
Gli osservatori del ruolo internazionale della Casa Bianca, probabilmente concentrati sul documento della National Security Strategy, datato novembre 2025 e pubblicato il 4 dicembre, hanno prestato scarsa attenzione al Presidential Message on the Feast of the Immaculate Conception, che è stato diffuso l’otto dicembre scorso (cf. qui sul sito della Casa Bianca).
Lo hanno invece subito tradotto – e celebrato, con ditirambica ammirazione e una buona dose di pia commozione – i siti del tradizionalismo cattolico italiano, come Messainlatino.it e il Timone. Qualcuno, ad esempio il fondatore del Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi, ha diffuso un post in cui è giunto a presentare il messaggio come espressione esemplare di quella laicità cristiana che, trascurata dai Governi europei, il suo partito, non caso consacrato al Cuore Immacolato di Maria, intende promuovere.
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Non è improbabile che l’entusiasmo di questi ambienti dipenda dalla percezione dell’intervento di Donald Trump come una sorta di riparazione all’oltraggio recato alle loro convinzioni mariolatriche dal recente documento del Dicastero per la dottrina della fede che ha dichiarato inappropriata l’attribuzione a Maria del titolo di «corredentrice».
Ma, al di là dei circoli tradizionalisti – che peraltro non sono compatti: qualche sito americano, come il National Catholic Register, ha espresso riserve per espressioni che tradirebbero la diminuzione dell’impegno pro-life del presidente – il messaggio di Trump merita considerazione. Pare infatti difficile scindere i due documenti che nel giro di qualche giorno sono stati messi in circolazione dalla Casa Bianca.
Se il rapporto sulla strategia per la sicurezza nazionale ribadisce – con articolate ricadute geopolitiche (la dissoluzione dell’Unione Europea; la riproposizione della dottrina Monroe ecc.) –, che la forza militare costituisce il criterio con cui il Governo statunitense intende regolare i rapporti internazionali, il testo sull’Immacolata manifesta che questa linea è accompagnata (e sorretta) da un ricorso a politiche religiose che ha nella strumentalizzazione del patrimonio simbolico del cattolicesimo uno dei suoi cardini.
Naturalmente non sappiamo chi abbia suggerito il documento e poi ne abbia preparato la stesura. Si può supporre che nel processo redazionale abbiano giocato un qualche ruolo, oltre il White House Faith Office, istituito nel febbraio 2025, sia il vice-presidente Vance, convertito nel 2019 alla versione tradizionalista del cattolicesimo; sia qualche membro della comunità ecclesiale americana assai legato all’attuale amministrazione. In ogni caso è evidente che, con la sua pubblicazione sotto forma di «messaggio presidenziale», Trump si è assunto piena responsabilità del contenuto.
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Il presidente – un tempo presbiteriano e poi un evangelicale christian reborn, ma comunque sommo sacerdote della religione civile americana – inizia con una proclamazione: «I recognize [cioè “approvo” o “apprezzo”, non l’incomprensibile “riconosco” delle traduzioni apparse sui siti tradizionalisti], ogni americano che celebra l’8 dicembre come un santo giorno in cui si onora […] Maria, la madre di Gesù e una delle più grandi figure della Bibbia».
Osserva poi che i connazionali cattolici riservano alla Madonna il particolare privilegio della nascita senza peccato originale. Infine, rievocando l’episodio biblico dell’annunciazione, le attribuisce il merito di aver umilmente accettato l’atto che ha cambiato il corso della storia umana. Questo ricorso a Maria per procedere ad una premoderna sovrapposizione della storia della salvezza con la storia universale ha evidentemente lo scopo di compattare sulla base del fondamentalismo cristiano il pulviscolo di chiese e sette presenti nel Paese.
Ma non costituisce il nucleo centrale del documento, che trova invece la sua concreta espressione in due utilizzazioni politiche del culto mariano: da un lato l’esaltazione del nazional-cattolicesimo; dall’altro la legittimazione religiosa della politica estera del Governo americano.
Il primo punto si snoda attraverso la riproposizione di un’erratica serie di vicende che hanno legato Maria agli Stati Uniti: la consacrazione del Paese alla Madonna ad opera del primo vescovo americano, il gesuita John Carroll; l’attribuzione alla Vergine del successo militare sugli inglesi nella battaglia di New Orleans; l’erezione a Washington di una basilica dedicata all’Immacolata concezione che costituisce la più grande chiesa cattolica della nazione; l’innumerevole quantità di college, ospedali, scuole e università che recano il nome di Maria; l’intensa devozione mariana di rilevanti santi e beati americani.
Questi eventi, che sul piano storico hanno ovviamente specifiche e concrete spiegazioni, vengono tra loro collegati attraverso una politicizzazione secolarizzata della tradizionale lettura provvidenzialistica della storia. La chiave di lettura unitaria è infatti fornita, non dal trionfo della Chiesa, ma dall’imminente duecentocinquantesimo anniversario della «gloriosa indipendenza americana». Quella (presunta) catena di accadimenti testimonierebbe infatti il ruolo di Maria nel promuovere «la pace, la speranza e l’amore negli Stati Uniti d’America».
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La pietà per la Vergine viene così presentata come il tramite religioso che ha permesso la coesione della società americana, portando alla piena integrazione dei cattolici statunitensi all’interno di un nuovo Stato indipendente, la cui nascita trova proprio nel riferimento a questa figura celeste una garanzia soprannaturale. Ma la nazionalizzazione del culto mariano si riversa subito sulla politica internazionale.
Il messaggio prosegue infatti, ricordando la statua di Maria regina della pace, che era stata commissionata da Benedetto XV durante la Grande guerra e poi inaugurata nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma nell’agosto del 1918. Intende così sollecitare la preghiera alla Madonna «per la fine della guerra e per una nuova e duratura era di pace, prosperità e armonia in Europa e in tutto il mondo». La distorsione dell’iniziativa di papa Della Chiesa è patente.
Il pontefice, mantenendo una fondamentale adesione alla dottrina della guerra giusta (incrinata con il richiamo all’«inutile strage», ma mai abbandonata, anzi subito ripresa dopo la nota dell’agosto 1917), individuava nella preghiera lo spazio interiore in cui i credenti dovevano mantenere vivo il nesso tra pace e vangelo, respingendo ogni forma di sacralizzazione della violenza bellica.
Nel messaggio presidenziale la preghiera a Maria è invece chiamata a legittimare quella promessa messianica di pace e prosperità che rappresenta il programma elettorale con cui Trump ha abbindolato buona parte di un impoverito e sprovveduto elettorato. Il fondamento reale di questa ideologia religiosa, apparentemente pacifista, è in realtà una giustificazione del bellicismo.
Non lo testimonia solo il quotidiano linguaggio di Trump, offensivo e violento verso ogni forma di alterità – esattamente il contrario di quanto raccomanda Leone XIV come via per la pace. Lo manifesta soprattutto la concreta prassi politica dell’attuale amministrazione americana, che mette in campo tutto il suo potenziale militare per ottenere una soluzione degli attuali conflitti confacente agli interessi delle imprese statunitensi (in Europa, sostenendo l’aggressione di Putin all’Ucraina; in Medio Oriente, aiutando le pratiche neo-coloniali del governo Netanyahu).
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L’episcopato americano non ha mancato di ringraziare un presidente che per la prima volta nella storia del Paese ha pubblicamente celebrato la ricorrenza dell’Immacolata. Ci si può chiedere se nella Chiesa americana siano presenti anticorpi in grado di discernere un uso della pietà mariana che rivela il tentativo – sottile, ma assai pericoloso – di avviare l’identificazione del cattolicesimo con quella religione civile degli Stati Uniti che l’attuale presidente ha immiserito in secolare religione politica del suo Governo.





