Antiprostituzione: “modello nordico”?

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Con la proposta di legge n. 3890 presentata il 9 giugno 2016 alla Camera dei Deputati – prima firmataria Caterina Bini del Pd con l’appoggio di un gruppo trasversale di altri trentun parlamentari – e recante “Modifica all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75, concernente l’introduzione di sanzioni per chi si avvale delle prestazioni sessuali di soggetti che esercitano la prostituzione”, una parte del Parlamento italiano dimostra finalmente di condividere la “filosofia” dell’analoga legge[1] che in Francia, di recente, ha introdotto il divieto di acquisto di prestazioni sessuali, volendo con ciò affermare che, per la vita di una società moderna che miri ad assicurare un’adeguata protezione al bene giuridico della dignità umana, la prostituzione non è utile, non è indispensabile e non è necessaria.

Non ci sarebbe offerta se non ci fosse domanda

La “proposta di legge Bini” prende atto di un dato di fatto lapalissiano: non ci sarebbe offerta se non ci fosse domanda. Qualsiasi tentativo di contrastare il sistema prostituzionale (intendendo per tale sia l’esercizio cosiddetto “libero” della prostituzione, sia lo sfruttamento della prostituzione, sia la tratta di donne a scopo di sfruttamento sessuale) deve, conseguentemente, considerare non solo l’offerta, ma anche la domanda di prestazioni sessuali a pagamento.

La proposta di legge lo fa, in quanto «la legislazione vigente – afferma la relazione di accompagnamento – non interviene a colpire con misure deterrenti e repressive tutti gli attori che alimentano il meretricio. Infatti, pur agendo su lenoni e sodalizi criminali nonché sui trafficanti di esseri umani, la legislazione italiana non chiama in causa il cliente che, con la sua domanda di prestazioni sessuali a pagamento, partecipa allo sfruttamento e alla violazione della dignità della persona ridotta a merce».

Contenuti della proposta di legge

La proposta di legge in questione, aggiungendo un capoverso all’art. 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75 (“legge Merlin”), prevede l’introduzione di una multa da euro 2.500 a euro 10.000 nei confronti di chi si avvale delle prestazioni sessuali offerte da persone che esercitano la prostituzione o le contratti, in qualsiasi luogo pubblico o privato, ovvero nei luoghi e nelle forme vietati dalla legislazione vigente. In caso di reiterazione del reato, il fatto è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa da euro 2.500 a euro 10.000.

La pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, su richiesta del soggetto condannato, con quella del lavoro di pubblica utilità, consistente nella prestazione di un’attività non retribuita presso associazioni, enti o altri organismi autorizzati dalla competente autorità amministrativa a realizzare programmi di assistenza e protezione sociale a favore delle donne che si sottraggono ai condizionamenti delle organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento della prostituzione e alla tratta di esseri umani.

In caso di esito positivo dello svolgimento dei lavori di pubblica utilità, il giudice fissa un’udienza e dichiara estinto il reato. In mancanza di esito favorevole, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice dispone la revoca della pena sostitutiva con il ripristino della pena originaria. Il lavoro di pubblica utilità del cliente condannato può sostituire la pena per non più di una volta.

La relazione fa rilevare in modo condivisibile che oggi è sempre più evidente come la prostituzione e la tratta di persone a scopo sessuale abbiano le loro radici profonde nella discriminazione e nella disparità tra donne e uomini, nella violenza fisica e psicologica fondata sul genere. In effetti, finché la prostituzione sarà accettata, finché verrà considerato normale che un uomo paghi per disporre a piacimento del corpo di una donna, l’uguaglianza tra donne e uomini resterà una vana parola.

Inoltre, la prostituzione è una forma di violenza nei confronti della donna. L’ambiente nel quale viene esercitata è anche il luogo dove le donne sono maggiormente esposte al sessismo, agli insulti, alle brutalità, alle umiliazioni, agli stupri e anche alle morti. Come sta uscendo dall’ombra il drammatico fenomeno della violenza domestica e dello stupro coniugale, così va fatta emergere la carica di violenza insita nel sistema prostituzionale.

Un disegno di legge – n. 1916 – analogo alla “proposta Bini” è stato presentato in Senato il 12 maggio 2015 da un gruppo trasversale di sette senatori. Reca “Introduzione degli articoli 602-quinqies e 602-sexies nel codice penale, concernenti il divieto di acquisto di servizi sessuali, e altre norme in materia di prostituzione” e vede come primo firmatario Romano Lucio del Gruppo per le Autonomie (SVP-UV-PATT-UPT)-PSI-MAIE. Anch’esso ispirato al modello neo-proibizionista – definito anche “modello svedese” o “modello nordico” –, che introduce interventi mirati a non caricare di ulteriori condanne chi già deve subire soprusi e umiliazioni o è oggetto di tratta, e provvede a colpire il cliente che, nei fatti, fa parte a pieno titolo della catena di sfruttamento.

La prostituzione, un mestiere come un altro?

In Italia, come in Francia o in altri paesi, vi è anche chi teorizza che la prostituzione è un mestiere come un altro. Che andrebbe, quindi, disciplinato compiutamente anche sotto il profilo sanitario, fiscale, assicurativo e previdenziale. Numerose, al riguardo, le proposte di legge depositate alla Camera dei deputati o i disegni di legge presentati in Senato. Vi è addirittura un senatore, noto per il cambio di casacca, che nel 2014 ha presentato un disegno di legge per istituire una nuova figura professionale: l’«operatore di assistenza sessuale»! Vi è poi una recentissima proposta di legge “regolamentarista” che impone a chi esercita l’attività di prostituzione l’obbligo di «totale riservatezza dell’identità del cliente»!

Si presume quindi che il gruppo di parlamentari convinti che i tempi siano maturi perché l’Italia imiti, in fatto di prostituzione, la Francia, la Svezia, la Norvegia, l’Islanda, l’Irlanda del Nord, il Canada…, troverà non poche difficoltà a sconfiggere la mentalità purtroppo diffusa, che emerge anche a livello politico, che considera la donna un oggetto d’uso. È in virtù di questa mentalità che in Francia, durante l’accanita lotta per approvare la legge entrata in vigore il 15 aprile, un gruppo di intellettuali ha promosso una petizione a favore della libertà di disporre a pagamento del corpo di una donna, utilizzando l’inqualificabile e sprezzante slogan Touche pas à ma pute («Giù le mani dalla mia puttana»).

Una proposta di legge meritevole di sostegno

Tanti e assolutamente condivisibili sono i motivi per augurarsi che anche in Italia il legislatore imiti il “modello nordico”.

  • Facendo propria la risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa adottata l’8 aprile 2014, la quale ha dichiarato che il modo più efficace per combattere la prostituzione, la tratta di donne e ragazze a scopo di sfruttamento sessuale e per rafforzare la parità di genere è quello di considerare reato l’acquisto (e non la vendita) di prestazioni sessuali, perseguendo anche penalmente il cliente.
  • Prendendo a riferimento la risoluzione del Parlamento Europeo del 26 febbraio 2014 che considera la prostituzione, al contempo, causa e conseguenza di una disparità di genere che aggrava la condizione della donna e che influisce negativamente sulla percezione dei rapporti tra donne e uomini e sulla sessualità.
  • Non dimenticando quanto affermato dalla Convenzione ONU 1949/1951 sulla prostituzione, resa esecutiva in Italia con legge 23 novembre 1966, n. 1173: la prostituzione e il male che l’accompagna, vale a dire la tratta degli esseri umani ai fini della prostituzione, sono incompatibili con la dignità e il valore della persona umana.
  • Tenendo presente che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,[2] pone la “dignità umana” tra i valori indivisibili e universali sui quali si fonda la società, sancisce il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti una fonte di lucro e stabilisce che nessuno può essere sottoposto a trattamenti degradanti.
  • Avendo il coraggio di affermare nei fatti che, per la vita di una società moderna e rispettosa della dignità umana, la prostituzione non è utile, non è indispensabile e non è necessaria.

La “proposta di legge Bini” merita, dunque, tutto il nostro sostegno, anche se potrebbe essere migliorata almeno sotto due aspetti:

  • introdurre misure efficaci – anche sotto il profilo finanziario – dirette a favorire la partecipazione delle persone che manifestano la volontà di cessare l’esercizio della prostituzione a iniziative di sostegno idonee al loro reinserimento sociale;
  • adottare o potenziare misure educative, sociali e culturali sulla realtà della prostituzione e sui danni derivanti dalla mercificazione del corpo, promuovendo nelle scuole secondarie una visione egualitaria delle relazioni tra le donne e gli uomini.

[1] Si tratta della legge n. 2016-444 del 13 aprile 2016, “visant à renforcer la lutte contre le système prostitutionnel et à accompagner les personnes prostituées”, entrata in vigore il 15 aprile 2016.

[2] Adottata a Nizza il 7 dicembre 2000 e giuridicamente vincolante per il nostro paese dal 1° dicembre 2009, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 130).

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Un commento

  1. ENZO GOBBI 5 giugno 2017

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