso pasquale della vita. È l’esperienza della vita trasfigurata nel Cristo risorto; è l’anticipazione del compimento donato, come rivela il dipinto di Raffaello “Trasfigurazione” (1518-1520). Ogni festa cristiana «è uno squarcio di luce dentro il tempo. Una bella occasione per vedere la presenza del Risorto, per rinnovare la speranza e ripartire innamorati. Un’opportunità per ritrovare un senso pur dentro il grido dell’umanità sofferente. Una bella occasione per dedicare tempo al servizio. Un tempo propizio per tornare più luminosi nella vita quotidiana. Una buona occasione per far spuntare brandelli di giardino nel nostro mondo» (p. 73).
Una sana “complicità”
La festa, e la festa cristiana in particolare, illumina la vita, aiuta a rileggere i propri giorni da una nuova prospettiva: la risurrezione e la presenza del Risorto.
Oggi il cristianesimo rischia di essere considerato fuori dal modo di pensare e di vivere, un “mondo a parte”, lontano, vecchio, inutile. La festa può costituire uno spazio per rileggere la propria vita a partire dalla Parola, sempre viva ed efficace.
Nell’attuale contesto, segnato dalla rassegnazione e dall’indifferentismo, dalla nostalgia e dalla rinuncia a lottare per un mondo nuovo, dalla distanza dalla politica e dall’affievolimento della passione per la fede, la cura della festa può accendere di nuovo il fuoco dei sogni, ravvivare la passione della fiducia e della dedizione. Interessante la citazione di Th. Halik: «La nostra Chiesa cattolica si è preoccupata per secoli soprattutto dell’ortodossia, la corretta dottrina, e con la sua azione pastorale ha portato all’ortoprassi, la condotta morale, l’osservanza dei precetti morali, mentre con la sua liturgia glorificava Dio e univa i fedeli. Tuttavia, mi sembra che l’aspetto più profondo sia rimasto in ombra. La cura dell’ortopathos, della passione della fede, della sua linfa vitale. Questa è la dimensione spirituale della religione: la vita spirituale, l’esperienza spirituale. Quando tale linfa della fede si prosciuga, la scienza si trasforma in ideologia e l’etica in un vuoto moralismo» (pp. 80-81).
I verbi della festa, attraverso i quali prende forma la gioia cristiana, sono: lodare, ringraziare, incontrare, mangiare, danzare, giocare, ridere, riposare, correre, camminare. Con la festa il tempo si dilata perché genera una rinascita, una nuova nascita, apre a qualcosa di Altro in azione, che è gratuitamente prima di ciascuno e agisce assieme a ciascuno.
La domenica immette nello scorrere dei giorni la certezza della presenza di un Altro, che crea e ricrea.
Al lunedì si riparte con la certezza che il Risorto sarà accanto a ciascuno per risollevarlo dalle sue cadute e stanchezze. Eppure è forte il rischio di lasciarsi derubare le feste, di svuotarle, riducendole a scatoloni vuoti, vacanze, tempo libero da riempire con svariate e frenetiche attività.
È amara la constatazione del vescovo: «Lo stato attuale delle feste evidenzia un fatto triste: il cristianesimo sta arrancando. Sta diventando muto. Proprio per questo dobbiamo riscoprire le feste, la loro forza vitale. Dobbiamo imparare a conoscerle, prepararle, animarle, assaporarle. Sia in comunità che in casa» (p. 90).
Occorre una “complicità” diffusa per vivere le feste familiari, laiche e religiose alla luce del significato suggerito dalla Lettera pastorale.
Illuminante la bella poesia della poetessa Elli Michler (1923-2014), che augura quello che i più non hanno: «Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;/ se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa./ Ti auguro tempo, per il fare e il tuo pensare,/ non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri./ Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,/ ma tempo per essere contento./ Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,/ ti auguro tempo perché te ne resti:/ tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull’orologio./ Ti auguro tempo per guardare le stelle/ e tempo per crescere, per maturare./ Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare./ Non ha più senso rimandare./ Ti auguro tempo per trovare te stesso,/ per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono./ Tu auguro tempo anche per perdonare./ Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita».
Suggerimenti pastorali
Tante le indicazioni pastorali per caratterizzare l’anno dedicato alla festa:
- in parrocchia valorizzare passi biblici per riflettere sulla festa: nozze di Cana, parabola del Padre misericordioso, parabola degli invitati alle nozze, i pasti con il Risorto, la festa finale (Ap 22), i tanti Salmi della festa.
- avere cura della domenica, creando o potenziando il gruppo liturgico; coinvolgere lettori, ministri della Comunione, maestri di coro nel preparare le celebrazioni; proporre la lectio sulle letture domenicali; programmare “domeniche della comunità” (giornate di spiritualità, gite, pasti condivisi, eventi musicali); scambiarsi reciprocamente tra parrocchie inviti alle feste.
- nella liturgia curare l’accoglienza, i riti iniziali, l’omelia; avviare nuove forme di celebrazione legate a particolari momenti dell’anno (inizio della scuola, delle attività sportive) e della vita della gente (nonni, anniversari di matrimonio, fidanzati).
- avanzare iniziative specifiche per i tempi forti dell’anno liturgico, come pure attività e cammini per le famiglie (la candela della famiglia e il piatto della quaresima, preghiere per i pasti delle feste, segnalazione di libri, esposizione di un dipinto in casa); la festa del perdono nelle celebrazioni penitenziali comunitarie, le varie forme di Benedizione.
- cercare di intercettare i desideri dei giovani e aiutarli a vivere la festa con momenti dedicati allo sport, alla musica, alla danza, al cinema; con “liturgie di benedizione” per la festa dei 18 anni, per i laureati, per i fidanzati, per i maturandi ecc.
- favorire l’assemblea parrocchiale all’inizio dell’anno e l’“assemblea dei racconti” per fare tesoro del cammino svolto e condividerlo con altre comunità; preparare la festa patronale con le varie realtà laiche ed ecclesiali, incrementando la coesione sociale; impegnarsi nella sinergia con amministrazioni, enti, pro-loco per valorizzare le varie ricchezze artistiche, culturali, religiose del territorio.
- abbinare festa e solidarietà, devolvendo ai poveri una percentuale del costo delle feste parrocchiali; invitando alle feste le persone fragili e in difficoltà; proponendo alle famiglie di destinare ai poveri una quota in occasione di compleanni, anniversari, spese natalizie…
- nella prospettiva della festa del compimento, va ricuperato il ministero della consolazione, della fiducia, dell’affidamento soprattutto nell’esperienza del saluto ai propri cari defunti (veglia, funerale, celebrazioni di suffragio in casa o senza la Messa).
Innovativi, alla fine, i suggerimenti di lettura di testi sul tema della festa per le varie categorie di persone, per le famiglie e i gruppi.
Al termine, ci si sente molto arricchiti di un contributo tipicamente cristiano, desiderosi di diventare artigiani di festa: e non è poco!






Quasi nessun commento ad una proposta così allettante da non riuscire nemmeno a sfiorare la sensibilità cattolica, per il gravame del rito tradizionale e la seriosità che è stata pretesa negli ultimi secoli da chiunque si accostasse ai sacramenti. Indipendentemente dalla fede di cui si dava e si dà (magari) prova nel quotidiano, per altro in un mondo complessivamente assai più accondiscendente dell’attuale. Il sacro è ancora predominante in una Chiesa in massima parte (almeno in Europa) ingessata in attitudini stereotipate che l’ultimo Concilio ha tentato di sciogliere, riuscendo in minima parte, eminentemente perché la riforma liturgica è tata concepita e realizzata con criteri assunti come definitivi e non in forma dinamica.
La vera festa per me è non avere nulla a che fare col cristianesimo, brutta religione che attribuisce all’umanità l’inesistente peccato originale (Adamo ed Eva sono solo i protagonisti di una favola) e si è imposta con la forza e la violenza (Inquisizione, torture e roghi in Europa, massacri di intere popolazioni in America Latina). Preferisco di gran lunga le religioni orientali, soprattutto il buddhismo, veramente improntato alla pace, al benessere personale e all’indulgenza verso l’umanità e i suoi inevitabili errori.
Ti consiglio di studiare meglio la storia del Buddhismo…
Ognuno festeggia come meglio crede.
Prima di criticare troppo frettolosamente e superficialmente l’autore di questo commento, onestà imporrebbe di chiedersi quante volte del cristianesimo è stato presentato il suo fuorviante volto disgraziatamente mitologico e moralistico. L’onera della prova oggi spetta ai cristiani: non la si faccia troppo facile e comoda…
io celebro la Messa in 4 RSA ma la messa è sempre festosa!
Mi fa piacere. Verrò a messa lì.
Ma magari fosse tutto così festoso! Se penso alla messa che mi attende la domenica mi viene la tristezza.
C’è qualcosa che non va. Dovrebbe essere una festa e invece è una tristezza perché a tutti compreso il prete sfugge la ragione per cui si è lì o perché pur conoscendone la ragione non è ritenuta fonte di gioia?
Quando andavo a messa a Montefano (purtroppo a 500 km da dove vivo) con la messa presieduta da Alberto Maggi era un avere gioia. Il Vangelo illuminava la vita attraverso le parole esperte di Alberto, l’assemblea era carica di energia spirituale e sentivi che le ombre della vita venivano spazzate via dall’Eucarestia letteralmente. Quella era un festa, quando sentivi l’energia dell’amore scorrere fra noi e gli occhi si inumidivano per l’emozione. Ma una cosa cosi l’ho vissuta davvero poche volte. E’ lo spirito santo che manca e che andrebbe invocato con ogni energia perché le nostre feste le nostre messe esplodessero di vita e non languissero in qualcosa di più simile ad una RSA che ad una festa.