
Capita spesso che mi senta perso di fronte alle attuali congiunture geopolitiche. Si tratta di perplessità di fronte agli effetti della ridefinizione dello scacchiere delle relazioni tra imperi e stati, che si presentano così prepotentemente triviali a tal punto che penso non meritino l’attenzione quotidiana di ricercatori e interpreti.
Uno sguardo sulla realtà
In effetti, tutti gli specialisti che si dedicano quotidianamente allo sforzo interpretativo producono testi che, contrariamente alle nostre aspettative, non solo non contribuiscono alla comprensione, ma, nella maggior parte dei casi, alimentano una babele meramente descrittiva e cinica, lontana dalla ricerca e dall’incontro con il senso e il desiderio di trasformazione della vita e della storia.
Siamo infatti sommersi da una valanga di fatti brutali che esprimono senza pudore la supremazia del potere economico, politico e militare, l’innegabile efficacia della violenza, della guerra, dello sterminio e della devastazione della natura, per non parlare del delirio religioso di una rinnovata sottomissione di “dio” al diabolico progetto di riduzione violenta della storia a favore dei privilegiati, attraverso il genocidio dei poveri e della moltitudine sacrificabile.
La possibilità dell’esistenza di narrazioni dialettiche sull’invasione dell’Ucraina, che continuano a dividere ciò che resta della sinistra internazionale, si rivela irreale perché viene immediatamente negata dall’impatto della brutalità assoluta della guerra che impedisce qualsiasi approccio ermeneutico e qualsiasi ricerca di significato.
Così come le imposture narrative – funebre creatività negazionista – che cercano di giustificare e nascondere lo sterminio dei palestinesi in Terra Santa. O l’insistenza di chi crede nella prossimità dell’inizio di una Nuova Era, quando, al contrario, ciò a cui assistiamo è la vicinanza distopica della fine del mondo.
Per non parlare del processo sfacciato della COP30 a Belém, in Brasile, in cui la prospettiva negazionista non viene data dalla falsificazione dei dati, ma, con rinnovata radicalità, attraverso il silenzio scandaloso sull’esistenza indicibile e deleteria degli idrocarburi e i loro impatti letali sul pianeta. È innegabile che, non avendo narrazioni alternative alla denuncia delle aggressioni alla vita del Pianeta, il negazionismo avviene semplicemente nell’annullamento di qualsiasi narrazione.
E questo accade in un paese – il Brasile – che, difendendo l’eredità della Costituzione dell’88, lo stato di diritto e la democrazia, e ha appena giudicato, condannato e imprigionato coloro che hanno tentato di organizzare un colpo di stato.
Così, alla luce della censura conclusiva del petrolio alla COP30, vengo a trovarmi con l’impressione che difendere la democrazia sia indubbiamente necessario, ma drammaticamente insufficiente, come se stessimo ignorando la trappola che vuole ridurre le lotte popolari alla semplice protezione dello status quo, al mantenimento del mondo così com’è. Fondamentalmente, si tratta di un invito all’obbedienza e alla rinuncia di qualsiasi pretesa antisistemica.
Fenomeni, questi, che mi convincono che la questione non si risolve con discorsi. Se le sociologie serie e le psicoanalisi non mi aiutano nel mio tentativo di capire, immaginiamo l’utilità di invenzioni come “i poveri di destra”,[1] figura che spiegherebbe la crisi di credibilità della sinistra, oppure l’“ideologia della vergogna”,[2] che decifrerebbe l’insistenza di settori ecclesiastici cattolici statisticamente rilevanti ad allearsi e a identificarsi con le élites e con le destre.
Gesù Signore “sotto sequestro”
La stessa sensazione di irrilevanza degli approcci accademici si insinua di fronte alla brutalità della mega operazione di polizia nei quartieri di Penha e Alemão, nella zona nord di Rio de Janeiro, che, il 28 ottobre di quest’anno, si è conclusa con l’uccisione di più di centoventi persone e l’approvazione incondizionata del massacro dell’Operazione Contenimento da parte dei partecipanti alla Messa, domenica 2 novembre, nella Parrocchia di Santa Rosa de Lima, Barra da Tijuca.
Questa è la chiesa che il governatore Castro, membro del Rinnovamento Carismatico Cattolico e impegnato nel ministero musicale, frequenta solitamente con la sua famiglia. Castro, che gode non solo della familiarità istituzionale dello stesso arcivescovo, il cardinale Orani Tempesta, è stato applaudito dai cattolici presenti e benedetto da padre Marcelo Araujo, cappellano della Polizia Militare dello Stato di Rio de Janeiro.
Purtroppo, le statistiche ci rivelano che la Chiesa cattolica di Rio non fa eccezione, perché, in ogni angolo del Brasile, non solo è stata tradita la liturgia del Giorno dei Morti, in cui la memoria non avrebbe dovuto permettere la complicità con coloro che ordinano ed eseguono massacri; ma il Santo Vangelo viene diabolicamente negato.
Anche in questo caso, la sociologia non può aiutarmi ad aggirare e a spiegare la tragedia e il dolore, e ciò che rimane è un sentimento di dolorosa perplessità davanti alla scandalosa incoscienza di tanti fratelli e sorelle che riescono a conciliare l’Anticristo della violenza e della guerra con la persona di Gesù di Nazareth.
È poi purtroppo necessario non dimenticare che, nell’Abya Ayala, la disumanità ci tormenta dal 1492; ma è dal 376 che si è concretizzata nella storia dell’Europa, come qualcosa di costitutivo e difficile da affrontare, nel processo in cui la Chiesa si sottomette all’Impero. Insomma, Nihil sub sole novi: il movimento progressista della storia umana è solo apparenza.
José Comblin ci ha avvertiti del sequestro di Gesù praticato da coloro che si credono padroni del mondo: «Il generale Videla ha detto “Cristo è Signore”. Il generale Pinochet disse: “Cristo è Signore”. Era fede? O era bestemmia? L’élite latino-americana che ha oppresso i popoli per 500 anni ha sempre proclamato: “Cristo è il Signore”. È stato un atto di fede? È ancora un atto di fede? Questo è il nostro problema. I teologi latinoamericani hanno affermato: coloro che possono dire con sincerità “Cristo è Signore”, come espressione di tutta la loro vita, sono i poveri. I potenti proclamano “Cristo è Signore”, ma la loro vita dice: “Signore, sono io!”. Il grido di Paolo “Cristo è Signore” è una protesta contro tutti i “Signori”, una denuncia dell’oppressione, una sfida contro coloro che si pensa siano i Signori».[3]
L’ammirazione per Bukele
Abbiamo assistito a un altro evento rilevante nel mese di novembre: il 17, i parlamentari brasiliani Flávio Bolsonaro (PL–RJ) ed Eduardo Bolsonaro (PL–SP) si sono recati in El Salvador per incontrare il presidente Nayib Bukele, in una visita istituzionale per scambiare esperienze su politiche di sicurezza pubblica, sistema penitenziario e legislazione penale. La visita è avvenuta un giorno prima del voto sul disegno di legge anti-fazione alla Camera dei Deputati, un progetto che mira a rafforzare le misure contro la criminalità organizzata in Brasile.
Bukele è noto per la sua politica di incarcerazione di massa e per la costruzione di un mega complesso penitenziario inaugurato nel 2023. Dal 2022, El Salvador vive sotto un regime di eccezione, che ha portato all’arresto di circa 88.000 persone legate alle gang. Nonostante le critiche delle organizzazioni per i diritti umani riguardo ad arresti arbitrari, torture e morti di persone incarcerate, Bukele mantiene una grande popolarità interna.
La visita brasiliana non riflette semplicemente l’ammirazione del clan Bolsonaro per Bukele, ma sembra rivelare che la strategia politica fondamentale della destra latino-americana si riversi sulla questione della sicurezza, resa possibile da politiche pubbliche autoritarie, arbitrarie ed estremamente violente. Una guerra civile tra i cosiddetti cittadini perbene e i banditi. Guerra alla criminalità che, secondo “i salvatori della patria”, si risolverebbe con la creazione di lager e gulag. Questa sembra essere la sfida più recente per coloro che ancora credono nella giustizia, nell’uguaglianza e nella fraternità.
El Salvador non è solo Bukele
Tuttavia, per quanto possa sembrare incredibile, per me El Salvador non è confinato all’oscuro lascito dell’amministrazione di Bukele, ma continua a evocare il sangue versato da testimoni memorabili che mi accolgono, consolano e rafforzano: il beato Rutílio Grande sj, Manoel Solorzano, Nelson Rutílio Lemos, martirizzati nel 1977; sant’Oscar Romero, assassinato nel 1980; le sorelle Maura Clarke, Ita Ford, Dorothy Kazel e la laica Jean Donovan, martirizzate nel dicembre 1980, Ignacio Ellacuría, Ignacio Martin-Baró, Segundo Montes, Joan Ramón Moreno, Joaquin López y López, Amando López, gesuiti, e la cuoca Elba Ramos e sua figlia Celina Ramos, martiri dell’UCA, 1989.
El Paisnal, dove Rutilio Grande fu ucciso, l’Ospedale della Divina Providenza, dove Romero fu assassinato, e l’UCA, luogo del massacro dei gesuiti, continuano a parlare più forte dei deliri politici di Bukele e di coloro che amministrano il sistema della morte, anche se insistono nel riaffermare che la politica adottata è necessaria per “salvare” la nazione. I “salvatori” non istituzionalizzano mai la violenza per legittimare una presunta “salvezza” della patria!
Nei santuari umili e luminosi dei martiri, si annuncia la memoria sovversiva di Gesù di Nazareth, che affronta il tempio, il palazzo e le caserme in tutte le stagioni della storia, dalla liberazione dalla schiavitù in Egitto fino ai giorni nostri.
A San Salvador, come in ogni angolo della Grande Patria, i testimoni del Regno ci ripetono insistentemente che la Croce del Risorto è la chiave per rivelare i segreti della storia dell’umanità e illuminare «la vittoriosa sconfitta dei profeti e dei combattenti al servizio di una causa invincibile».[4]
[1] Souza Jessé, O pobre de direita: a vingança dos bastardos, Civilização Brasileira, São Paulo 2024.
[2] Castilho Pereira, William César, A ideologia da vergonha e o clero do Brasil, Vozes, Petrópolis 2025.
[3] Em airtonjo.com/blog1/2008/12/comblin–fala–das–acusacoes–de–clodovis.html
[4] Citazione di Dom Pedro Casaldáliga.





