Nelson Mandela

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Quanto sta accadendo e i possibili sviluppi, in contemporanea, in Ucraina, Israele, Sudan e altre decine di luoghi del pianeta ci interrogano in modo angosciante. Gli appelli – e persino le risoluzioni dell’ONU – per il «cessate il fuoco!» e per avviare trattative continuano a cadere nel vuoto.

Eppure, ci sono esperienze ancora a noi vicine nel tempo, in cui uomini e donne sapienti hanno operato con successo, riuscendo, sulla base della scelta della non-violenza, a bloccare l’esplosione di stragi e conflitti su base razziale e religiosa: mi riferisco qui a quanto accaduto nel Sud Africa di Nelson Mandela.

Nelson Mandela (1918-2013), da uomo politico di primo piano, si è battuto contro l’apartheid, il darwinismo sociale e il suprematismo ariano, facendo proprie le scelte e la testimonianza di vita del principale leader della lotta anticoloniale indiana, il Mahatma Gandhi (1869-1948), basate, appunto, sulla non-violenza e la disobbedienza civile.

Nel 1948 il National Party, espressione della comunità bianca sudafricana, aveva adottato la legislazione apartheid che imponeva la separazione fra bianchi, neri, asiatici (indiani e malesi) nei luoghi dell’abitare, nelle scuole, nei trasporti e in quant’altro ancora, e, ovviamente, vietava relazioni sessuali e matrimoni “misti”. Sulla base di tali politiche, negli anni ’60, quasi 4 milioni di uomini e di donne di etnia bantu furono sfrattati dalle loro case, deportati in riserve etniche, privati di ogni diritto politico, civile e sociale.

Nel 1961 Mandela divenne capo dell’African National Congress, l’organizzazione politica e militare delle popolazioni nere. Nel 1962 fu arrestato con l’accusa di terrorismo. Processato, tenne il 20 aprile 1964 un discorso di autodifesa diventato celebre. Condannato all’ergastolo, il 12 giugno 1964 iniziò a scontare la pena a Robben Island dove le condizioni della detenzione erano durissime. Anche in carcere valeva la discriminazione per cui solo i bianchi potevano indossare i calzoni lunghi: per i neri e gli asiatici bastavano quelli corti. Nel 1990, dopo 27 anni di prigionia, Mandela fu liberato.

Nel 1994 l’African National Congress vinse le elezioni e Mandela divenne Presidente della Repubblica Sudafricana, ereditando una realtà lacerata da decenni di violenze, odi, sopraffazioni, ove fortissime erano le spinte al farsi giustizia da sé, con la vendetta. Questo il contesto in cui nel discorso di insediamento Mandela affermò: «È giunta l’ora di guarire le ferite; di colmare l’abisso che ci divide; è tempo di ricostruire».

Il 6 dicembre 1993 Mandela aveva istituito la Truth and Reconciliation Commission (Commissione per la Verità e la Riconciliazione), un Tribunale straordinario guidato dal vescovo anglicano Desmond Tutu, che aveva lo scopo di raccogliere le testimonianze delle vittime e di chi aveva commesso crimini – da entrambe le parti – cercando la mediazione e il perdono, per quanto possibile, per le violenze avvenute durante il regime di apartheid.

L’obiettivo era la riduzione del conflitto attraverso la riconciliazione: il perdono doveva essere la principale risposta dei neri. Molti bianchi afrikaner giudicati colpevoli, ma rei confessi, furono amnistiati. Questo perché «Il Sud Africa appartiene a tutti coloro che vi vivono e tutti i gruppi nazionali dovranno possedere uguali diritti».

Il Rapporto finale della TRC fu presentato nel dicembre 1998 e pubblicato nel 1999 in 7 volumi.

La Commissione evidenziò l’esistenza di strategie e programmi del potere afrikaner bianco per alimentare la violenza tra gli oppressi e armare gruppi che seminavano il terrore.

La TRC divenne il simbolo del nuovo Sud Africa che si legittimava sulla base dell’assunto che il passato doveva essere svelato perché il popolo conoscesse le responsabilità di quanto era accaduto: unico modo per guarire le ferite e battere il rischio della guerra civile.

Nel suo discorso alle Camere il 15 aprile 1997, Mandela disse: «Tutti noi in quanto membri di una nazione che da poco ha ritrovato sé stessa, condividiamo la vergogna per la capacità che l’essere umano, di ogni appartenenza linguistica o razziale, ha di essere disumano nei confronti degli altri esseri umani. Perciò dovremmo tutti condividere lo stesso impegno per un Sudafrica in cui questo non possa più ripetersi».

Le ragioni e l’ispirazione di quanto accaduto in Sud Africa per iniziativa di uomini giusti – e grandi patrioti – ci dicono che ci sono le alternative vincenti alla guerra e alle violenze fratricide.

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Un commento

  1. Miguel Calero Cobianchi 5 maggio 2024

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