Dio, la scienza e la “prova”

di:

francois euve

Il volume La Science, l’épreuve de Dieu? del gesuita francese François Euvé è stato presentato dall’editore Salvator come una risposta a un altro volume molto pubblicizzato in Francia, intitolato Dieu, la science, les preuves, l’aube d’une révolutionpubblicato nel novembre del 2021 (Guy Trédaniel éditeur, pp. 577,€ 24.00). In questo volume gli autori, Michel-Yves Bolloré (industriale e ingegnere informatico) e Olivier Bonnassies (imprenditore laureato in teologia), affermano che i progressi scientifici dell’ultimo secolo avrebbero fatto della scienza il «nuovo alleato» di Dio e avrebbero addirittura fornito la prova della sua esistenza.

Una posizione «caricaturale», sostiene François Euvé, docente al Centre Sèvres (la facoltà di filosofia e teologia dei gesuiti a Parigi) e direttore della rivista culturale Etudes. L’obiettivo del suo libro La Science, l’épreuve de Dieu? (Salvator, 2022, pp. 186, 18 euro) è in realtà molto più ampio di una semplice risposta: si tratta di scrivere una storia del dialogo tra scienza e religione. Teologo cattolico, fisico di formazione, François Euvé invita la scienza e la religione a dialogare senza confondere i rispettivi campi.

copertina

  • Presentato come una risposta a Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies, il suo libro non ne fa quasi menzione. Qual è stato il suo obiettivo?

Il tema mi interessa da molto tempo. Quando è uscito il libro di Bolloré-Bonnassies, mi è stato suggerita l’idea di fare il punto su questa vasta e annosa questione del rapporto tra scienza e religione. Il loro libro fa da sfondo al mio, perché dedico una lunga sezione alla nozione di «prova» applicata all’esistenza di Dio. Ma la mia idea non era tanto quella di fornire una risposta. Ero più interessato a tornare ai fondamenti della questione. Il loro lavoro si concentra essenzialmente sulle teorie del XX secolo: mi sembra troppo limitato. Quanto alla loro tesi – la quale consiste nel dire che la scienza prima del XX secolo allontanava da Dio, mentre ora avvicina – mi pare caricaturale, e persino falsa.

Credo tuttavia che l’effetto mediatico del libro sia interessante da notare. Non è la prima volta: il libro di Jean Guitton e dei fratelli Bogdanov (Dieu et la Science, pubblicato nel 1991 da Grasset) ha venduto un milione di copie. E questo è solo uno dei tanti esempi possibili. Questo genere di libro, molto d’impatto, con tesi molto dirette, non mancherà di trovare il suo pubblico.

  • Secondo lei, il termine «prova» non si applica a Dio. Lei preferisce il termine «segno». Perché?

Dio non è un’entità dello stesso ordine di un atomo o di una galassia. L’esistenza dell’atomo è corroborata da schemi teorici e prove sperimentali. Quasi tutta la comunità scientifica ne riconosce l’esistenza. Dio, almeno dal mio punto di vista cristiano, non è una questione di dimostrazione. È un Dio personale con il quale possiamo stabilire una relazione. Questo è un atto di fede e di libertà.

La parola «prova» non si applica all’esistenza di Dio, perché la prova è una questione di ragionamento logico, non di scelta personale. Di fronte a una dimostrazione matematica, non abbiamo la libertà di accettare o rifiutare il risultato. Anche in fisica, dove non c’è certezza assoluta, gli scienziati raggiungono situazioni di consenso. La teoria della relatività generale, ad esempio, è accettata da quasi tutti gli scienziati. Ma questo è ben lungi dall’essere il caso dell’esistenza di Dio!

Un segno, invece, richiede un’interpretazione. E l’interpretazione rimanda alla libertà dell’interprete. Se facciamo un incontro piacevole per strada, possiamo vederlo come un segno della benevolenza di Dio o semplicemente come un frutto del caso. È una questione di libertà di interpretazione. Nessuna dimostrazione può concludere che avremmo dovuto incontrare quella persona in quel giorno e a quell’ora.

Il credente può essere libero di trovare segni dell’azione divina nella struttura dell’universo. Non è forse un segno di qualcosa il fatto che l’universo sia così coerente? Qui c’è spazio per il dibattito. Ma non si tratta di una prova.

  • Eppure, come lei sottolinea nel suo libro, la storia del pensiero è disseminata di grandi autori, soprattutto cristiani, che hanno sviluppato argomenti razionali sull’esistenza di Dio. Non si trattava forse di un desiderio di «dimostrare»?

Fin dall’inizio il cristianesimo si è preoccupato di dimostrare che il nostro rapporto con Dio non è irrazionale. È una questione di libera scelta, certo, ma questo non significa che sia irrazionale. Alcuni autori, con una sensibilità da filosofi, hanno quindi cercato di razionalizzare il loro discorso.

Si trattava innanzitutto di un’eco di una certa tradizione filosofica: Platone, Aristotele e persino gli epicurei parlavano già del divino. Tra i filosofi antichi, come tra i cristiani, c’era la preoccupazione di valorizzare la ragione umana. Il motore immobile teorizzato da Aristotele, ad esempio, è un’entità eterna che regola il funzionamento del mondo e la cui azione non è irrazionale. Il cristianesimo si impegna in questa prospettiva, in questa valorizzazione della ragione.

Ciò è particolarmente chiaro in Tommaso d’Aquino (1225-1274). All’inizio della sua Summa Theologiae, egli sviluppa cinque «modi» per dimostrare l’esistenza di Dio. Ad esempio: tutto ciò che esiste ha una causa; è impossibile andare di causa in causa all’infinito, quindi deve esserci necessariamente una causa prima, Dio. Tuttavia, Tommaso d’Aquino non stava cercando di «dimostrare» Dio. Ai suoi tempi, nessuno dubitava della sua esistenza!

La sua preoccupazione era mostrare che Dio ha una relazione con il mondo e che la nostra relazione con lui non è irrazionale. Inoltre, scriveva in un momento in cui i testi di Aristotele venivano riscoperti. La questione era se questi testi, che sostenevano un metodo basato sul ragionamento logico, fossero compatibili con la fede cristiana. Tommaso d’Aquino realizzò una sorta di manuale per gli studenti di teologia: il suo intento aveva un aspetto pedagogico, didattico, piuttosto che dimostrativo.

Nella storia del pensiero possiamo trovare anche famose «prove» dell’esistenza di Dio, ma come esercizio di intelligenza. Prendiamo il famoso «argomento ontologico» (che si può riassumere così: l’idea di Dio che abbiamo in mente è quella di un essere perfetto; siccome la perfezione implica l’esistenza, allora Dio esiste), che fu teorizzato per la prima volta da Anselmo di Canterbury (1033-1109). Con il senno di poi, questo sembra più un gioco mentale che una vera prova, in un tempo in cui nessuno metteva in dubbio l’esistenza di Dio.

  • La cosiddetta scienza «moderna», almeno dopo Galilei (1564-1642), è spesso vista come conoscenza sviluppatasi in opposizione alla religione. Tuttavia, la realtà è più complessa…

La scienza moderna non è affatto nata da una reazione antireligiosa. I suoi pionieri non erano né miscredenti né motivati dal desiderio di rovesciare la religione o la Chiesa. Galilei rimase un cattolico molto fedele fino alla fine, così come Descartes (1596-1650) e padre Mersenne (1588-1648), un contemporaneo di Galilei, studioso, fisico e matematico, a cui si devono le prime leggi dell’acustica e le prime formule della legge di caduta dei corpi. Il Settecento ha visto altri grandi scienziati che erano al contempo dei convinti credenti, tra cui Newton (1643-1727).

La scienza moderna si basa su una descrizione meccanica del mondo. Ciò è in contrasto con la cosiddetta visione «organica», diffusa durante il Rinascimento, che vedeva il mondo come un organismo vivente con un principio attivo interno. In un modello meccanico, invece, il principio attivo è esterno. Una macchina è progettata da un ingegnere e azionata da un’energia esterna. E secondo i pionieri della scienza moderna, Dio non è equiparato all’anima del mondo ma è, per dirla con Newton, «il Signore del mondo», in una posizione di esteriorità.

Il problema era che questa idea di un mondo meccanico progettato da Dio portava a un paradosso, illustrato nel XVIII secolo da un famoso dibattito tra Newton e il filosofo Leibniz (1646-1716). Per Newton, abbiamo bisogno di Dio per far funzionare il cosmo e il mondo. Dio interviene nel mondo per mantenerlo in ordine. Ma Leibniz controbatte con il seguente ragionamento: se il Creatore è perfetto, fa una macchina perfetta la prima volta e non ha più bisogno di intervenire. Leibniz, che era comunque un credente, teorizzò che Dio era radicalmente esterno al mondo e che il mondo non aveva più bisogno di Dio per funzionare.

Nel secolo successivo, questo portò alla famosa affermazione del matematico e fisico Pierre-Simon de Laplace (1749-1827): «Non ho bisogno dell’ipotesi di Dio» per fare scienza. Il modello meccanico, i cui pionieri volevano difendere l’esistenza di Dio, alla fine ha portato a un Dio inutile, nel senso che l’«ipotesi Dio» è diventata inutile per spiegare il mondo.

  • Le nuove teorie del XX secolo, prime fra tutte la teoria della relatività generale e la meccanica quantistica, cambiano il quadro?

Anzitutto, dobbiamo contestualizzare queste teorie. Il XIX secolo ha visto diffondersi una certa visione «scientista», in cui la scienza era considerata onnipotente e in grado di spiegare tutto. È stato un periodo di successi della tecnica, di rivoluzione industriale e di diffusione sociale della scienza attraverso l’istruzione. Naturalmente, era anche un’epoca di miracoli: le guarigioni miracolose erano evidenziate dalla Chiesa come una prova più o meno evidente dell’esistenza di Dio. Ma gli intellettuali scettici dell’epoca li denunciavano come inganni.

Nel XX secolo abbiamo assistito all’uscita da questa visione scientista della scienza. La teoria della relatività generale e la meccanica quantistica hanno portato a una rappresentazione del mondo molto più complessa di quella meccanica. La relatività generale ci mostra un universo in cui le distanze si contraggono e il tempo si dilata. Le teorie quantistiche ci parlano di un mondo microscopico che non potremo mai afferrare veramente, poiché ogni osservazione implica un impatto su ciò che osserviamo.

Il punto fondamentale è che, con queste nuove teorie, non ci si può più rappresentare il mondo. Esistono formule matematiche per descriverlo, che funzionano anche molto bene, finché non subentra una teoria sostitutiva. Ma non si riesce più a rappresentarselo. Questo riporta in auge domande metafisiche e filosofiche che lo scientismo ottocentesco aveva eliminato: che cos’è la realtà? Cosa siamo noi nel mondo? Che cos’è la conoscenza? Quali sono le condizioni della conoscenza?

  • Queste nuove teorie sollevano nuovamente la questione dell’esistenza di Dio?

Non mi spingerei così avanti. Prendiamo, ad esempio, la questione del big bang. È vero che la teoria della relatività generale porta a pensare che l’universo si evolva e che abbia avuto un inizio. Lo schema è molto semplice da capire: se andiamo indietro nel tempo, vediamo che l’universo si contrae, diventa sempre più piccolo e denso. Estrapolando i dati, si arriva a un istante zero, posizionato circa 13 miliardi di anni fa. Ma nessuna teoria fisica è in grado di spiegare questo istante zero. Non esiste una prova definitiva che il mondo abbia avuto un inizio assoluto, né tantomeno che Dio ne sia la causa.

Alcune teorie, ad esempio, evocano un andamento per cicli: il nostro universo attualmente in espansione sarebbe stato preceduto da una fase di contrazione dello stesso universo il quale un giorno si contrarrà nuovamente, in una serie senza fine di cicli (espansione-contrazione). Dal punto di vista matematico, questo modello non pone alcun problema. Ancora una volta, la difficoltà sta nel fatto che siamo al di fuori delle nostre rappresentazioni.

Altro esempio interessante è il cosiddetto «principio antropico». Questo consiste nel dire che il nostro mondo è incredibilmente coerente. I valori delle costanti fondamentali del nostro universo sembrano essere interconnessi. Se tali valori variassero anche di poco, il nostro universo non starebbe insieme. Per comodità, si parla di fine tuning delle costanti fondamentali. La domanda è ovvia: chi ha programmato questo fine tuning? Ma sottende una visione molto antropomorfa. Tutte queste costanti possono essere spiegate dalla storia dell’universo. Non provano nulla. È pertinente parlare di legge dell’universo? Chi dice legge dice legislatore. Oppure vi sono semplicemente delle coerenze globali nell’universo.

Infine, prendiamo gli organismi viventi. L’origine della vita rimane in larga parte inspiegata. Questo prova forse qualcosa sull’esistenza di Dio? Non credo. Diamo tempo al tempo. Lasciamo che gli scienziati facciano il loro lavoro senza invocare un Deus ex machina che ne sarebbe all’origine. Questa affermazione non contraddice in alcun modo la religione. La tradizione biblica cristiana, nella quale mi ritrovo, riconosce l’autonomia del mondo e della ragione. Dopo aver attraversato il deserto, Dio non ha forse lasciato che il popolo ebraico se la cavasse da solo?

  • Scienza e religione possono alimentarsi a vicenda?

La scienza può aiutare a purificare la religione dalla superstizione e la religione può aiutare a purificare la scienza dai falsi assoluti. Ma ciò che ritengo essenziale è la mediazione filosofica. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è la riflessione, la critica filosofica. L’importante per la scienza, come per la religione, è evitare un ripiegamento su di sé e conservare il senso del mistero. Tutti gli approcci alla realtà del mondo (tra i quali si può menzionare anche la poesia) hanno interesse a entrare in dialogo.

  • Il suo libro si concentra quasi esclusivamente sul dialogo tra scienza e cristianesimo. Perché non si è aperto ad altre religioni e spiritualità?

La prima ragione è del tutto personale: riguarda la mia tradizione. Credo sia giusto avere un punto di vista un po’ personale su questo tipo di argomenti. In secondo luogo, è la tradizione che conosco meglio. Inoltre, la modernità scientifica è stata costruita in gran parte all’interno di questa tradizione. Il pensiero medievale e antico ha avuto un ruolo importante, così come l’Islam a suo modo. Ma la maggior parte dei dibattiti, fino a poco tempo fa, si svolgeva all’interno del cristianesimo. Tuttavia, è vero che potrebbe essere interessante scavare più a fondo nel pensiero «orientale», che forse è meno confinato di noi dalla nozione di «essere», la quale tende a bloccare la realtà. Alcuni lo stanno già facendo, come l’astrofisico buddhista vietnamita-americano Trinh Xuan Thuan o il filosofo della scienza Michel Bitbol, che si è interessato al buddhismo dopo aver lavorato sulla meccanica quantistica.

  • Pubblicata su Le Monde des Religions, 24 luglio 2022 (qui l’originale francese)
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Un commento

  1. Pietro 8 gennaio 2024

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