
Quelli che protestavano contro la sinistra illiberale del politicamente corretto, quelli che rivendicavano il diritto di apostrofare anche con parole offensive le minoranze, adesso praticano la censura in nome della difesa della libertà di espressione e contro l’odio politico.
Questi nuovi censori hanno il loro martire, in via di diventare santo protettore: Charlie Kirk, l’attivista conservatore ucciso durante un evento all’Università dello Utah il 10 settembre. E non potevano avere un riferimento migliore, questi censori americani ma anche europei e italiani.
Perché anche Kirk praticava lo stesso approccio: predicare la libertà di espressione e praticare la censura attiva di chi non si esprimeva secondo i valori conservatori e illiberali della sua destra di riferimento.
Andava nei campus a filmare e postare gli studenti progressisti che dibattevano con lui, e nella parodia social di un confronto rendeva instagrammabili i momenti nei quali lui – professionista dei dibattiti pubblici – usciva vincitore.
Intanto la sua organizzazione Turning Point USA curava la Professor Watchlist, un invito permanente alla delazione dei professori che nelle università americane «discriminano gli studenti conservatori e promuovono propaganda di sinistra in classe».
Discriminare gli studenti progressisti e fare propaganda conservatrice − nella logica di Kirk e dei suoi sostenitori − è non soltanto legittimo, ma anche necessario. Ognuno può denunciare i professori che non gli piacciono e che vengono presentati come bersaglio di odio al mondo conservatore.
In nome di Charlie Kirk, è iniziata una nuova fase della repressione del dissenso sui media da parte dell’amministrazione Trump. Il vicepresidente JD Vance ha lanciato un appello dalla TV conservatrice Fox News: chi celebra la morte di Kirk è una «persona disgustosa» e deve essere licenziata.
Libertà di espressione e di odiare
La Costituzione americana non distingue il free speech dall’hate speech, cioè la libertà di espressione include il diritto di dire tutto il peggio possibile di chiunque, anche di celebrare assassini e denigrare i morti. Proprio a difesa di questo principio costituzionale, a febbraio 2025, JD Vance aveva ammonito la platea di leader europei che lo ascoltava alla conferenza per la sicurezza di Monaco: ogni limitazione al discorso pubblico è censura.
Inutile cercare una coerenza, Vance condivide semplicemente l’approccio di Kirk, di Donald Trump, di Elon Musk e di tanti altri: gli attivisti anti-immigrazione devono essere liberi di predicare il loro odio xenofobo senza che le piattaforme digitali o i media mettano loro limiti, mentre ogni critica alla destra al potere è incitamento all’odio e dunque va soppressa.
Lo dimostra l’approccio di Trump e dell’amministrazione ai late show televisivi, un genere che in Italia non ha molti omologhi, la cosa più simile è Propaganda Live di Zoro, su La7, o i programmi di Valerio Lundini sulla RAI.
La Disney ha sospeso a tempo indeterminato il late show della sua controllata ABC condotto da Jimmy Kimmel per una battuta che va contro la linea dell’amministrazione Trump. Kimmel, che sui social aveva espresso cordoglio per Kirk, durante il suo show di lunedì aveva commentato una notizia che poi si è rivelata infondata, almeno per quanto ne sappiamo ora, cioè che l’assassino di Charlie Kirk, il 22 enne Tyler Robinson, avesse simpatie trumpiane:
«La gang MAGA sta cercando disperatamente di presentare questo ragazzo che ha ucciso Charlie Kirk come qualcosa di diverso da loro e stanno facendo di tutto per ottenerne vantaggi politici».
Sul fatto che Tyler Robinson sia un estremista di destra o di sinistra, il giudizio è sospeso, viene da una famiglia conservatrice con un padre che gli ha insegnato a sparare, ma sui proiettili ha inciso parole che evocano sia slogan della sinistra (tipo «Bella Ciao») che della subcultura di certi videogiochi online molto diffusi nella GenZ.
Di sicuro la destra sta provando eccome a sfruttare la morte di Kirk, basta ricordare che il vicepresidente Vance in persona ha condotto dalla Casa Bianca un episodio speciale del podcast di Kirk che rimane accessibile e popolare su Spotify anche dopo la morte dell’autore.
Parlare bene del presidente
Trump e i suoi hanno celebrato sui social la sospensione di Jimmy Kimmel, così come avevano esultato per la cancellazione dello show di Stephen Colbert da parte di Paramount.
Colbert, che ha ereditato il Late Show dal capostipite del genere, cioè David Letterman, è ancora in onda fino al termine della stagione, previsto per maggio 2026. Dopo sparirà. Ha anche appena vinto un prestigioso premio Emmy, e – con una battuta delle sue, Colbert ha detto che la vittoria è arrivata grazie alla sospensione del talk rivale di Jimmy Kimmel. Il 17 luglio la Paramount annuncia la cancellazione dello show di Colbert odiato da Trump, e il 25 luglio dopo l’amministrazione Trump autorizza l’operazione da 8 miliardi con la quale Skydance Media compra Paramount. Nessuna obiezione dalla Federal Communications Commission.
Sempre nei giorni dell’operazione Skydance, la controllata di Paramount ABC aveva accettato di pagare un risarcimento da 16 milioni di dollari a Trump per chiudere un contenzioso sulla presunta manipolazione di un’intervista a Kamala Harris, durante le elezioni presidenziali 2024. Manipolazione che non era mai avvenuta se non nella propaganda trumpiana.
Colbert, in un suo monologo, ha definito quel risarcimento «una grassa mazzetta» pagata a Trump. E dopo che il presidente ha esultato per il suo licenziamento, il conduttore gli ha risposto dal suo show con un sobrio: «Vaffanculo».
Intendiamoci: le cancellazioni di show molto seguiti per ragioni politiche e non di ascolti ci sono sempre state. Però sono cambiate le ragioni politiche. Nell’ultimo decennio la TV di destra Fox News ha dovuto rinunciare a un suo conduttore storico, Bill O’Reilly, per le accuse di molestie da varie colleghe. O’Reilly ha anche accettato di pagare 32 milioni di dollari di risarcimenti alle vittime.
Poi Fox ha perso anche Tucker Carlson nel 2023, dopo una campagna sulle manipolazioni inesistenti del voto 2020 ai danni di Trump. La società che gestiva le macchine per il voto elettronico, bersaglio delle polemiche di Carlson, ha ottenuto un risarcimento da 800 milioni di dollari e il siluramento di Carlson è stato contestuale.
Sempre nel 2023, la CNN ha cacciato il conduttore Don Lemon dopo una battuta sull’età di Nikki Haley, all’epoca aspirante presidente Repubblicana. Poi Lemon è approdato su X, il social di Elon Musk, per condurre lì un talk show che iniziava con una intervista proprio all’editore.
Musk lo ha chiuso dopo la prima puntata, irritato proprio dalle domande di Lemon su razzismo e libertà di espressione.
Adesso gli show vengono chiusi se non piacciono al presidente. E Charlie Kirk sembra la linea rossa da non oltrepassare: bisogna parlarne soltanto bene, dimenticando tutto quello che di razzista e sessista ha detto negli anni.
Il New York Times, appena colpito da una causa per diffamazione da 50 miliardi di dollari da parte proprio dell’amministrazione Trump, sembra aver già assorbito questo spirito: il principale commentatore politico, Ezra Klein, è diventato un grande sostenitore di ritrovare una qualche forma di concordia nazionale proprio intorno alla figura di Kirk, visto non come un martire ma come la vittima sacrificale di una polarizzazione di cui tutti sono responsabili.
Importare l’estremismo
Tutto questo è una storia soltanto americana? Sì e no.
Come ha osservato Gad Lerner in una recente puntata di Otto e mezzo, la destra italiana fatica a sviluppare un’identità autonoma e si rimodella intorno alle evoluzioni di quelle che la circondano, in particolare della destra americana. Il rischio per noi – nota Lerner – è quello di importare estremismo, verbale e politico.
Nessuno dei leader italiani aveva mai menzionato Charlie Kirk prima della sua morte, che peraltro rappresentava una destra molto diversa da quelle italiche: famiglia tradizionale, richiamo a valori cristiani ma non cattolico, a favore delle armi, con posizioni sociali estremiste e comprensibili solo nel contesto americano, per esempio era contrario alla scolarizzazione dei bambini e alla partecipazione delle donne nel mercato del lavoro.
Nessuno dei leader del centrodestra, da Giorgia Meloni a Matteo Salvini, avrebbe passato il test di conformità all’idea di destra di Kirk. Eppure tutta la destra sta cercando di mimare in Italia lo stesso dibattito americano con la denuncia di una violenza politica insostenibile che qua in Italia certo non si registra, anche per assenza di fucili d’assalto in mano a giovani squilibrati.
Il capogruppo di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami, ha scritto una lettera al presidente della Camera, il leghista Lorenzo Fontana, per chiedere un momento di ricordo di Charlie Kirk in aula. I due sembrano essere d’accordo.
Nessuna iniziativa era stata proposta per altre vittime di violenza politica, per esempio l’omicidio della deputata statale del Minnesota Melissa Hortman e di suo marito Mark il 14 giugno scorso. L’assassino, un certo Vance Luther Boetler, era uno squilibrato di destra, anti-abortista, con una lista di 70 bersagli tra figure progressiste e il piano di sparare a una manifestazione di anti-trumpiani. Per quel tipo di violenza politica, non una parola di cordoglio o di allarme.
A che scopo la destra di Giorgia Meloni cerca di replicare qui il clima e il dibattito americano intorno a Charlie Kirk? Perché passare per vittime porta consenso, dice qualcuno. O forse per giustificare comportamenti e atteggiamenti simili a quelli che l’amministrazione Trump sta adottando in risposta all’assassinio dell’attivista trumpiano.
Già ad agosto Meloni è stata ripresa mentre scherza con Donald Trump sul fatto che lei con i giornalisti italiani «non parla mai». Cosa vera, è da quasi un anno che non tiene una conferenza stampa.
Il sito Professione Reporter, testata di riferimento per le discussioni interne al mondo del giornalismo italiano, ha mandato a palazzo Chigi una lista di dieci domande su come la premier intende la libertà di stampa in Italia. La domanda numero 3, per esempio, è questa: «Lei crede nella funzione della stampa in un sistema democratico?».
Sono domande alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ma anche alla giornalista Giorgia Meloni, visto che la premier è ancora iscritta all’albo, eredità di un remoto passato nel giornale di partito, Il Secolo d’Italia.
Meloni ovviamente non ha mai risposto. E forse è meglio così. Le risposte, nel clima culturale e politico che la destra italiana sta cercando di costruire intorno alla morte di Charlie Kirk, potrebbero risultare parecchio inquietanti per noi giornalisti. E anche per tutti gli altri.
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 19 settembre 2025







Ritengo che non ci sia nulla di nuovo sotto il sole. I fatti che accadono ovunque nel mondo sono ripresi per distogliere lo sguardo dalla situazione italiana e per modellarla, facendo pensare a un complotto mondiale contro questo o quel leader italiano. È un discorso assai comprensibile, soprattutto ora che né destra né sinistra hanno soluzioni credibili da dare al Paese: proprio per questo motivo inventano entrambe realtà che non esistono e gli sciocchi ci cadono.