Padova: le conclusioni del Sinodo

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Ripartiamo da Cana: è questo il titolo che il vescovo di Padova, Claudio Cipolla, ha dato alla lettera post-sinodale, consegnata simbolicamente nel contesto di un’eucaristia molto partecipata nella Chiesa dell’Opsa (Opera della Provvidenza sant’Antonio) lo scorso 25 febbraio.

Dopo tre anni di cammino

Dopo tre anni di cammino, in cui la diocesi di Padova ha coinvolto alcune migliaia di persone, in rappresentanza di tutte le componenti del popolo di Dio, attraverso il metodo del discernimento comunitario, il vescovo offre uno strumento che impegnerà la diocesi in una sorta di «leva di cambiamento», a partire soprattutto dalla riscoperta della ministerialità battesimale, nella sua forma espressiva e concreta della missionarietà a tutti i livelli.

L’icona evangelica del «segno di Cana» che ha accompagnato come filo conduttore il cammino sinodale, vuol significare che, «nell’abbondanza del vino della gioia, la Chiesa è invitata a riconoscere il segno della sovrabbondanza dell’amore del Padre».

Nella presentazione della lettera ai giornalisti il vescovo ha dichiarato che, dal Sinodo diocesano, scaturisce una «Chiesa meno arroccata», «una Chiesa più fraterna, capace di entrare nelle questioni della vita vera delle persone», «una Chiesa più inclusiva, in collaborazione con altre realtà civili e sociali, sempre più attenta ai poveri e agli emarginati. E soprattutto in grado di superare lo scollamento, che oggi in molti percepiscono, tra la religione e le dinamiche esistenziali».

Sono 96 le pagine del testo post-sinodale. Il documento è composto da allegati e, in particolare, dalle bozze delle «collaborazioni pastorali» e dei vicariati che offrono la nuova riorganizzazione territoriale della diocesi di Padova.

Interessante è l’inserimento di tre «segni diocesani» che il vescovo ha deciso di porre alla fine del Sinodo: l’elevazione a santuario mariano per l’intera diocesi della Chiesa dell’Opsa (luogo significativo della carità verso ultimi nella diocesi di Padova), la creazione di nuove «cucine popolari» (la mensa dei poveri) nell’area del Tempio della Pace, e la riorganizzazione degli uffici di curia come segno di sobrietà e di una nuova «sinergia» nell’azione pastorale.

I «passaggi centrali» del testo post-sinodale sono i tre documenti che l’Assemblea sinodale, composta da circa 350 persone, ha discusso e votato nei gruppi di lavoro durante le sette sessioni, per un totale di 13 incontri, tra aprile e dicembre 2023.

«Il primo, dedicato ai ministeri battesimali, è il più importante – ha sottolineato il vescovo –. In un contesto in cui spesso identifichiamo le parrocchie e la Chiesa stessa con noi vescovi, preti o diaconi, è necessario rimettere la comunità al centro». In questa prospettiva si è proposto di costituire in ogni comunità cristiana delle «équipes ministeriali», per un tempo prestabilito, suddivise nei vari ambiti di vita pastorale, che avranno il compito di animare tutta la comunità in senso missionario. Il testo fa notare che «il motivo fondante dei ministeri battesimali non è supplire alla mancanza di preti, ma valorizzare i carismi presenti nel popolo di Dio e attivare la corresponsabilità di molti».

La seconda proposta votata dal Sinodo è stata quella che prevede la nascita di piccoli gruppi che si riuniscono attorno alla parola di Dio. Gli elementi di fondo sono sempre «la lettura, la comprensione e l’attualizzazione della sacra Scrittura». Il testo sottolinea che tale proposta «potrebbe coinvolgere gli adulti che si sentono motivati dal desiderio comune di approfondire la fede o di dare senso a un passaggio particolare della vita»: questi «piccoli gruppi della Parola» sono degli «autentici laboratori di relazioni fraterne illuminate dal Vangelo».

Le “collaborazioni pastorali”

La terza proposta è la riorganizzazione della Chiesa di Padova sul territorio: la «novità» è la scelta del nome per le realtà che vedono un certo numero di parrocchie vicine collaborare, che non sarà più «unità pastorali» o «gruppi di parrocchie», bensì «collaborazioni pastorali».

Questa terminologia – commenta il vescovo nella lettera –, da una parte, rispetta «l’unicità di ogni parrocchia» e, dall’altra, «promuove l’ineludibile valore della comunione e condivisione tra parrocchie vicine». Si tratta di un processo che avverrà «con gradualità» e nella consapevolezza che «nessuna parrocchia si penserà da sola, staccata dalle altre come se potesse bastare a sé stessa».

Inoltre, le “collaborazioni pastorali” «attiveranno maggiormente la corresponsabilità dei laici, evitando di delegare prevalentemente l’azione pastorale al solo parroco», come anche «potrebbero essere la sede opportuna per cercare soluzioni in ordine alle molte strutture spesso sovradimensionate delle nostre parrocchie».

I compiti della collaborazione pastorale saranno: «la lettura del territorio con le sue domande e tipologie particolari, l’assunzione di uno stile pastorale condiviso e la formazione unitaria degli operatori pastorali».

In allegato alla lettera postsinodale sono riportate le tabelle con le bozze delle 54 collaborazioni di parrocchie (di cui 10 nella città di Padova) suddivise in 14 vicariati (ora sono 32).

Su questo aspetto “riorganizzativo” del territorio da ora si apre una consultazione a cui le comunità parrocchiali sono invitate a prendere parte fino alla primavera del 2025.

Concluso il Sinodo, si apre una nuova pagina per la Chiesa di Padova: il vescovo ha letto il momento attuale dentro un cambiamento epocale nella quale anche la Chiesa deve fare i conti soprattutto con la crisi di identità di fede che viviamo sia a livello personale sia a livello comunitario.

Il metodo del discernimento comunitario che ha accompagnato il Sinodo della Chiesa di Padova ha inteso rendere consapevole la comunità cristiana; è un «metodo impegnativo» e «non da improvvisare».

Afferma il vescovo Cipolla che il «riconoscere», «l’interpretare» e lo «scegliere» domanda «tempo e preparazione, richiede ascolto e confronto, interpella umiltà e capacità di ripensamento, ma è ineguagliabile il guadagno di condivisione e di assunzione di responsabilità che porta con sé».

Tre polarità

Nel documento il vescovo individua «tre polarità» che hanno contrassegnato i lavori del Sinodo:

  • la prima «ad intra», relativa ad uno sguardo prevalentemente ecclesiale» (forse si poteva fare di più) e «ad extra» per indicare uno «sguardo estroverso» che si lascia contagiare dalle questioni attuali (anche se, a mio giudizio, sembra preponderante ancora la dimensione «intraecclesiale»);
  • la seconda ha riguardato più il presente, senza preordinare troppo il domani (anche se si è utilizzata la data del 2040 come orizzonte temporale!);
  • la terza implicava, da una parte, «l’aspettativa che il Sinodo avrebbe dovuto cambiare completamente l’impostazione pastorale della Chiesa diocesana e, dall’altra parte, il timore di riuscire a cambiare poco». Vedremo come i nuovi organismi di comunione, che la diocesi ha invitato a rinnovare, si muoveranno nel prossimo quinquennio.

A conclusione del documento, il vescovo annota che «i cambiamenti passano anche attraverso i linguaggi»: da qui la necessità della «riformulazione» delle parole, «perché non siano distanti dalla vita delle persone e dalla sensibilità attuale». Se un Sinodo non è certamente una «questione di sole parole», certamente un linguaggio che non sia solo per addetti ai lavori può consentire una più facile ed efficace recezione, anche nel contesto di un vero e proprio «cambiamento» nelle prassi pastorali.

In ogni caso, perché un Sinodo tocchi e cambi il tessuto delle comunità cristiane, occorre che «tutti ci credano»! Questo auguriamo alla Chiesa di Padova, e non solo ad essa…

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