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L’ex ministro della Giustizia, Constant Mutamba, condannato lunedì scorso a tre anni di lavori forzati e a cinque anni di ineleggibilità, per appropriazione indebita di fondi destinati ai progetti del FRIVAO, ha iniziato uno sciopero della fame come forma di protesta.
Un po’ di contesto
Il Fondo di Riparazione e Indennizzo delle Vittime delle Azioni dell’Uganda (FRIVAO) è nato per far fronte alle tragiche conseguenze lasciate dalle cosiddette guerre dei sei giorni (5–10 giugno 2000) e da altri scontri armati che hanno insanguinato la città di Kisangani. Quei combattimenti, che hanno visto contrapposte le armate ruandese e ugandese sul suolo congolese, hanno causato migliaia di vittime civili, la distruzione di infrastrutture e profonde ferite nelle famiglie e nella memoria collettiva.
Nel 2005, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha riconosciuto la responsabilità dell’Uganda per l’occupazione e i crimini commessi sul territorio congolese, in particolare a Kisangani, condannando il Paese a versare un indennizzo alla Repubblica Democratica del Congo.
In questo contesto si colloca la creazione del FRIVAO: una struttura incaricata di raccogliere, organizzare e canalizzare le istanze delle vittime, affinché il risarcimento internazionale giungesse concretamente alle popolazioni colpite. Le vittime sono indennizzate sia a titolo personale che comunitario, e alcune azioni di interesse pubblico vengono avviate. È in tale prospettiva che Constant Mutamba, allora ministro della Giustizia, avrebbe promosso un progetto per la costruzione di una prigione a Kisangani.
Secondo lo svolgimento del processo, che si è concluso con la sua condanna, tutto lascia supporre che si sia trattato di un tentativo di riciclaggio di denaro, alla luce delle irregolarità riscontrate nella procedura di aggiudicazione dell’appalto con l’impresa edile. Diciannove milioni di dollari: questa la somma che il ministro avrebbe tentato di sottrarre. Così è arrivata la condanna.
Lo sciopero della fame, un gesto di sfida
La condanna dell’ex ministro è stata accolta da alcuni come un segnale forte dell’impegno delle autorità attuali nella lotta alla corruzione. Per altri, invece, nasconde motivazioni politiche. Diversi analisti ritengono che la severità della pena rifletta la volontà del governo di dare l’esempio, in un contesto in cui i partner internazionali chiedono maggiore trasparenza e rigore nella gestione delle finanze pubbliche.
Dal giorno successivo al suo incarceramento, Constant Mutamba ha scelto di non alimentarsi più. I suoi familiari parlano di un «atto di resistenza» contro quella che egli considera un’«ingiustizia» e un «processo politico». La sua squadra di difesa ha denunciato irregolarità procedurali e ha evocato una volontà manifesta di escludere l’ex ministro dalla scena politica.
In una nota inviata alla stampa, uno dei suoi avvocati ha dichiarato: «Mutamba non intende sottomettersi a una condanna che ritiene arbitraria. Il suo sciopero della fame mira ad attirare l’attenzione nazionale e internazionale sulle condizioni in cui è stato processato».
Reazioni contrastanti
Per le strade di Kinshasa, le opinioni divergono. Alcuni cittadini salutano con favore la fermezza della giustizia e vedono in questa vicenda un passo avanti verso la fine dell’impunità delle élite politiche. «Finalmente un ministro che rende conto delle sue azioni», afferma un abitante del quartiere Limete. Altri, al contrario, considerano la vicenda una lotta di potere: «La giustizia è spesso usata come arma politica. Oggi è Mutamba, domani sarà qualcun altro», confida uno studente di giurisprudenza dell’Università di Kinshasa.
Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, dal canto loro, esprimono preoccupazione per lo stato di salute dell’ex ministro. Amnesty International ha chiesto alle autorità di garantirne l’integrità fisica, sottolineando che il ricorso allo sciopero della fame resta un diritto di protesta riconosciuto in molti contesti.
Un simbolo della lotta anticorruzione?
Questa vicenda si inserisce in un clima politico teso, a pochi mesi dalle prossime scadenze elettorali. Il governo cerca di rassicurare la popolazione e i partner finanziari sulla propria determinazione a moralizzare la vita pubblica. La condanna di Constant Mutamba potrebbe essere utilizzata come prova di efficacia nella lotta alla corruzione.
Tuttavia, numerosi osservatori invitano alla prudenza: la giustizia congolese dovrà dimostrare di agire in maniera imparziale, senza discriminazioni, affinché questa vicenda non si trasformi in un semplice regolamento di conti politico.
Per il momento, lo stato di salute di Constant Mutamba resta preoccupante. I suoi familiari affermano che rifiuta qualsiasi forma di alimentazione e che non cederà finché la giustizia non avrà «rivisto la sua decisione». Il braccio di ferro che si profila tra l’ex ministro e le istituzioni potrebbe rapidamente diventare un banco di prova per la credibilità del sistema giudiziario congolese.
Al di là del caso Mutamba, questa vicenda mette in evidenza le sfide persistenti della RDC in materia di governance: la corruzione endemica, la politicizzazione della giustizia e la fragilità delle istituzioni. Resta da capire se questo processo segnerà una vera svolta nella lotta contro l’appropriazione indebita di fondi pubblici o se sarà soltanto un episodio in più in una storia in cui giustizia e politica si intrecciano costantemente.
- In collaborazione con la rivista congolese J’écris, Je cris
Version française
Condamné pour détournement, l’ancien ministre de la Justice Constant Mutamba entame une grève de la faim
L’ancien ministre de la Justice, Constant Mutamba, condamné lundi dernier à une peine de trois ans de travail forcé avec comme effet l’illégibilité pendant cinq ans, pour détournement des projets du FRIVAO, a entamé une grève de la faim en signe de protestation.
Pour la petite histoire
Le Fond de Réparation et d’Indemnisation des Victimes des Actions de l’Ouganda (FRIVAO) a vu le jour dans le contexte des conséquences tragiques laissées par les guerres dites de “six jours” (5–10 juin 2000) et d’autres affrontements armés qui ont ensanglanté la ville de Kisangani. Ces combats entre les armées rwandaise et ougandaise, sur le sol congolais, ont causé la mort de milliers de civils, détruit des infrastructures et laissé de profondes blessures dans les familles et dans la mémoire collective.
En 2005, la Cour Internationale de Justice (CIJ) a reconnu la responsabilité de l’Ouganda dans l’occupation et les crimes commis sur le territoire congolais, notamment à Kisangani, et a condamné ce pays à verser une indemnisation à la République Démocratique du Congo. C’est dans ce cadre que le FRIVAO s’inscrit : comme une structure mise en place pour recueillir, organiser et canaliser les doléances des victimes, afin que la réparation internationale bénéficie concrètement aux populations touchées.
Les victimes sont ainsi indemnisées en titre personnel et en communauté, certaines actions en intérêt public sont initiées. C’est sous cet angle que le Constant Mutamba, alors ministre de la Justice, aurait initié un projet de construction d’une prison à Kisangani. A suivre l’évolution du procès qui a abouti à sa condamnation, tout laisse à croire qu’il s’agissait d’une tentative de blanchiment d’argent au regard des irrégularités dans la procédure de passation de marchés avec l’entreprise de construction. Dix-neuf millions de dollars : telle est la somme que le ministre aurait tenté de détourner. Ainsi a été condamné.
La grève de la faim, un geste de défiance
La condamnation de l’ancien ministre est perçue par certains comme un signal fort de l’engagement des autorités actuelles dans la lutte contre la corruption. Pour d’autres, elle cache des motivations politiques. Plusieurs analystes estiment que la sévérité de la peine illustre la volonté du gouvernement de donner l’exemple, dans un contexte où les partenaires internationaux réclament plus de transparence et de rigueur dans la gestion des finances publiques.
Dès le lendemain de son incarcération, Constant Mutamba a choisi de ne plus s’alimenter. Ses proches parlent d’un “acte de résistance” face à ce qu’il considère comme une “injustice” et un “procès politique”. Son équipe de défense a dénoncé des irrégularités dans la procédure et évoque une volonté manifeste d’écarter l’ancien ministre du champ politique.
Dans une note transmise à la presse, l’un de ses avocats affirme : “Mutamba n’entend pas se soumettre à une condamnation qu’il juge arbitraire. Sa grève de la faim vise à attirer l’attention nationale et internationale sur les conditions dans lesquelles il a été jugé”.
Des réactions partagées
Dans les rues de Kinshasa, les avis divergent. Certains citoyens saluent la fermeté de la justice et voient en cette affaire un pas de plus vers la fin de l’impunité des élites politiques. “Enfin, un ministre qui rend des comptes”, lâche un habitant du quartier de Limete. D’autres, en revanche, perçoivent l’affaire comme une lutte d’influence. “La justice est souvent utilisée comme une arme politique. Aujourd’hui, c’est Mutamba, demain ce sera un autre”, confie un étudiant en droit à l’Université de Kinshasa.
Les organisations de défense des droits humains, quant à elles, s’inquiètent pour l’état de santé de l’ancien ministre. Amnesty International a appelé les autorités à garantir son intégrité physique, soulignant que le recours à la grève de la faim reste un droit de protestation reconnu dans de nombreux contextes.
Un symbole pour la lutte anticorruption ?
Cette affaire intervient dans un climat politique tendu, à quelques mois des prochaines échéances électorales. Le gouvernement tente de rassurer la population et les bailleurs de fonds sur sa détermination à moraliser la vie publique. La condamnation de Constant Mutamba pourrait ainsi être instrumentalisée comme une preuve d’efficacité dans la lutte anticorruption.
Cependant, de nombreux observateurs appellent à la prudence : la justice congolaise devra montrer qu’elle agit de manière impartiale, sans discrimination, afin de ne pas transformer cette affaire en un simple règlement de comptes politiques.
Pour l’heure, l’état de santé de Constant Mutamba reste préoccupant. Ses proches affirment qu’il refuse toute alimentation et qu’il ne cédera pas tant que la justice n’aura pas “revu sa copie”. Le bras de fer qui s’engage entre l’ancien ministre et les institutions pourrait rapidement devenir un test pour la crédibilité du système judiciaire congolais.
Au-delà du cas Mutamba, cette affaire met en lumière les défis persistants de la RDC en matière de gouvernance : la corruption endémique, la politisation de la justice et la fragilité des institutions. Reste à savoir si ce procès marquera un véritable tournant dans la lutte contre les détournements de fonds publics, ou s’il ne sera qu’un épisode de plus dans une histoire où justice et politique s’entremêlent constamment.






Il caso Mutamba sembra diventare un vero banco di prova per la giustizia congolese: tra chi lo legge come lotta alla corruzione e chi come regolamento politico, resta la preoccupazione per la sua salute e per l’imparzialità delle istituzioni.