
Nella primavera del 1938 un referendum popolare sancì l’annessione (Anschluss) dell’Austria alla Germania hitleriana. Ne conseguì che in Austria divenne vigente la legislazione tedesca, anche quella dell’eugenetica razzista che, dal 1933, aveva portato alla sterilizzazione delle persone ritenute affette da malattie ereditarie e quella del «Programma T4» (Aktion T4) che prevedeva la soppressione delle «vite non degne di essere vissute», fra le quali le vite delle persone con diagnosi psichiatrica.
Cifre spaventose
Secondo la Società Austriaca di Psichiatria e Psicoterapia furono più di 200.000 le persone ricoverate nei manicomi austriaci uccise in ottemperanza al «Programma T4».
In Carinzia, in particolare operava, dal 1877, il manicomio di Klagenfurt nel quale il numero massimo di persone internate – 864 – fu raggiunto nel 1940, anno in cui entrò in vigore la legge per la sterilizzazione dei soggetti per i quali, secondo la scienza, esisteva un’alta probabilità di avere discendenti con gravi imperfezioni fisiche o mentali. In Carinzia le sterilizzazioni praticate furono almeno 568.
Nel maggio 1940, nell’ambito del programma T4, una Commissione di 5 medici esaminò le cartelle cliniche dei ricoverati nell’Ospedale di Klagenfurt, selezionò una lista di persone da trasferire con destinazione il castello di Hartheim, vicino a Linz, dove i pazienti furono gasati subito, all’arrivo.
Ai familiari fu detto che si doveva fare spazio a nuove ammissioni e ridurre il disagio nei reparti sovraffollati. I trasporti di trasferimento presero il via il 29 giugno, seguirono quelli del 25 agosto 1940, del 24 marzo e del 7 luglio 1941. Fu di almeno 739 il numero delle persone inviate da Klagenfurt ad Hartheim.
Dopo le proteste di parenti, personale delle istituzioni e il sermone del vescovo von Galen del 3 agosto 1941, il Reich decise di decentrare la macchina delle uccisioni. Così le persone presero ad essere uccise a Klagenfurt con iniezioni di alte dosi di morfina e barbiturici somministrate nell’infermeria o nell’ala geriatrica. Le persone morivano per gli effetti diretti dell’avvelenamento o indirettamente per polmoniti o inedia. Tra il 1942 e il 1945 furono uccise da 700 a 900 persone.
Trattamento del trauma
A partire dal 1980, i Servizi psichiatrici della Carinzia hanno avviato il programma di trattamento del trauma per i familiari e i discendenti delle persone soppresse violentemente quarant’anni prima nel Castello di Hartheim e nel manicomio di Klagenfurt.
Il programma prevedeva di mettere al sicuro i ricordi, valorizzare le culture del lutto, commemorare, acquisire documentazioni sanitarie, fare memoria, pubblicare dati, organizzare viaggi sui luoghi dell’orrore, raccogliere descrizioni il più possibile dettagliate del trattamento dei pazienti, ricostruire il dibattito dentro la disciplina psichiatrica, con particolare attenzione ai temi dell’etica.
Di importanza fondamentale è stato l’incontro del Dipartimento di Psichiatria di Klagenfurt con familiari e discendenti, un incontro facilitato da un’importante copertura mediatica del progetto di memoriale che ha consentito a molte famiglie di avere l’occasione di ricostruire le vicende dei congiunti e avere lumi sul destino degli stessi.
Un primo saggio, un’anteprima del lavoro con parenti e discendenti delle vittime della sterilizzazione, deportazione e uccisione negli anni del Nazionalsocialismo, fu pubblicato nel 2015: ai primi 19 casi trattati fra il 2010 e il 2014 se ne aggiunsero altri 36 fra il dicembre 2014 e il luglio 2023. In 38 casi si tennero incontri tra persone coinvolte e conversazioni con parenti. In altri casi le conversazioni avvennero via e-mail o telefono; in 8 casi è stato impossibile confermare il destino del paziente per mancanza di documentazione negli archivi.
Gran parte dei familiari e dei discendenti desiderava ricostruire le storie della famiglia per studi genealogici, ma in altri casi per ragioni di psicoterapia. Solo in 6 situazioni le ragioni degli incontri hanno riguardato il timore che la malattia mentale potesse riguardare l’intera famiglia.
Fattore determinante dell’approccio fu il tempo rimanente: troppo poco per parlare con i parenti più vecchi e avvalersi delle loro conoscenze e memorie.
In 32 casi il contatto fu preso da donne per lo più della terza generazione – pronipoti, nipoti maschi e femmine – di solito richiesto via e-mail dall’Austria, uno dagli USA e 3 dalla Germania.
Drammi da ricostruire
La preoccupazione del Dipartimento di Psichiatria fu in primo luogo terapeutica, più che orientata alla ricerca, perché, spesso, i traumi non risolti possono impedire l’elaborazione del lutto delle famiglie, di generazione in generazione.
Sentimenti di colpa, vergogna e paura, sono stati coltivati sia dai singoli che dalle famiglie intere. Si sono potuti ritrovare tutti i meccanismi della difesa: repressione, negazione, proiezione.
Comunque, gli eventi, i sentimenti e gli altri processi psichici associati, si possono dire depositati nelle memorie sia individuali che collettive, spesso inconsce, con varie modalità di trasmissione.
Il progresso e la maturazione degli individui e dei gruppi sociali sono dipesi dal modo di elaborazione di questo trauma. Le documentazioni più importanti non furono consegnate ai parenti, ma discusse con loro. Questo perché le famiglie potevano essere sopraffatte dal dolore o perché i documenti potevano contenere dettagli sorprendenti, difficili da assorbire. Ma le storie di famiglia sono state riscritte e sono stati abbattuti tanti muri di silenzio fra le generazioni.
Assai intense sono risultate le conversazioni con i figli delle vittime la cui infanzia è stata segnata non solo dalla malattia mentale dei genitori, ma anche dalla loro assenza per uccisione, con l’aggiunta dei tabù e dello stigma. Recarsi nei luoghi per ricordare il lutto e ulteriori contatti anche in forma scritta ha aiutato ad alleviare una sofferenza che avrebbe potuto montare con violenza.
La sanità pubblica della Carinzia ha offerto un esempio di psicoterapia – gratuita – ai discendenti dei pazienti psichiatrici vittime storiche del Nazionalsocialismo.
Informazioni tratte dall’articolo di Herwig Oberlechner, Helge Stromberger, Psychiatry during National Socialismus: contacts with relatives of the victims of NS-Euthanasia as part of a consequent memorial culture, in History of psychiatry, 2025, 36, 32-37





