
Gli articoli di Daniele Menozzi e di Giuseppe Savagnone pubblicati in questi giorni da SettimanaNews costituiscono esempi importanti di informazione su temi decisivi del confronto odierno, illuminando la visione “mariana” di Trump e un “neo-cristianesimo” che emerge.
Il testo di Menozzi ci illustra il documento trumpiano, divulgato nel giorno dell’Immacolata: “Nel messaggio presidenziale la preghiera a Maria è invece chiamata a legittimare quella promessa messianica di pace e prosperità che rappresenta il programma elettorale con cui Trump ha abbindolato buona parte di un impoverito e sprovveduto elettorato”.
Partendo dal recente lavoro di Vito Mancuso, Giuseppe Savagnone ce ne spiega valenza e portata, soffermandosi poi su altre tesi, post-teiste; rischio o “esigenza di dare della tradizione cristiana una versione più vicina alla sensibilità degli uomini e delle donne di oggi”? Queste due eccellenti letture mi hanno condotto a focalizzare un terzo aspetto che richiederebbe attenzione e che questi due contributi mi confermano avere una sua rilevanza – provo ad indicarlo.
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Da più parti si parla di scristianizzazione in atto, soprattutto in Europa. Quasi che la situazione di un progressivo allontanamento dalla fede cristiana di molte persone, che defluiscono lentamente ma sempre già velocemente verso un’indistinta secolarizzazione, sia ormai assodata.
A me sembra però, e Menozzi mi conferma in questo, che emergono anche usi del cristianesimo che a mio avviso lo scristianizzano. Intendo dire che forze politico-culturali ci presentano come cristiano un universo valoriale e comportamentale aggressivo e al contempo relativista, nei fatti violento, a volte feroce.
Indubbiamente ogni attore muove da problemi reali, che non possono essere negati né nascosti. Piuttosto andrebbero capiti, studiati nelle loro cause profonde e nelle loro origini, cercando insieme soluzioni che richiedono tempo ed impegni.
Ma questo è molto complesso, e davanti all’urgenza di affrontarli senza toccare le “cause profonde”, si propongono ricette “definitive”, la cui legittimità “socio-culturale” si ricerca nel definirle “cristiane”, a differenza di quanto fanno settori del mondo secolarizzato, che non rivendicando di essere cristiani non possono usare la fede per andare, anche loro, contro quelli che stanno diventando i “vecchi valori”. Perché “vecchi valori”?
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Anni fa papa Francesco ci avvertì: non siamo in un’epoca di cambiamenti, ma giunti oramai a un cambiamento d’epoca. Il tempo della liberal-democrazia si sta consumando, è possibile che presto finirà anche quello dell’Euro, che di quell’epoca in Europa è stato il frutto ultimo, il punto di arrivo del processo europeo che poi si è interrotto, fermato, allargando oltre il lecito i confini di un’Europa divenuta ingovernabile senza cessioni di sovranità, o la creazione di cerchi concentrici.
A queste sfide enormi è evidente che si risponda frequentemente usando la religione, il fondamentalismo, il fanatismo religioso.
È interessante notare che nella storia islamica, quando le invasioni mongole misero in ginocchio il mondo islamico, si affermò da parte di molti l’idea che fosse il caso di chiudere le porte dell’interpretazione: “non c’è più nulla da interpretare, tutto è stato discusso, capito, definito”.
Fu una reazione difensiva davanti all’enormità di ciò che accadeva, la fine di un’epoca. Insieme ai mongoli era arrivato anche un tremendo mutamento climatico che abbassò le temperature e quindi ridusse i raccolti. Non a caso è di quel tempo il principe della teologia rigida, aggressiva, Ibn Taymyya, da molti ritenuto punto di riferimento o ispirazione degli odierni gruppi più estremi del radicalismo islamico, fondamentalista.
L’apogeo della civiltà islamica era alle spalle e nell’emergenza la risposta che molti trovarono fu rigidità, chiusura, identitarismo.
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Come altrove, anche tra noi molte forze influenti e visibili oggi usano la fede per chiudere, non per approfondire la riflessione, l’analisi, la lettura dei nostri problemi.
Faccio tra i tanti possibili un piccolo esempio: autorevoli colleghi hanno condiviso, garantendone l’autenticità, una fotografia che sarebbe apparsa su siti ufficiali e che ritrae poliziotti americani vestiti come Babbo Natale impegnati nella “ricerca” degli immigrati illegali. Oggi i fotomontaggi sono pane quotidiano, ma se fosse vero sarebbe indicativo.
Non mi avventuro in letture e analisi che non posso fare. Dico che oggi il cristianesimo sta trovando nelle nostre società una nuova centralità anche per un uso che confligge con ciò che a mio avviso di cristiano si è sedimentato nelle nostre società, in modo dichiarato o non dichiarato, consapevole o inconsapevole.
Ritengo, ad esempio, che anche molti “secolarizzati”, o disincantati, potessero facilmente conservare un sostrato di cristianesimo dentro di sé, come sentimento, educazione, cultura, sebbene sia emerso anche un desiderio evidente, in alcuni di quegli ambienti, di contrapposizione, soprattutto su ciò che attiene alla famiglia. Oggi però questo stesso secolarizzato può facilmente trovarsi a contatto, per via di quanto accade nel nostro Occidente, con rappresentazioni capovolte di ciò che sarebbe “cristiano”; e può riconoscere in questo una religione civile che gli piace e gli sta bene.
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Ecco che, mentre camminavo, mi è capitato di vedere una donna chiedere l’elemosina; è stata avvicinata e le è stato detto di smetterla, “è proibito chiedere la carità”. Non credo che le cose stiano così, il discorso è più complicato, ma nessun altro intorno a me ha eccepito.
Non intendo allargare troppo il discorso, ma quando un patriarca come il quello di Mosca parla di “guerra metafisica” e identifica il male da combattere nell’Ucraina che si “occidentalizza” e fa giungere a Kiev il Gay Pride, credo che chiarisca molto. Certo, servirebbe ricordare come si consolidò Boris Eltsin, ma il peso di quelle parole resta.
Ovviamente non mancano gli esempi di segno opposto, dal mondo cattolico come da tutti gli altri. E questo è il punto di considerazione che intendo proporre, o riproporre.
Siamo in un sommovimento globale nel quale poteri tra loro lontani possono coalizzarsi portando avanti per interessi concreti, facilmente comprensibili, “integralismi” diversi, di diversa origine intendo dire.
Trovo dunque sempre più urgente un’alleanza trasversale tra chi non condivide queste tendenze. È più difficile, certamente, ma a me sembra indispensabile. Si tratta molto semplicemente di un’alleanza per un nuovo umanesimo. Mi sembra che in questa frase di papa Francesco, scritta nel suo ultimo Messaggio Urbi et Orbi, si possa vedere il punto di partenza comune: “non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano”.
Ovviamente rimarranno distanze e incomprensioni, ma, all’ombra di questo, tutti i diversamente credenti, cristiani, neo-cristiani, appartenenti ad ogni altra fede, come i vari secolarizzati che credono nella necessità e possibilità di un nuovo umanesimo, potrebbero, unendosi, permetterci di ritrovarci e ripartire.





