Comunicare in un mondo iperconnesso

di:

Dopo aver abbracciato il culto della libertà di espressione, nella stagione dei social ci siamo accorti di quali sono i suoi veri costi di gestione. Ora tutto è diventato molto politico. Troppo

Lasciamo tracce durature che possono finire sotto lo sguardo di chiunque. I codici culturali cambiano più veloci di noi. Che cosa potrebbe andare storto? Beh, molte cose.

La vita, da quando la passiamo a fissare schermi e premere tasti, assomiglia sempre più a un gioco. Ma allora qual è la regola di questo gioco? E soprattutto: dove sta scritta?

Comunicare senza fare danni

Oggi il sapere necessario per comunicare nella sfera pubblica senza far danni – senza offendere, senza fare figure, senza scatenare infinite polemiche… – è diventato tacito, occulto, mutevole, appannaggio di una minoranza informatissima e spesso severa.

Bene: cosa succederebbe se questo sapere tacito provassimo a raccoglierlo e metterlo per iscritto, nero su bianco? Come in quei trattati rinascimentali rivolti all’educazione di principi e cortigiani, o anche un po’ come nei manuali di bon ton.

Proprio da questa domanda – e da anni di giornalismo, social media management, polemiche, lezioni… – nasce il mio nuovo libro, che appunto si intitola La regola del gioco. Comunicare senza far danni (Einaudi).

copertina

Riassumerlo è facile, anche se tra le sue pagine potrete poi trovare più di cento esempi e casi di studio, raccolti in un indice cronologico alla fine, da Tiziano Ferro che insulta le donne messicane (era il 2006) allo scandalo We are Social dell’estate scorsa.

Innanzitutto si tratta di capire quello che facciamo quando comunichiamo. E sottolineo «facciamo».

In effetti quando diciamo o scriviamo qualcosa produciamo degli effetti concreti sul mondo, anche se spesso ce lo dimentichiamo. Ce lo ricorda però la pragmatica linguistica.

Se così è, allora si tratta di concentrarci su quello che vogliamo ottenere dagli altri – essere rispettati o essere disprezzati? Essere amati o essere odiati? essere assunti o essere licenziati? Vendere un prodotto oppure ricevere una querela? – e non sul piacere immediato che ci dà, ad esempio, uno sfogo o una battuta.

Il culto della libertà di espressione

Il linguaggio, è vero, ha sempre avuto una dimensione pragmatica. Ma negli ultimi decenni sono successe due cose in sequenza. A partire dagli anni 1960, come prima cosa, abbiamo abbracciato un culto quasi religioso della «libertà d’espressione», facendone la pietra angolare della civiltà liberale, occultandone appunto la dimensione pragmatica.

Però poi, nell’ultimo decennio, la diffusione dei social network ha rivelato gli effetti collaterali di questa libertà d’espressione, scaraventandoci in una conversazione universale piena di odio, malintesi e potenziali ritorsioni. Ci siamo accorti che quella libertà ha un enorme costo di gestione.

Così adesso in ogni momento dobbiamo scegliere tra strategie comunicative che ci permettono di massimizzare la nostra visibilità, anche a rischio di polarizzare il pubblico, e strategie che consolidano la nostra reputazione, magari autocensurandoci o rinunciando a comunicare per quieto vivere.

Non è sempre vero che «basta che se ne parli», perché talvolta le cose possono davvero sfuggire al controllo. Che fare, allora? Ultimamente si parla molto di cancel culture, e anche il mio libro ne parla, tentando di farlo in maniera trasversale e, anche in questo caso, pragmatica.

Se è diventato più facile esprimersi, è diventato anche più facile farsi censurare, criticare, bullizzare: ogni nostra traccia rimarrà per sempre visibile, potenzialmente circolerà, e oltretutto sarà interpretabile in innumerevoli modi.

Ma accanto alle trasformazioni tecnologiche, abbiamo assistito a trasformazioni culturali con cui è bene fare i conti, a partire dal ritorno delle identità. Identità classiche, come quelle etniche e religiose, e identità nuove o prima invisibili, come quelle legate al genere.

Identità che si aggregano dal basso grazie a nuovi strumenti e nuovi linguaggi. La nostra cultura della comunicazione non era pronta a gestire tutto questo.

Triggerare tutti

Oltre che uno strumento – si spera – utile, La regola del gioco è anche il precipitato di anni di riflessioni sulle dinamiche del riconoscimento sociale, sulle tensioni intracomunitarie, sul potere crescente della classe competente, riflessioni che avevo consegnato ai miei articoli su Domani e ai miei libri precedenti, a partire dalla Teoria della classe disagiata.

I modi per offendere qualcuno, anche involontariamente, sono tantissimi: alcuni li immaginiamo facilmente (riguardano sesso, genere, religione, nazionalità…), altri sono più leggeri (come certe opinioni che potrebbero «triggerare» culture di fan, da Star Wars in giù) mentre altri ancora sono tipicamente italiani (ultimamente siamo comprensibilmente sensibili a temi come lavoro, classe, natalità…). Ho provato a farne una piccola classificazione.

Il punto è che tutto è in qualche modo diventato politico, in controtendenza rispetto a un processo di depoliticizzazione che ha contraddistinto a lungo la modernità politica.

È difficile stare al passo dei ritmi rapidissimi di questa politicizzazione. Per citare un mio vecchio tweet, che ho ripreso nel libro:

«Ogni mattina, come sorge il sole, cambiano i codici culturali. Ogni mattina, come sorge il sole, una gazzella si sveglia e sa che se non vuole essere cancellata dovrà correre più veloce del cambiamento dei codici culturali».

Qualcuno ha parlato di cultura del piagnisteo, io preferisco dire – rovesciando McLuhan – che il messaggio è diventato il medium: ogni volta che prendiamo la parola, stiamo creando un nuovo canale di comunicazione, una piattaforma che altri interlocutori possono utilizzare come pretesto per esprimere un tema per loro importante, che non aveva altri sbocchi.

Temi incandescenti

Dobbiamo farci i conti, anche se siamo convinti di essere finiti lì in mezzo per sbaglio. Noi siamo il medium di chi non ha altri media.

Qui si tratta allora di farsi un’idea dei dibattiti contemporanei, che dall’America sono giunti a noi. I tre più caldi – come potete immaginare –- riguardano la parità uomo-donna e il tema delle molestie, la questione della cosiddetta «razza» e quella del superamento del genere.

Tre temi incandescenti di cui è opportuno farsi un’idea per capire in che cosa ci avventuriamo ogni volta che prendiamo la parola. Solo così è possibile anticipare alcune reazioni a infrazioni del tutto inedite, ma anche certe «prove iniziatiche» disposte come barriere alla rispettabilità sociale.

Lo sapevate che secondo alcune nuove sensibilità è razzista negare che esistano le razze? Lo sapevate che certe parole non vanno dette né scritte nemmeno tra virgolette per denunciarne l’uso? E d’altra parte lo sapevate che a voler essere troppo progressisti rischiate di essere i primi a finire sulla graticola? Oh, io ve lo dico: poi fate come volete.

Magari siete un ministro del governo Meloni e ritenete di poterne fare a meno (e sbagliate comunque, infatti passate il tempo a scusarvi in conferenza stampa). L’importante è prendere atto che stiamo vivendo una rivoluzione che porterà – che lo vogliamo oppure no – verso un nuovo paradigma della comunicazione. In un mondo sociale iperconnesso e attraversato dalle rivendicazioni, solo una rigida igiene del linguaggio permette di incanalare il conflitto tra soggetti e tra comunità.

Tutti hanno le loro ragioni

Questa rivoluzione, risolvendo alcune ataviche contraddizioni, già ne produce di inedite. Vincolare la vita alla competenza, il capitale sociale al capitale «morale», l’inclusione all’esclusione, non può che costituire un nuovo ordine di diseguaglianze – tra chi sa e chi non sa. Le nuove élite, ho scritto, saranno arcobaleno.

Per questo con La regola del gioco ho voluto mettere a disposizione uno strumento in grado di appianare questa diseguaglianza, incrinando per quanto possibile il monopolio del sapere.

Un po’ alla Robin Hood, che ruba ai ricchi – di capitale morale – per dare ai poveri. Alla fine del libro c’è anche un glossario con le centinaia di parole, spesso in inglese, spuntate fuori nell’ultimo decennio.

E la regola del gioco, allora, qual è? La formula un personaggio del celebre film di Jean Renoir intitolato proprio La règle du jeu: «In terra c’è questa cosa terrificante: ed è che tutti hanno le loro ragioni». È con questa consapevolezza, effettivamente terrificante, che dobbiamo imparare a vivere.

  • Dal blog di Stefano Feltri, Appunti, 15 ottobre 2023
Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto