Per una Chiesa dal Vangelo e dalla gente

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hildesheim

La diocesi tedesca di Hildesheim ha avviato da qualche anno dei processi di riconfigurazione pastorale, valorizzando le comunità cristiane esistenti e ripensandone la collocazione nel quadro della Chiesa locale (cf. qui e qui). Sono stati avviati modelli di guida corresponsabile delle comunità parrocchiali, centrate sul lavoro di equipe e sulla condivisione delle competenze. Si tratta di processi e laboratori pastorali che possono interessare anche la Chiesa italiana – per questo riportiamo qui un’intervista di Matthias Bode al vicario per la pastorale Christian Hennecke, pubblicata sul settimanale diocesano.

  • Il sondaggio sull’appartenenza alla Chiesa Germania (KMU), pubblicato a novembre, mostra che oltre il 40% dei cattolici sta pensando di abbandonare la Chiesa e solo il 9% ha ancora fiducia nella Chiesa cattolica. La partecipazione alle celebrazioni, che era già in calo, è crollata con la pandemia e si sta riprendendo a stento. È rimasto sorpreso dai risultati dello studio?

No, confermano quello che molti sociologi dicono da tempo. E lo stiamo vivendo tutti insieme. Tuttavia, credo che sia necessario esaminare i punti citati singolarmente.

  • Cominciamo con la tendenza ad andarsene.

Questa è molto alta sia nella Chiesa cattolica sia in quella evangelica. Nel caso dei cattolici, ciò è legato anche alla crisi degli abusi e alla relativa perdita di fiducia. Si avverte anche una polarizzazione nella Chiesa e le ripetute dichiarazioni del Vaticano vanno incontro a incomprensione. Questo aumenta l’irritazione.

Se qualcuno non ha più legami significativi con la Chiesa, questo è spesso un motivo per andarsene – ma anche se i credenti sono particolarmente attaccati alla fede e alla Chiesa con il cuore, quello dello scandalo degli abusi è un motivo di grande delusione e rabbia. E per alcuni è un motivo per andarsene. Il precedente sondaggio sull’appartenenza alla Chiesa, condotto solo dalla Chiesa protestante, aveva già individuato un’alta tendenza ad andarsene.

È interessante notare che le persone che all’epoca avevano dichiarato di volersene andare lo hanno poi fatto. Se la situazione è simile anche nei nostri contesti cattolici, allora possiamo aspettarci un’accelerazione del ritmo di abbandono nei prossimi anni. Questo porterà a una riduzione delle risorse; che significa, a sua volta, che dovremo porci domande ancora più mirate sulla direzione che vogliamo prendere in futuro.

Come celebriamo e per chi?
  • Ci arriveremo tra un attimo, ma prima dovremo parlare della frequenza alle celebrazioni domenicali.

Si tratta di uno sviluppo che rappresenta anche una sfida. Da un lato, avremo sempre meno celebrazioni eucaristiche, perché abbiamo sempre meno sacerdoti. Dall’altro lato, le persone che partecipano sono sempre meno. Infine, in alcuni luoghi c’è la tendenza a non andare alle celebrazioni religiose perché la gente non vi trova ciò che si aspetta e ha il diritto di aspettarsi.

Si tratta di funzioni liturgiche che non portano al centro dell’incontro con Dio, né per quanto riguarda le prediche né per il modo in cui vengono celebrate. Anche in questo caso, le persone diventano spiritualmente senza casa. Quindi, se celebriamo meno messe, la questione di come le celebriamo è ancora più importante.

Questo vale soprattutto per le celebrazioni liturgiche a cui partecipano anche coloro che non fanno parte di quel quattro per cento circa di cattolici che frequentano regolarmente la chiesa. Penso alle funzioni legate a occasioni contingenti – ad esempio per le iscrizioni a scuola, i funerali, i matrimoni, ma anche a Natale.

Penso poi a celebrazioni contestualizzate per eventi particolari. Sono tutte una meravigliosa opportunità per dare alle persone uno spazio per sperimentare la presenza divina. Ci sono alcuni approcci promettenti, ma non mi sembra che li stiamo ancora sfruttando a sufficienza.

  • Se la Chiesa fosse un’impresa, tutti i campanelli d’allarme starebbero già suonando e dovremmo trovare dei modelli pratici per fermare la tendenza al ribasso il più presto possibile.  Come si fa?

Il nostro obiettivo non può essere quello di invertire tendenze sociali che durano da decenni. Oggi viviamo in una società che cambia, molto secolare, in una situazione nuova – e insieme a tutti i cristiani vogliamo chiederci come possiamo annunciare efficacemente il Vangelo oggi e domani.

La trasformazione della Chiesa non è un processo da subire, quanto piuttosto da plasmare. Con speranza e fiducia. In ogni tempo, la Chiesa si è ritrovata in simili processi di riorganizzazione.

E la vitalità della Chiesa basata sul milieu, forse viene ricordata da alcuni come un’epoca dell’oro tra gli anni ’60 e ’80 del secolo scorso, è una forma che era appropriata in quegli anni – oggi sono però necessarie nuove risposte.

La Chiesa che verrà
  • Verso dove si sta andando?

Non sappiamo come sarà la Chiesa del futuro nei dettagli. Ma ciò che mi interessa di più delle previsioni sul futuro è quello che sta già accadendo oggi in molti luoghi. Per me, l’attenzione deve essere rivolta alle persone con cui siamo in cammino.

Se facciamo questo, allora creeremo e apriremo luoghi e spazi in cui le persone saranno incoraggiate a mettere in gioco i loro doni e le loro energie. Penso ad alcune iniziative dell’anno passato, che si sono mostrate capaci di creare nuovi ambiti. Abbiamo bisogno di più occasioni come queste, in cui le persone possano fare delle esplorazioni, scambiarsi idee e poi andare nel mondo a testimoniare il Vangelo.

  • Un po’ più concretamente: ha un’immagine della Chiesa del futuro?

Qualche tempo fa siamo stati nei Paesi Bassi con il Consiglio presbiterale della diocesi di Hildesheim, dove in un certo senso si può vedere un po’ il dopodomani, perché la Chiesa olandese ha già attraversato questo processo di cambiamento.

Spesso sono rimasti solo pochi luoghi, parrocchie e comunità – ossia, centri di fede. Che questo debba accadere anche qui, non è quello che mi aspetto. I centri di fede sorgeranno senza dubbio anche da noi, ma l’obiettivo è quello di promuovere e sostenere comunità che mettono in atto le loro pratiche di fede nel proprio contesto con un alto grado di indipendenza e autonomia.

Possono essere comunità simili alle parrocchie e ai gruppi di oggi, ma anche completamente diverse. Questo non è possibile senza un accompagnamento professionale a tempo pieno. Abbiamo bisogno di collaboratori a tempo pieno che amano sostenere le altre persone e renderle capaci delle doti che hanno.

Quando guardiamo alla Chiesa di domani, dobbiamo anche dire che la struttura istituzionalizzata come la conosciamo oggi non sarà più centrale. E certamente ci saranno anche meno luoghi in cui celebrare l’Eucaristia. Come ho già detto, è proprio in condizioni come queste che diventa ancora più importante che l’esperienza di Dio diventi possibile lì e nel maggior numero possibile di luoghi.

Questo riuscirà se cercheremo e vivremo relazioni e incontri tra di noi e con le persone che ci circondano. Allora il Vangelo brillerà. E forse anche questo: la Chiesa di domani sarà più ecumenica, cercando una maggiore cooperazione con i cristiani protestanti e con le altre comunità cristiane. Nella comprensione delle persone sul campo, le differenze confessionali sono diventate più sfumate – questo è confermato in modo impressionante dal sondaggio sull’appartenenza alla Chiesa.

  • Gli elementi popolari della Chiesa, come le processioni del Corpus Domini o gli incontri delle associazioni ecclesiali, sono solo reliquie del passato?

Non direi. La Chiesa ha un’incredibile ricchezza di esperienze di tipo molto diverso. Per alcuni un pellegrinaggio o la preghiera del rosario sono qualcosa di importante, altri non riescono a farne nulla. Ad alcuni piace la musica gospel, ad altri i canti gregoriani. La diversità non è un segno di debolezza, ma un segno dei molti talenti che le persone hanno.

Possiamo mantenere vive le tradizioni che per noi sono preziose. Se non sono vive, dobbiamo reinventarle. Come si possono riorganizzare in modo creativo le nostre tradizioni e toccare così la vita delle persone? Dove questo riesce, le nostre tradizioni diventano attraenti.

La vita ecclesiale è diminuita oggi in un ambito particolare, ossia quando ha assunto una struttura associativa. Non ho nulla contro i gruppi funzionanti e vivaci della parrocchia. Ci sono significativi gruppi famigliari dell’associazione Kolping e anche organizzazioni femminili – anche se molte di esse stanno lentamente invecchiando. Per me l’età non è un criterio di debolezza.

Ma dobbiamo chiederci se c’è ancora la passione necessaria per il Vangelo, l’energia per plasmare il mondo e la società. Se c’è, queste comunità saranno vive e cresceranno. Altrimenti moriranno.

Questo non vuol dire che tutto quello che viene dal passato è stato spazzatura, ma che ha fatto il suo tempo. In futuro, ci interrogheremo di più su quali nuove forme di fede vissuta esistono e su come possiamo essere più impegnati nel mezzo dei nostri contesti di vita quotidiana.

La domanda è: come possiamo permettere al maggior numero possibile di persone di sperimentare la Buona Notizia? E come accogliere con calore ciò che è inedito? Non ci sarà uniformità, ma molti sviluppi diversi in luoghi diversi.

Il primato delle persone sulle cose
  • Nella diocesi di Hildesheim è in corso il processo “Spazi futuri”, che prevede l’adeguamento del numero di immobili alle possibilità e alle necessità pastorali; alla fine, il patrimonio edilizio dovrebbe essere dimezzato. Considerando gli sviluppi attuali, il numero di chiese, sale parrocchiali e case parrocchiali potrebbe diminuire ulteriormente…

Questo potrebbe davvero accadere. Vogliamo accompagnare le persone della diocesi nelle loro parrocchie nel loro cammino verso il futuro. La questione di come potrebbe essere la pastorale del futuro viene discussa a livello locale. Valutiamo insieme cosa sarà possibile fare in futuro nello spazio vitale di una parrocchia con la sua gente, con le sue sfide e le sue opportunità.

Alla fine del processo, si pone anche la questione di quali beni immobili siano necessari per questo. Stiamo diventando molto meno numerosi, quindi avremo bisogno anche di molti meno edifici. È chiaro che molte persone in posizioni di responsabilità lo sanno e lo vogliono, anche se a volte è doloroso.

Se il numero di membri attivi in una comunità cristiana continua a diminuire, cosa significa questo per il lavoro dei gruppi di responsabilità?

Abbiamo due tipi di gruppi: i consigli ecclesiali e i consigli pastorali. Attualmente ci sono ancora candidati per i consigli ecclesiali, che sono ancorati al diritto ecclesiastico, sebbene da decenni si dice che presto sarà difficile trovare disponibili per questo tipo di partecipazione.

Ma nei prossimi anni si dovranno trovare nuove soluzioni in molte comunità cristiane. La situazione è diversa per i consigli pastorali, dove in alcuni luoghi si possono già osservare processi di crisi. In diocesi, quindi, non insistiamo più sui tradizionali consigli parrocchiali con un numero fisso di membri, ma abbiamo sviluppato nuovi modelli in vista della corresponsabilità pastorale. Le “équipe di responsabilità condivisa” svolgono un ruolo importante. Anche qui lo sviluppo continuerà.

Alla fine, si arriva sempre alla questione sollevata anche da papa Francesco: Come si può vivere la “sinodalità” a livello locale?  Come si possono prendere decisioni condivise e partecipate?

  • Se la tendenza al ribasso continua ad accelerare, ciò avrà anche un notevole impatto finanziario. La direzione della diocesi si sta preparando anche a questo?

Certo. Non si tratta di risparmiare, ma di stabilire delle priorità. Cosa serve al futuro? Cosa serve alla nostra missione? Ci chiederemo quale sia il nostro focus e chiederemo qual è il nucleo incandescente che portiamo con noi.

Prenderemo anche decisioni dolorose. Perché oggi stiamo dando forma a molte cose buone e ne stiamo sviluppando altre. Ma non saremo in grado di continuare a farlo a lungo termine se le risorse finanziarie diminuiranno – dobbiamo essere onesti su questo.

  • Oggi la Chiesa si esprime su molti temi. Quale dovrebbe essere il suo annuncio centrale in futuro?

È sempre lo stesso e allo stesso tempo nuovo in ogni epoca – è l’unico messaggio che abbiamo: quello di un Dio che ci sostiene, che crea incontri tra le persone e opera in senso salvifico. Un Dio che ci rende solidali con tutti gli altri esseri umani.

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Un commento

  1. Giuseppe 29 gennaio 2024

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