
Il tema dell’impiego dell’energia nucleare è tornato di grande attualità davanti alla necessità di immaginare un’alternativa alle fonti fossili e anche in Italia l’attuale Governo sembra spingere per un possibile ritorno al nucleare “civile”. Al netto delle contraddizioni e controindicazioni di questa soluzione, di cui su queste pagine abbiamo ampiamente parlato, il nucleare ha il risvolto non banale di poter essere spinto fino all’utilizzo per scopi militari. Abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini proposte dai media della cosiddetta «guerra dei 12 giorni», con Israele e gli Stati Uniti impegnati in un inatteso e intenso bombardamento dei siti dove l’Iran starebbe sviluppando il suo programma nucleare per impedirgli il raggiungimento dell’arma atomica. Abbiamo intervistato Margherita Venturi, docente all’Università di Bologna e membro della Associazione Energia per l’Italia, per chiedere a lei di fare chiarezza sul tema del nucleare.
- Qual è la materia prima – o il principio chimico attivo – per costruire armi nucleari a fissione nucleare?
Forse prima di parlare di “materia prima” è giusto dire due parole sul processo di fissione spiegando perché viene usato per costruire armi nucleari. Si tratta di un processo in cui il nucleo atomico di un elemento chimico pesante, in seguito all’urto di un neutrone, si spezza dando nuclei di atomi con numero atomico inferiore e generando altri neutroni. Da ciò derivano due peculiarità di questo processo: la prima è che i neutroni prodotti possono a loro volta innescare la fissione di altri nuclei di partenza, così che il processo, se non è opportunamente controllato, può diventare esplosivo; la seconda riguarda il fatto che nella fissione si ha una perdita di massa (m) e, quindi, il processo è accompagnato dallo sviluppo di una grande quantità di energia (E), secondo la celebre equazione E = mc2, dove c rappresenta la velocità della luce nel vuoto.
Sono proprio queste due peculiarità che hanno permesso la realizzazione della bomba atomica, in cui la fissione avviene in maniera esplosiva generando una quantità di energia devastante. Per costruire armi a fissione nucleare si possono usare due tipi di “materia prima”. La più “comune” è l’isotopo di uranio U-235 che dà la reazione di fissione, ma che è presente in natura in quantità molto scarsa rispetto all’isotopo naturale U-238 (non fissile). Con un processo di arricchimento dell’uranio naturale si può artificialmente aumentare la percentuale dell’isotopo fissile ad oltre l’85%, ottenendo così la materia prima esplosiva della bomba.
Una seconda materia prima, anche se “meno comune”, è il plutonio; pur essendo quasi inesistente in natura, si può generare nei reattori nucleari a partire da U-238 che, per assorbimento di neutroni, si trasforma in U-239 dal cui decadimento si ottengono vari isotopi del plutonio (Pu-239, Pu-240, Pu-241 …). Quello utile per produrre bombe nucleari ad alta efficienza è Pu-239 (fissile), mentre Pu-240 è una presenza indesiderata, perché tende a emettere spontaneamente neutroni, riducendo il controllo sul processo di innesco e detonazione dell’ordigno. In tutto ciò la cattiva notizia è che la materia prima per ottenere armi nucleari si può ricavare, operando in maniera appropriata, dal combustibile delle centrali nucleari a uso civile. Ricordo, per dovere di cronaca, che la bomba che ha raso al suolo Hiroshima era all’uranio, mentre quella che annientò Nagasaki era al plutonio.
Estrazione
- Come viene estratto l’uranio nel mondo? Chi ci lavora corre rischi già in fase di estrazione? Quali sono i paesi maggiori produttori di uranio?
L’uranio è molto diffuso sulla crosta terrestre sotto forma di minerali detti uraniferi, i principali dei quali sono l’uranite (detta anche pechblenda, costituita fondamentalmente da diossido di uranio) e la carnotite (contenente prevalentemente un ossido di uranio-vanadio). Tuttavia, in questi minerali l’uranio ha concentrazioni piuttosto basse (da 3 grammi a 500 grammi per tonnellata di minerale), per cui la sua estrazione mineraria è caratterizzata dal fatto di dover processare elevati volumi di materiale roccioso. Si sfruttano sia miniere a cielo aperto che miniere sotterranee; nelle prime il minerale di uranio viene estratto da una fossa aperta o da uno scavo superficiale utilizzando macchinari e attrezzature pesanti, mentre nelle seconde è necessario costruire tunnel e pozzi per accedere al minerale di uranio, che viene quindi estratto e portato in superficie.
Successivamente, il minerale deve essere lavorato per estrarre l’uranio e convertirlo nella forma adatta per un ulteriore utilizzo. Si tratta di un processo non banale che comporta vari passaggi. Il minerale di uranio, frantumato e macinato in particelle fini, viene trattato con sostanze chimiche per solubilizzare l’uranio; la soluzione così ottenuta viene, quindi, purificata attraverso una serie di processi chimici, come l’estrazione con solvente o lo scambio ionico, per rimuovere le impurità e concentrare l’uranio; infine, la soluzione di uranio purificato viene trattata con altre sostanze chimiche per precipitare l’uranio. Il solido ottenuto si chiama “yellowcake”: si tratta sostanzialmente di una miscela di ossidi di uranio, principalmente costituita da U3O8. È questa la forma con cui l’uranio viene commercializzato e da cui si parte per ottenere il combustibile fissile.
Come è facile capire l’estrazione e la lavorazione dell’uranio possono avere pesanti impatti ambientali, in particolare nella contaminazione dell’acqua e nell’inquinamento del terreno, ma anche effetti molto negativi per la salute dei lavoratori che sono esposti a sostanze radioattive (come il radon, un gas emesso dall’uranio nel suo decadimento) e a radiazioni ad alta energia.
A titolo di esempio si ricorda che durante gli anni Cinquanta del secolo scorso molti dei minatori statunitensi impiegati nelle miniere di uranio – nativi Navajos dato che molte delle miniere erano collocate nelle loro riserve – svilupparono forme di cancro al polmone. Questa malattia fu riconosciuta come professionale da una legge del 1990 che risarcì alcuni di loro e dei loro discendenti per il danno ricevuto. Oggi i minatori dell’uranio sono molto più protetti e controllati, anche se i pericoli rimangono.
I Paesi con riserve di uranio economicamente sfruttabili sono pochi e si contano sulle dita di una mano: Kazakhstan, Australia e Canada detengono oltre il 60% della produzione mondiale di uranio. Questi Paesi, quindi, ne controllano la disponibilità creando una evidente situazione di insostenibilità economica, almeno finché le Nazioni non capiranno che in un mondo globalizzato nessuno è autosufficiente, che le risorse naturali sono di tutti e che, pertanto, vanno scambiate in modo equo.
- Ci puoi dare un’idea del “fabbisogno” mondiale in gioco? E il valore commerciale?
Il fabbisogno mondiale di uranio è nell’ordine di decine di migliaia di tonnellate all’anno. Considerato che le riserve di minerale sono limitate (come tutto ciò che si trova sul pianeta), che il consumo annuale di uranio arricchito nel mondo è pari a quasi 60.000 tonnellate (ottenute partendo da circa 400.000 t di uranio “purificato”) e che è conveniente sfruttare quelle miniere che permettono di estrarre a meno di 130 $/kg, la disponibilità di uranio varia da 46 anni a un massimo di 78 anni, anche se chi sostiene il nucleare parla di un centinaio d’anni.
Un’ultima osservazione riguarda il fatto che molto probabilmente l’uranio ha già superato il picco di estrazione, dato che attualmente per soddisfare la domanda di combustibile dei reattori esistenti si fa ricorso alle scorte militari (provenienti dallo smantellamento delle testate atomiche), che costituiscono il 33% della produzione per soddisfare la domanda dei reattori esistenti. Comunque, nemmeno l’impiego di tutto l’uranio contenuto nelle armi nucleari disponibili sposterebbe di molto la fine del minerale e a questo proposito si può fare un rapido calcolo.
Il totale delle bombe atomiche costruite da Russia e Stati Uniti ha raggiunto negli anni Ottanta del secolo scorso qualcosa come 70.000 unità; la maggior parte di esse sono, però, già state demolite, ottenendo uranio ad alto arricchimento trasformato, poi in uranio a basso arricchimento (utile per le centrali). Oggi rimangono circa 6.000 testate nucleari negli Stati Uniti, mentre pare che la Russia, secondo l’ultimo trattato Salt, ne abbia poco meno di 1.500, il che significa che si potranno smantellare circa 7.000 testate. Fatti i dovuti conti, queste testate corrispondono più o meno a 50.000 tonnellate di uranio minerale e, quindi, dato che il gap tra l’estrazione corrente e l’attuale consumo è intorno alle 20.000 tonnellate, entro meno di dieci anni, l’uranio proveniente dalle bombe nucleari si esaurirà. Da quel momento per l’uranio dovremo dipendere unicamente dalle risorse minerarie.
In definitiva, i calcoli più accurati e più ottimistici dicono che – arsenali militari compresi – avremo a disposizione uranio ancora per un periodo che va da 55 a 85 anni, sempre che il parco reattori non aumenti (e il prezzo non scoraggi l’estrazione). Molto più difficile è definire il valore commerciale dell’uranio, perché il prezzo dipende della purezza, dalla forma (naturale o arricchito) e dalle condizioni di mercato. Per questo motivo il suo costo è in costante fluttuazione tanto da venir monitorato quotidianamente; attualmente è di circa 70 dollari a libbra, ma alcuni analisti, come Citibank, indicano un potenziale rialzo nel breve termine, con stime che potrebbero raggiungere i 110 dollari per libbra. Comunque, indipendentemente dalle fluttuazioni, il mercato mondiale dell’uranio è di decine di miliardi di dollari all’anno.
Arricchire l’uranio
- Cosa significa che l’uranio deve essere arricchito e cosa vuol dire arricchire l’uranio? Quali lavorazioni comporta?
Come prima detto, per ottenere un materiale fissile che sia adatto a scopi nucleari è necessario aumentare la concentrazione dell’isotopo U-235, in grado di dare la reazione di fissione, rispetto all’isotopo U-238, che è quello prevalentemente presente in natura e che non è fissile.
Il processo che permette di aumentare la concentrazione di U-235, detto arricchimento, è estremamente difficile, pericoloso e ad alto consumo energetico. Dal momento che non è possibile separare due isotopi dell’uranio per via chimica, avendo praticamente le stesse proprietà, l’unico modo per separarli è sfruttare la loro piccolissima differenza di peso (meno dell’1,5%).
Per fare questo si fa reagire U3O8 (la forma dell’uranio commercializzata) con fluoro, ottenendo uranio esafluoruro (UF6), un composto solido bianco, che sublima, cioè, passa allo stato gassoso, al di sopra di 56,4 °C. Questo composto in fase gassosa è usato nei due più noti processi di arricchimento, quello per diffusione gassosa e quello per centrifuga a gas, che sfruttano, appunto, la differenza in peso fra l’esafluoruro contenente l’isotopo U-235 e l’esafluoruro in cui è presente, invece, l’isotopo U-238.
Il primo metodo, primo anche per quanto riguarda lo sviluppo temporale, consiste nel far passare l’uranio esafluoruro attraverso una serie di membrane che permettono la separazione tra le molecole che contengono U-235 e quelle che contengono U-238. Durante la guerra fredda, la diffusione gassosa giocò un ruolo fondamentale negli Stati Uniti per arricchire l’uranio, ma ora è in fase di dismissione.
Il secondo metodo, invece, utilizza un gran numero di cilindri rotanti in serie e formazioni parallele; la loro rotazione crea una forte accelerazione centrifuga in modo che le molecole di gas più pesanti, contenenti U-238, si muovono verso l’esterno del cilindro, mentre le molecole di gas più leggero, con maggiore concentrazione di U-235, si raccolgono presso il centro. Per ottenere la stessa separazione isotopica questa tecnica richiede molta meno energia rispetto al vecchio metodo della diffusione gassosa.
Attualmente sono in corso ricerche per trovare alternative maggiormente efficaci, meno dispendiose dal punto di vista energetico e con minori costi di investimento e di utilizzo; la tecnologia di arricchimento chiamata a separazione laser sembra essere una delle più promettenti.
Dopo l’arricchimento l’esafluoruro viene decomposto in uranio metallico e fluoro gassoso e, successivamente, l’uranio metallico è ossidato a UO2, un solido scuro, altamente tossico e inquinante per l’ambiente. L’UO2 è il combustibile delle centrali nucleari: barrette di questo composto, grosse come un filtro di sigaretta, vengono inserite in barre di zirconio lunghe 3,5 metri e spesse circa 1 centimetro; giusto per avere un’idea della quantità di combustibile che serve si fa presente che in una centrale da 1000 MW (quelle più comuni oggi in funzione) sono necessarie centinaia di queste barre, un quinto delle quali vanno rimpiazzate ogni 18-24 mesi.
Altra cosa importante da sottolineare è che il processo di arricchimento produce grandi quantità di uranio impoverito, ossia uranio in cui la percentuale di U-235 è compresa tra lo 0,2% e lo 0,3%, cioè al di sotto di quella naturale pari allo 0,71%: tipicamente da 12 kg di uranio naturale si ottengono all’incirca 1 kg di uranio arricchito al 5% di U-235 e 11 kg di uranio impoverito.
L’uranio impoverito, per la sua grande densità, oltre a usi civili, ad esempio come materiale per la schermatura dalle radiazioni (anche in campo medico) e come contrappeso in applicazioni aerospaziali e navali, è utilizzato in campo militare per ottenere munizioni altamente penetranti e incendiarie. Si tratta di quelle munizioni tristemente diventate famose durante la Guerra del Golfo, dove furono usate per la prima volta, e la Guerra del Kosovo.
Infine, si ricorda che l’uranio impoverito può essere miscelato con il plutonio per la produzione del combustibile nucleare chiamato MOX (acronimo di mixed oxide fuel), che ha un comportamento fisico simile a quello del combustibile originario, ma molti più svantaggi: è decisamente più instabile e radioattivo di altri combustibili nucleari, aumenta i rischi di incidenti nucleari e, in caso di fuoriuscita, è estremamente più dannoso.
Civile e militare: alcuni chiarimenti
- Sino a che punto l’uranio deve essere arricchito, per scopi “civili” e/o per scopi militari?
A seconda dell’utilizzo si hanno diverse percentuali di arricchimento. Si definisce uranio lievemente arricchito quello in cui la percentuale di U-235 varia tra lo 0,9% e il 2%; viene utilizzato come combustibile in alcuni tipi di reattori nucleari ad acqua pesante. Si parla, invece, di uranio a basso arricchimento quando la percentuale di U-235 sta nell’intervallo 3% – 5%; è il combustibile dei reattori nucleari ad acqua leggera (i più comuni).
Infine, si ha uranio altamente arricchito in cui la percentuale dell’isotopo U-235 è pari o superiore al 20%. A parte alcune applicazioni di nicchia, ad esempio come combustibile nei reattori dei sommergibili nucleari e in alcuni reattori di ricerca (ricordo che il primo reattore veloce sperimentale “Fermi 1” utilizzava uranio arricchito contenente il 26,5% di U-235), il maggior impiego è per la fabbricazione di armi nucleari.
L’uranio fissile presente nelle armi nucleari normalmente contiene circa l’85% o più di U-235 ed è noto come uranio di livello militare (weapons-grade). Basta, comunque, anche un 20% di arricchimento per costruire le cosiddette bombe sporche: sono bombe in cui non avviene la reazione a catena e, quindi, non hanno il potere esplosivo delle bombe atomiche, ma hanno tantissimi effetti negativi, pari a quelli delle bombe atomiche, dovuti alla dispersione nell’ambiente di sostanze radioattive e radiazioni ad alta energia.
- Quali aziende fanno questo lavoro e per quali altre aziende, civili e militari (nel mondo, in Europa, in Italia)?
Il processo di arricchimento dell’uranio, che richiede impianti industriali dotati di tecnologie avanzate e molto pericolosi, è in mano pochissime aziende. Il leader mondiale del settore è la società russa Rosatom State Corporation (42%), seguita dalla anglo-tedesca Urenco Ltd. (27,7%), che ha tre impianti in Europa (Paesi Bassi, Regno Unito, Germania), dall’azienda statale cinese China National Nuclear Corporation (17,6%) e dalla francese Orano SA (12%). La rilevanza tecnologica e strategica di Rosatom è tale che, nonostante la guerra Russia-Ucraina scoppiata nel 2022, non ha subito sanzioni. Infatti, la rottura delle relazioni commerciali con la Russia in questo settore avrebbe messo in forte difficoltà una fetta considerevole della produzione nucleare in diversi paesi del mondo, a partire da quelli dell’Europa orientale. Questa vicenda dimostra come sia oggettivamente difficile considerare il nucleare un’opzione valida anche in merito alla sicurezza energetica.
- L’uranio arricchito al “punto giusto” per l’impiego, cos’è un solido, un gas? Come viene stoccato? Come può essere trasportato? Con quali precauzioni?
L’uranio arricchito è un solido che viene stoccato in contenitori speciali, progettati per resistere a impatti e radiazioni, e trasportato principalmente via terra o via aerea, sempre seguendo rigorose procedure di sicurezza per prevenire incidenti e proteggere da radiazioni e contaminazione.
- Quali rischi comporta tutta la filiera di lavorazione per gli esseri umani?
Tutte le fasi della lavorazione dell’uranio, a partire dalla sua estrazione mineraria, sono pericolose perché espongono a radiazioni altamente energetiche e a sostanze radioattive. La fase dell’arricchimento ha poi un problema aggiuntivo dovuto all’uso di fluoro, un gas che causa gravi danni all’apparato respiratorio.
Il Trattato di non proliferazione
- Nelle armi nucleari oggi prodotte è prevalente – se così si può dire – l’effetto di distruzione o l’effetto delle radiazioni successive?
Le bombe nucleari hanno un potenziale devastante enorme dovuto all’onda d’urto e all’onda di calore, effetti immediati a seguito dell’esplosione, ma, come ci ha insegnato purtroppo quello che è accaduto a Hiroshima e Nagasaki, hanno conseguenze drammatiche a medio e lungo termine dovute al rilascio nell’ambiente di sostanze radioattive e radiazioni ad alta energia. Tale inquinamento, il noto fallout radioattivo, contamina aria, acqua, suolo, piante, animali e, di conseguenza, la catena alimentare, con gravi conseguenze per l’ecosistema e per l’essere umano, aumentando, ad esempio, il rischio di sviluppare forme di tumore e di indurre malformazioni genetiche.
- Sai cosa prevedevano gli accordi di non-proliferazione nucleare? Quando sono violati?
Il Trattato di non proliferazione, composto di XII articoli, è l’accordo principale per quanto riguarda l’abbandono delle armi nucleari. Si basa su tre pilastri: (1) Disarmo: gli Stati che possiedono armi nucleari si impegnano a negoziare in buona fede il disarmo nucleare. (2) Non proliferazione: gli Stati che non possiedono armi nucleari si impegnano a non svilupparle, acquisirle o trasferirle. (3) Uso pacifico dell’energia nucleare: si promuove l’uso pacifico dell’energia nucleare, garantendo l’accesso alla tecnologia e alla cooperazione internazionale.
Il trattato fu sottoscritto da Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica il 1º luglio 1968 ed entrò in vigore il 5 marzo1970. Francia e Cina (che possiedono armi nucleari) vi aderirono nel 1992, mentre la Corea del Nord, che l’aveva sottoscritto nel 1985, dopo essere stata sospettata di costruire ordigni atomici e aver rifiutato ispezioni da parte degli organi competenti (l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, IAEA), si ritirò definitivamente dal trattato nel 2004, a oggi unico Paese ad averlo fatto. Attualmente sono 191 gli Stati firmatari. Il trattato impone obblighi abbastanza precisi che vengono violati quando si verificano le seguenti situazioni:
- Sviluppo di armi nucleari da parte di Stati non nucleari firmatari del trattato
- Trasferimento di armi nucleari o di tecnologia per la loro fabbricazione da parte di uno Stato nucleare a uno Stato non nucleare
- Mancato rispetto degli obblighi di disarmo da parte degli Stati nucleari
- Mancato rispetto delle indicazioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) che ha il compito di verificare il rispetto degli accordi di non proliferazione e con la quale gli Stati sono tenuti a collaborare
- Attività nucleari non dichiarate o non trasparenti nei confronti dell’AIEA
- Ammissione di armi nucleari sul territorio di uno Stato che non le possiede, se non in accordo con il trattato
- Uso (o minaccia dell’uso) di armi nucleari
Come detto, la Corea del Nord si è ritirata dal trattato e questa è una possibilità contemplata dall’articolo X del trattato: qualunque Stato contraente può decidere di ritirarsi dal trattato qualora ritenga che circostanze straordinarie, connesse ai fini del trattato stesso, abbiano compromesso gli interessi supremi del suo Paese.
Purtroppo, si tratta di un articolo che può destare molte perplessità, perché non viene specificato quali possano essere le circostanze straordinarie, né quando gli interessi supremi di un paese possano definirsi compromessi, lasciando ampio margine di interpretazione e pressoché totale libertà per ogni Paese di decidere se e quando ritirarsi. Infine, è importante ricordare che esistono altri trattati e accordi internazionali che contribuiscono alla non proliferazione nucleare, come il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW), entrato in vigore il 22 gennaio 2021, che mira a vietare lo sviluppo, il possesso, l’uso e la minaccia di uso di armi nucleari, promuovendo il disarmo nucleare. È stato adottato dalle Nazioni Unite nel 2017 ed è il primo trattato legalmente vincolante che proibisce completamente le armi nucleari.
Sul nucleare iraniano
- Il bombardamento – con armi “tradizionali” – di siti di arricchimento e stoccaggio dell’uranio (per prevenirne l’impiego) è cosa legittima e “sicura”?
L’attacco dei siti di arricchimento e stoccaggio dell’uranio, anche con armi convenzionali, è un’azione estremamente pericolosa e non sicura a causa del rilascio di materiale radioattivo e radiazioni ad alta energia e delle pesanti conseguenze a lungo termine che ne derivano. Dal mio punto di vista un attacco di questo genere, oltre a non essere sicuro, non è legittimo, neanche nel caso di un obiettivo che potrebbe sembrare “legittimo”, come quello di prevenire l’arricchimento e lo stoccaggio dell’uranio. Non credo proprio che sia questa la strada per evitare la produzione e l’uso di armi nucleari, non è con la guerra che si ottiene la pace.
- Come valuti – dal punto di vista della informazione scientifica – ciò che è stato detto e scritto del nucleare iraniano?
Nello scenario di guerra che grava su tutti noi e che si deve, direttamente e indirettamente, a personaggi molto discutibili come Trump, Putin e Netanyahu, recentemente si è inserito l’Iran. La discussione sui media si è concentrata sulla percentuale di arricchimento dell’uranio che questo Paese è riuscito a raggiungere; alcune fonti dicono 50%, altre 60% e altre ancora oltre il 60%. Capisco che la questione sia importante e delicatissima, perché ciò permette di ottenere bombe all’uranio ma, secondo me, ci si doveva focalizzare soprattutto su un altro aspetto e cioè che c’è sempre una commistione fra nucleare civile e nucleare militare e il caso dell’Iran ne è la chiara dimostrazione. Purtroppo, questo è un problema che viene sempre minimizzato quando si parla, anche in Italia, di costruire nuove centrali nucleari.
Poi, naturalmente, c’è il fatto che le armi nucleari non dovrebbero essere sviluppate e usate per i loro effetti devastanti a breve e a lungo termine (in realtà tutte le armi andrebbero abolite, ma forse sono un’irriducibile sognatrice). Penso che in questo momento Albert Einstein si stia rivoltando nella tomba, constatando che l’umanità non ha proprio imparato nulla dalla storia; risuonano quanto mai attuali e inascoltate le sue parole, contenute nel manifesto contro l’atomica, firmato assieme a Bertrand Russell nel lontano 1955: «Chiedo ai governi, davanti al bivio tra morte universale della specie umana o nuovo Paradiso, di rinunciare alla guerra e trovare mezzi pacifici per la soluzione di tutti i loro motivi di contesa. Non c’è alternativa. In una qualsiasi guerra futura saranno certamente usate armi nucleari e queste armi minacciano la continuazione dell’esistenza umana».
Ma anche papa Francesco si sta sicuramente rivoltando nella tomba guardandoci sconsolato “da lassù”: tutti i suoi tentativi per far cessare la guerra, che ha perseguito con risolutezza anche quando era ormai allo stremo delle forze e della vita, sono stati totalmente inutili.
- Come vedi, dunque, personalmente, queste operazioni militari, dal punto di vista della donna di scienza?
Come donna di scienza non ho molto da aggiungere a quanto appena detto, ma come appartenente al genere umano ho la netta sensazione che l’Homo Sapiens Sapiens non meriti più questo suo duplice attributo. Forse non ne merita più neanche uno.





