Il sangue di Gennaro

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Non è mai facile parlare di sangue, tanto meno da un pulpito, fra le navate di una chiesa. Il terreno è sdrucciolevole, esposto alle derive dell’agiografia e dello splatter, e le semplificazioni retoriche che brandiscono il vessillo dell’eroicità esemplare sono sempre in agguato con il loro carico di stereotipate banalità.

Parlare di sangue senza prendere la via della sublimazione spiritualizzante, senza cadere nella disumanizzazione oscena – è questo il miracolo riuscito al cardinale Mimmo Battaglia, lo scorso 19 settembre, giorno di san Gennaro. Dal pulpito della cattedrale di Napoli, nella città in cui il sangue nell’ampolla è devozione che si respira ovunque, radice, identità, il cardinale ha percorso con lucida fermezza il crinale che permette di parlare del sangue senza distogliere lo sguardo dalla sua vertiginosa, profonda umanità.

Mimmo Battaglia - Il sangue di san Gennaro

Oggi la parola sangue ci brucia addosso: tutti ne capiamo il significato, ne avvertiamo la responsabilità; tutti siamo chiamati a renderne conto. Il sangue di Gennaro non appartiene ad un passato remoto, ma si mescola idealmente al sangue versato in Palestina, come in Ucraina e in ogni terra ferita dove la violenza si crede onnipotente e invece è solo rumore. 

La storia si fa presente e proprio in questo suo farsi presente ci consegna il senso di una sacralità che nessuna frontiera ideologica può minimizzare: se il sangue è sacro, ogni goccia innocente è un sacramento rovesciato e tutta la terra è un unico altare.

L’ampolla del sangue miracoloso di Gennaro si fa ampolla in cui custodire ed esporre il sangue di ogni vittima — bambini, donne, uomini di ogni popolo —, così che nessun rito ci assolva dalla responsabilità e la preghiera senta il peso di ogni ferita e non scivoli via.

Sostenuta da un silenzio vibrante di partecipazione, la voce grave del cardinale incede scandendo parole coraggiose, le parole di cui avevamo bisogno:

Oggi, con pudore e con fuoco, dico: è il sangue di ogni bambino di Gaza che metterei esposto in questa cattedrale, accanto all’ampolla del santo.

Ma dove c’è una vittima che soffre e che muore, c’è una mano che usa la violenza, che colpisce e che compie il male. E don Mimmo ha parola chiare, dirette, senza garbo diplomatico, anche per Israele:

Ascolta, Israele: non ti parlo da avversario, ma da fratello nell’umano. Ti chiamo col nome con cui la Scrittura convoca il cuore all’essenziale: Ascolta. Cessa di versare sangue palestinese.

Cessino gli assedi che tolgono pane e acqua; cessino i colpi che sbriciolano case e infanzie; cessino le rappresaglie che scambiano la sicurezza con lo schiacciamento, cessi l’invasione che soffoca ogni speranza di pace. La sicurezza che calpesta un popolo non è sicurezza: è un incendio che, prima o poi, brucia la mano che credeva di domarlo.

So il peso del tuo lutto, le ferite che porti nella carne e nella coscienza. 

Ma oggi — davanti al sangue del martire — ti chiamo per nome: tu, Israele, fermati. Apri i valichi, lascia passare cure e pane, sospendi il fuoco che non distingue e moltiplica gli orfani. Non ti chiedo debolezza: ti chiedo grandezza. La grandezza di chi arresta la propria forza quando la forza profana la giustizia; di chi riconosce che l’unica vittoria che salva è quella sulla vendetta.

Il sangue di Gennaro, che accoglie in sé il sangue di tutte le vittime e di tutti i martiri che l’Amore non ha lasciato soli, non può, non deve lasciarci indifferenti, perché, come il sangue gridato dalle macerie, è un’anafora di Dio che ripete: Che ne hai fatto di tuo fratello?

Che ne hai fatto di tuo fratello? Da questo richiamo divino muove l’appello alla coscienza, dei singoli e della città, giacché, come diceva La Pira, occorre partire dalle città per unire le nazioni. È un appello alla speranza fondata su pratiche di pace che, prima di tutto, ripuliscano il linguaggio dalle scorie di una comunicazione equivoca e violenta, perché la menzogna comincia dalle parole, soprattutto da quelle ambigue, anestetizzate: i droni sono fucilazioni telecomandate; i “danni collaterali” sono bambini senza volto.

È un appello all’unica geopolitica evangelica degna del Nome che invochiamo, la geopolitica che sa che una spesa militare che supera scuola e sanità non è sicurezza ma suicidio collettivo.

È un appello alla franchezza dei santi, la santa indignazione che nasce dalla consapevolezza che il male non è un’idea, è una filiera con tanto di uffici, contabili, bonus, piani industriali, la parresia che non accetta di accomodarsi nella pavidità del silenzio indifferente, ma alza con sdegno la voce per denunciare la barbarie della guerra:

La guerra non “scoppia”: si produce, si finanzia, si premia. Ogni bilancio militare che si gonfia come una vela è vento cattivo contro la carne dei poveri. Ogni “espansione della spesa per la difesa” che supera scuola e sanità non ci rende sicuri: ci rende più soli e più poveri.

Solo questa disposizione di spirito ci può permettere di tornare a guardare il sangue di Gennaro non come curiosità, ma come specchio, prestando l’orecchio alle parole che proprio da quel sangue salgono fino a noi:

Ogni goccia dice: non tradire. Non tradire il Vangelo con un culto senza conversione. Non tradire il povero con un’elemosina senza scelte. Non tradire la pace con parole senza progetto. Non tradire i bambini con scuole senza maestri e città senza cortili.

Solo allora lo sciogliersi del sangue del martire può farsi figura dei cuori che si sciolgono e promessa dell’unico miracolo in cui dobbiamo sperare: quello dei cuori che, liberati dalle paure travestite da prudenza e dalla patina di cinismo che si attacca alla fede, percorrendo le strade di un coraggio senza teatro, compiono scelte che non fanno notizia ma cambiano la vita.


Il testo integrale dell’omelia può essere letto e ascoltato.

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Un commento

  1. Ospite 26 settembre 2025

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