Web: ambiente, protesi, prigione

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Siamo tutti immersi nel “mare comunicativo”, sia a livello della vita quotidiana sia nelle dinamiche della Rete, con i social network communities. Di per sé la Rete sarebbe solo un’infrastruttura tecnologica, tuttavia ha creato un “ambiente”: è il mondo nel quale viviamo e abitiamo; e questo sta cambiando il rapporto con noi stessi, in quanto lo “strumento” diventa estensione di noi stessi, della nostra memoria, della nostra conoscenza, delle nostre relazioni.

Negli ultimi anni i Messaggi per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali sono rivolti a tutti, non solo ai giornalisti o ai comunicatori. Papa Francesco ha accentuato ancor di più questa  apertura, andando oltre alle figure professionali codificate e a quelle nuove, con il passaggio dai contesti analogici a quelli digitali.

Certo, i Messaggi continuano a essere rivolti in particolare al vasto mondo della comunicazione, ma sono indirizzati a tutti, perché siamo tutti immersi nel “mare comunicativo”, sia a livello della vita quotidiana sia nelle dinamiche della Rete, con i social network communities.

È dunque interessante soffermarsi su questi Messaggi che abbracciano un orizzonte ben più ampio della professione giornalistica o degli addetti ai lavori, perché ci aiutano a collocarci dentro la Rete che ci offre comunicazioni veloci e frammentate. Di per sé la Rete sarebbe solo un’infrastruttura tecnologica, tuttavia ha creato un “ambiente”: è il mondo nel quale viviamo e abitiamo. La tecnologia, infatti, ha cambiato e sta cambiando non solo la comunicazione, ma anche il nostro rapporto con il mondo e le stesse relazioni fra persone umane. In fondo, sta pure cambiando il rapporto con noi stessi, in quanto lo “strumento” diventa estensione di noi stessi, della nostra memoria, della nostra conoscenza, delle nostre relazioni.

La vita si fa storia

Questo orizzonte nuovo, vasto e complesso, è da tenere presente come sfondo del tema scelto per la 54ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, pubblicato il 24 gennaio 2020, in occasione della festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Si tratta della frase del Libro dell’Esodo: «Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria» (Es 10,2). La vita si fa storia». Un tema stimolante e impegnativo, in cui il richiamo all’antica narrazione biblica si confronta – e si scontra – con le odierne narrazioni.

L’intento del Messaggio è espresso chiaramente da papa Francesco: «Desidero dedicare il Messaggio di quest’anno al tema della narrazione, perché credo che per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme».

Tessuti narrativi

È possibile venire incontro a questo bisogno «di respirare la verità delle storie buone»? La risposta non è affatto semplice, viste le condizioni della comunicazione odierna. Ma per Francesco la risposta è chiara: «l’uomo è un essere narrante», afferma Francesco in modo icastico. Qui sta la risorsa per raccontare anche oggi storie che edificano: «L’uomo non è solo l’unico essere che ha bisogno di abiti per coprire la propria vulnerabilità (cf. Gen 3,21), ma è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di “rivestirsi” di storie per custodire la propria vita». Ma qui sta pure il grande rischio, in quanto «nella storia serpeggia il male»: «L’uomo è un essere narrante perché è un essere in divenire, che si scopre e si arricchisce nelle trame dei suoi giorni. Ma, fin dagli inizi, il nostro racconto è minacciato: nella storia serpeggia il male».

La Rete, noi, la fede

Occorre conoscere i rischi di oggi, senza però dimenticare la difficoltà di sempre: fin dagli inizi è minacciato il racconto umano. Per questo oggi, come ieri, impegnarsi per affermare la narrazione umana significa far valere la «capacità umana di tessere non solo tessuti, ma testi». Infatti «le storie di ogni tempo hanno un “telaio” comune»: la struttura prevede degli «eroi, anche quotidiani, che per inseguire un sogno affrontano situazioni difficili, combattono il male sospinti da una forza che li rende coraggiosi, quella dell’amore. Con il coraggio degli “eroi quotidiani” si combatte il male con la forza dell’amore». Bisogna «immergerci  nelle storie», per «ritrovare motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita».

Rete e ragnatela

Nel Messaggio si intravvedono le difficoltà insite nella comunicazione odierna, ma l’appello va oltre le difficoltà. Non sono nascoste, ma accolte come una sfida, in parte nuova e in parte molto antica. Il Messaggio contiene infatti il forte richiamo a collocare la novità della situazione odierna nella prospettiva della storia e nella luce delle possibilità che sono nelle mani dell’uomo di ogni tempo. La narrazione, la memoria, le storie ci fanno ritrovare le radici che ci aiutano a far fronte alle sfide per andare avanti e camminare insieme.

La sfida è grande e le difficoltà sono notevoli. Anche solo alcuni aspetti della comunicazione odierna possono illuminare la portata della sfida. Internet  non è solo un mero strumento o canale comunicativo utile per integrare la comunicazione tradizionale, ma è la rappresentazione di un cambiamento culturale, sociale e antropologico.

L’attuale realtà comunicativa della Rete, in cui si intrecciamo notizie, informazioni, relazioni, è parte integrante del nostro vissuto, con un impatto diretto su ciascuno di noi e sul nostro tessuto civile e umano. Ogni informazione genera un contatto che, a sua volta, diventa informazione. Lo sviluppo enorme della comunicazione cosiddetta virtuale, on-line, astratta, immateriale ci immerge nella grande Rete mondiale, nell’«oltremondo virtuale»: il nome con cui si suole nominare lo spazio virtuale cui si accede tramite Internet, il World Wide Web, lascia immaginare l’immensa ragnatela a cui ci si connette.

Il volto oscuro del Web

Inoltre, gli strumenti di comunicazione virtuale sono gestiti da organismi centralizzati che rispondono a logiche di profitto, di potere, di indirizzo culturale e politico. Si tratta di una questione importante, ove, tra l’altro, l’Europa è in grande difficoltà. L’Unione Europa, seconda economia mondiale e una delle maggiori potenze commerciali, ha poche aziende in questo settore così cruciale. Diversi anni fa le aziende europee occupavano i vertici del mercato, ma sono finite nelle mani di aziende non europee, che registrano enormi fatturati.

Le due aziende più importanti nel settore del software e del Web sono i colossi Apple e Samsung, ma a completare il podio in terza posizione troviamo il colosso cinese Huawei. Secondo alcuni ricercatori, otto delle dodici più grandi imprese operanti nel settore sono cinesi.

È lecita e anche doverosa la domanda riguardante chi alla fine controlla l’enormità di informazioni, di dati su noi stessi che le varie forme comunicative generano, senza la nostra personale consapevolezza, senza che ce ne rendiamo conto. Come è avvenuto per la globalizzazione, che inizialmente ha presentato il suo lato positivo, mentre oggi ci manifesta il suo lato problematico e rischioso, così sta capitando per la Rete: dall’inizio dell’attuale secolo vi è stato un rovesciamento, con il passaggio da uno “strumento di liberazione” teorizzata nei lavori di diversi studiosi (N. Negroponte e D. de Kerckhove) ad una rischiosa “struttura di sorveglianza”.

Dati e affari

La questione della concentrazione di questo potere tecnologico nelle mani di pochi non è solo economica ma anche geopolitica e, ancor più, culturale. Spesso in Europa ci si limita a denunciare i rischi per la privacy, su cui si spreca troppa carta. Ben più serio è il rischio di una comunicazione centralistica, concentrata in poche mani ed eterodiretta. I dati sono globali e viaggiano più o meno liberamente, in gran parte prescindendo dalle regole di uno Stato.

La rete, noi, la fede

La questione delicata è quella di verificare come vengono usati i nostri dati che risiedono nel cloud e sono in vendita. Basti pensare, da un lato, ai filtri che vengono usati per la diffusione delle notizie e, d’altro lato, allo sfruttamento di ogni nostra informazione. Senza pensare, a livelli più elevati, alla possibilità di organizzare le politiche economiche globali che  decidono il destino di interi paesi.

Comunicare con l’identico

Un ulteriore motivo di preoccupazione riguarda le “interazioni” virtuali. Giustamente si fa notare che esse non sono complete, non costituiscono un dialogo, non favoriscono un’organizzazione reciproca dei rapporti fra le persone. Si rischia di alterare l’ambiente sociale, mettendo a rischio la socialità umana e soprattutto diminuendo o facendo svanire la possibilità di vivere nel mondo in maniera condivisa. C’è infatti da tenere presente che il mondo virtuale offre una comunicazione spesso divisa in canali paralleli, che non si incontrano. Ciascun utente comunica solo con chi vuole e non con altri. Una comunicazione fortemente selettiva che proviene da un mondo frammentato conduce a un mondo ancora più diviso sotto il profilo delle percezioni e dei punti di vista. Se la realtà in cui viviamo è costituita da tanti aspetti complessi, spesso divergenti o addirittura antitetici, l’attuale modalità di comunicazione esaspera ancor di più tali differenze, amplificandole e allontanando le persone le une dalle altre, isolandole.

Il cosiddetto digital divided crea divisioni e disuguaglianze. Non solo nel senso di escludere le categorie di persone che per motivi economici o culturali non possono accedere ai nuovi dispositivi, ma anche creando rappresentazioni sempre più semplificate e divisive, astratte e selettive.

Infine, è da tener presente il fatto che le odierne modalità comunicative favoriscono una percezione emotiva della realtà. Così, nel caleidoscopio comunicativo, l’insieme della vita comune si perde, la realtà tende a sfuggire e diventa poco comprensibile. Non solo: non si è più in grado di far valere la nostra capacità di intervenire sulla realtà per modificarla.

Telai della comunicazione

Il Messaggio di papa Francesco, senza addentrarsi nella problematica delle nuove forme di comunicazione, ricorda che «spesso sui telai della comunicazione, anziché racconti costruttivi, che sono un collante dei legami sociali e del tessuto culturale, si producono storie distruttive e provocatorie, che logorano e spezzano i fili fragili della convivenza». A fronte di questi «telai della comunicazione» che lacerano i fili della convivenza presentando storie distruttive, Francesco richiama l’importanza fondamentale della memoria e delle buone narrazioni, invitando a favorire una «narrazione umana»: «nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri».

 Per far comprendere l’importanza della narrazione umana con le caratteristiche evidenziate – «ci parli di noi e del bello», guardi con tenerezza il mondo, ci coinvolga nel tessuto comunitario –, Francesco fa riferimento al libro dell’Esodo, da cui deriva il tema scelto, e, più in generale, alla narrazione biblica. La Scrittura «è una Storia di storie: quante vicende, popoli, persone ci presenta! Essa ci mostra fin dall’inizio un Dio che è creatore e, nello stesso tempo, narratore. Egli infatti pronuncia la sua Parola e le cose esistono (cf. Gen 1)».

Ricorda Israele!

È fondamentale per la Bibbia il riferimento al libro dell’Esodo con la narrazione dell’oppressione degli ebrei e della loro liberazione dalla schiavitù del faraone, con la figura di Mosè, l’istituzione della Pasqua, l’alleanza tra Dio e il popolo al monte Sinai, la trasmissione del Decalogo, i dieci comandamenti. Questo insieme narrativo è il cuore, il fulcro, il centro  dell’esperienza religiosa ebraica. Come pure di quella cristiana. San Paolo sottolinea il parallelismo tra l’esperienza della liberazione con il passaggio del mar Rosso e il battesimo in Gesù Cristo, come pure tra l’episodio della manna e l’eucaristia (1Cor 1-4).

«Ricorda, Israele»: è l’invito appassionato di Dio. Un “ricordo” che va al di là del suo significato più comune, come un’attività che impegna la mente. Ricordare, nella tradizione biblica, coinvolge tutta l’esistenza della persona, mette in gioco il nostro essere in relazione con Dio e con gli altri, attiva il nostro riconoscerci responsabili verso Dio e verso ogni creatura.

Ciò che emerge dalla narrazione biblica, vale anche per ogni altra narrazione. Facendo memoria di una persona e ricordando un evento, siamo coinvolti nella relazione e nella storia: l’evento non appartiene più solo al passato, ma è reso presente, diventa vivo e operante nell’oggi. Attorno al fare memoria ruota la vita di una persona, di un gruppo, di un popolo che prende coscienza di sé, riconosce ciò che ha ricevuto in dono e si impegna ad essere all’altezza del dono ricevuto.

Partendo dalla frase del libro dell’Esodo, papa Francesco sottolinea come sia particolarmente prezioso il patrimonio della memoria. Non c’è futuro senza radicamento nella storia vissuta, ribadisce spesso Francesco. La memoria non è un qualcosa di statico, una sorta di magazzino, ma piuttosto una «realtà dinamica». Attraverso la memoria che si fa parola e racconto, avviene la consegna di storie, di speranze, di sogni e di esperienze da una generazione ad un’altra. «Una memoria viva favorisce il dialogo tra le generazioni, bisognose di incontrarsi, perché così «la vita si fa storia».

Tutta la nostra vita, affermava P. Ricoeur, è «tessuto di storie narrate». In ognuno di noi è presente la necessità, il gusto di narrare e di narrarsi, perché così esprimiamo il nostro senso del mondo e lo misuriamo con quello degli altri. La narrazione non è un semplice resoconto, ma è ciò che dà forma alla nostra stessa esperienza, poiché offre senso e direzione di marcia al nostro cammino, mettendo ordine tra fatti, sentimenti, valori, credenze ed interazioni.

La narrazione è costitutiva dell’identità personale e sociale: narrando rappresentiamo e diciamo la realtà in modo intelligibile e comprensivo. Così il mondo diventa “nostro”, diventa un mondo abitabile da noi.

La Scrittura tracimata

Il richiamo alla sacra Scrittura è centrale nel Messaggio. Questo richiamo vale solo per i credenti? Ovviamente no: la Scrittura è l’imprescindibile punto di riferimento della nostra cultura, la fonte di tutti coloro che hanno cercato e cercano il bello, il vero, il bene. La luce della narrazione biblica in ordine alla scoperta e alla cura della dimensione religiosa, spirituale e culturale dell’esistenza umana vale per tutti coloro che sono alla ricerca libera e responsabile del senso della vita.

Anche se il riferimento alla Scrittura fosse solo culturale, tuttavia è assai importante: «una buona storia, ricorda papa Francesco, è in grado di travalicare i confini dello spazio e del tempo. A distanza di secoli rimane attuale, perché nutre la vita», riporta «alla luce la verità di quel che siamo».

La rete, noi, la fede

Inoltre Francesco, come sappiamo, non indugia sulle contrapposizioni, pur se attento alle distinzioni. Più volte il papa ha espresso il bisogno – squisitamente dialogico – di intendersi bene sui termini che si usano e comunque di uscire dalle strettoie di una contrapposizione assoluta e vedere di reimpostare più in profondità le questioni che affrontiamo con schematismi antiquati. Oggi siamo in ogni caso in una stagione in cui è necessario fare qualche buon tratto di strada insieme, allargando la schiera degli interlocutori.

Discernere i racconti

Nel dialogo con tutti, il credente deve svolgere la sua missione: raccontare la propria esperienza e conoscenza è un prezioso contributo in vista di una vita più umana per tutti. Il riferimento alla «grande narrazione» dell’Esodo può risultare particolarmente significativo per l’uomo post-moderno che, come Lyotard annotava, è diventato scettico rispetto alle «grandi narrazioni» della modernità (illuminismo, marxismo, progresso scientifico). Perché il venir meno di queste “grandi narrazioni” ha lasciano il posto alle “piccole narrazioni”, con storie sempre parziali, limitate e frammentate, incapaci di rivelare un senso complessivo del vivere e dell’esistere. Si avverte la necessità di cercare e di raggiungere qualcosa di più grande, qualcosa di universale che indichi la strada per il bene dell’intera umanità.

«Abbiamo bisogno», dice più volte Francesco: è un’esigenza che emerge rispetto al diffuso scetticismo, alla preoccupante indifferenza. E in particolare emerge rispetto alle distorsioni comunicative e alle falsificazioni sofisticate (fake news, deep fake): «abbiamo bisogno di sapienza per accogliere e creare racconti belli, veri e buoni. Abbiamo bisogno di coraggio per respingere quelli falsi e malvagi. Abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni dell’oggi; storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo, anche nell’eroicità ignorata del quotidiano».

Si fece carne

Sono toccanti le parole che il Messaggio dedica alla sacra Scrittura, «Storia di storie». Essa «ci mostra fin dall’inizio un Dio che è creatore e nello stesso tempo narratore», un Dio che «chiama alla vita le cose e, al culmine, crea l’uomo e la donna come suoi liberi interlocutori, generatori di storia insieme a Lui». Richiamando le parole di un Salmo in cui la creatura racconta al Creatore: «Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel seno di mia madre», Francesco conclude: «Non siamo nati compiuti, ma abbiamo bisogno di essere costantemente “tessuti e ricamati”. La vita ci è stata donata come invito a continuare a tessere quella “meraviglia stupenda” che siamo».

«La grande storia d’amore tra Dio e l’umanità ha al centro Gesù», la cui storia «porta a compimento l’amore di Dio per l’uomo e al tempo stesso la storia d’amore dell’uomo per Dio». Egli è, secondo il Vangelo di Giovanni, «il Narratore per eccellenza che si è fatto narrazione»: così «Dio si è personalmente intessuto nella nostra umanità, dandoci così un nuovo modo di tessere le nostre storie». In questa luce, Francesco invita a non dimenticare che «ogni storia umana ha una dignità insopprimibile. Perciò l’umanità merita racconti che siano alla sua altezza, a quell’altezza vertiginosa e affascinante alla quale Gesù l’ha elevata».

Memoria dei nostri amori

La luce dell’Incarnazione illumina e trasforma le nostre parole umane: «Dio si è personalmente intessuto nella nostra umanità, dandoci così un nuovo modo di tessere le nostre storie». Specialmente oggi, con l’imperversare di notizie buttate in Rete e di commenti anonimi, abbiamo bisogno di ricuperare il senso della narrazione come dimensione vitale per ciascuno di noi e per la nostra vita sociale. Anche la semplice narrazione delle vicende quotidiane può diventare un segno di vita e di speranza alla luce di quella Parola che ci fa crescere in umanità, aprendo il nostro cuore al bisogno di speranza e di futuro.

Il Messaggio indica la strada da percorrere per ricuperare la bellezza e il fascino di una narrazione umana: aprirci «alla visione stessa del Narratore per eccellenza». Se infatti «facciamo memoria dell’amore che ci ha creati e salvati» e «immettiamo amore nelle nostre storie quotidiane, allora cambiano «le trame dei nostri giorni». Possiamo così «voltare pagina» e riconoscere «in mezzo al male anche il dinamismo del bene». Possiamo così raccontare il bene e dargli il suo spazio, come possiamo e dobbiamo raccontare il male, sapendo che «anche quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione».

Sembra che il Messaggio faccia risuonare la testimonianza che troviamo nella prima lettera di Giovanni: «Ciò che abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (…), noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1Gv 1,1-4).

Consumare news – raccontare la vita

Il racconto della vita è affidato alla nostra responsabilità. Se narriamo storie che fanno crescere e aiutano a guardare avanti, allora le storie diventano vita e la vita si fa storia. Il papa chiede a tutti, nessuno escluso, di far fruttare il nostro innato talento: siamo esseri narranti. Non possiamo essere solo consumatori di notizie: l’informazione dura quell’attimo in cui si presenta come novità. La narrazione dura nel tempo e rende umano il tempo, crea vita perché costruisce relazioni, unisce, collega, favorisce la condivisione dell’esperienza tra uomini e donne in un tempo segnato da contrasti e divisioni.

Ricordando, come l’esperienza ci attesta, che incombe sempre il rischio della falsificazione, tanto più in un’epoca in cui le possibilità di falsificazione sono molte, favorite tra l’altro dal fatto che la falsità si alimenta per la circostanza che oggi, più dei fatti, contano le percezioni delle persone. Su questa emotività fa leva la comunicazione di narrazioni artefatte, di racconti creati ad arte, di notizie lesive della reputazione di una persona o di un popolo, con falsità verosimili spacciate per verità.

La rete, noi e la fede

Vangelo e glosse

Nel Messaggio traspare la fiducia di papa Francesco: è possibile «ritornare a una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri».

Questa fiducia è fondata sull’opera dello Spirito Santo che agisce nella storia degli uomini. Grazie allo Spirito, «ogni storia, anche quella più dimenticata, anche quella che sembra scritta sulle righe più storte, può diventare ispirata, può rinascere come capolavoro, diventando un’appendice di Vangelo». Francesco cita alcune opere classiche come le Confessioni di Agostino, il Racconto del Pellegrino di Ignazio, la Storia di un’anima di Teresina di Gesù Bambino, I Promessi Sposi, I fratelli Karamazov. Senza dimenticare le «innumerevoli altre storie, che hanno mirabilmente sceneggiato l’incontro tra la libertà di Dio e quella dell’uomo».

La fiducia del papa è basata anche sulle possibilità insite in quell’essere narrante che è l’uomo di riflettere e di affrontare la sfida con intelligenza e anche con il coraggio di andare controcorrente:  «La vita ci è stata donata come invito a continuare a tessere quella “meraviglia stupenda” che siamo». Anche oggi possiamo continuare quest’opera, ma è necessario vincere il contagioso virus dell’illusione spontaneista secondo la quale tutto ciò diciamo e facciamo, per il fatto stesso di essere detto e fatto, è di per sé buono. L’illusione è sempre falsità, anche se spacciata come vera. È l’inganno che fa parte di quell’individualismo esasperato e di quell’indifferenza che annullano il nostro autocontrollo e il nostro senso di responsabilità, da esercitare prima di tutto verso se stessi e poi verso gli altri. Senza la responsabilità di ciascuno e di tutti verso quella meraviglia che è l’uomo, si resta eterni adolescenti incapaci di riconoscere il senso del limite.

Social: essere non «esserci»

Come cittadini di una società civile e come operatori nell’ambito comunicativo ci possiamo chiedere come avviene oggi la narrazione del nostro Paese e della nostra città: cosa e come narriamo  noi stessi, la nostra vita quotidiana, la nostra realtà sociale. Se la comunicazione si riduce a un prodotto da vendere, è logico che sia considerata un “prodotto” da confezionare su misura. Se prevale la smania di “esserci” sui social, siamo pronti a far notare la nostra presenza in modo spasmodico in vista dell’approvazione, intervenendo in ogni modo se serve ad alimentare un dibattito in cui essere protagonisti.

Il Messaggio di papa Francesco ci stimola a verificare insieme le possibilità per mettere in atto processi di riflessione e di impegno per superare le insidie e le contraddizioni che impediscono una narrazione umana, perché grande è il rischio di diventare navigatori senza volto, senza tempo e senza spazio, incapaci di «capire e di dire chi siamo». Appare fondamentale riscoprire l’importanza del «bene comune» della narrazione e di valorizzare la possibilità di meglio rappresentarci e narrarci guardando avanti, verso il futuro, per non restare prigionieri di schemi scontati e di un immaginario collettivo pigro e rassegnato al peggio.

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