La gioia prima della gioia

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La gioia prima della gioia, così Filone di Alessandria definiva nel suo libro Sui premi e sulle pene la speranza, tema trattato nel Convegno di fine agosto, a Badia di Passignano. Alla parola, affidata a Vito Mancuso[1], si è alternata l’esperienza del silenzio e della meditazione, guidata da Gabriele Goria[2] che ha introdotto i partecipanti all’antica ginnastica posturale cinese del Pa Tuan Chin, alle pratiche meditative della tradizione buddista Anapana (concentrazione sul respiro), Vipassana (osservazione equanime), Metta- Bhavana (gentilezza amorevole), per esercitare la visione introspettiva e la capacità di relazionarsi con sé stessi e il mondo.

A dare forma agli interventi è l’indagine del rapporto fra Letteratura e Spiritualità: “non solo nei Vangeli” aleggia lo “Spirito” – dice Armando Bonaiuto[3], curatore dell’evento – perché una medesima profondità accomuna le parole di Gesù “Il Padre fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”[4] e il connubio in Letteratura fra “bellezza e ombra”, “grazia e male”, dalla cui reciprocità fiorisce il senso della vita.

Sul ciglio del vuoto

Per E. Dickinson la speranza “è un essere piumato che, “posa[ndosi]sull’anima[5]”, volteggia nella dura “tempesta”; una gioia anticipata, fragile, imperfetta perché attesa del bene, che è gioia piena.

La speranza “canta melodie… e non smette mai” − continua Dickinson −; è quel “brivido” che, commuovendo l’uomo “nel profondo”, lo mette in contatto con “l’immensità”, salvandolo dall’indifferenza[6]. È un “sentimento” che “il mondo [fa pagare] a caro prezzo”, ma “per chi intraprende cose belle− aggiunge Socrate − è bello anche soffrire, qualsiasi cosa gli tocchi[7]

In queste parole – precisa Mancuso- sta l’essenza dell’Occidente per il quale − a differenza dell’Oriente, caratterizzato dal distacco e dall’indifferenza che toglie l’uomo dal caos e lo fa convergere in sé stesso − la pienezza dell’essere è “nella passione, nel fremito, quando risuona la melodia dell’attimo”.

La condizione umana è tempestosa, ma in essa si staglia un “uccello piumato”, “un angelo” che ci apre alla fede in Dio e nell’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza.

La speranza è frutto di una ricerca profonda, del coraggio della verità, della fede nella potenza dello Spirito – dice Hegel; è quel “vento” – “ruah ” in ebraico e “Ātman” (atmosfera) in sanscrito- che soffia dentro di noi e che ci rende liberi, confermandoci come lo Spirito sia trasversale a tutte le culture e religioni.

L’“azzardo” del monaco vietnamita Tich Nath Han che, davanti allo stupore dei presenti, condivide con un amico indiano di fede cristiana l’Eucarestia, ne è la dimostrazione. “La vita religiosa è la vita” – afferma – per questo non la si deve “trascorrere…gustando un solo tipo di frutta” potendo gli esseri umani “nutrirsi dei migliori valori di diverse tradizioni[8]”, perché “Dio è al di là del Cattolicesimo”[9] dice anche il card. Martini.

Non “macedonia” dunque, o “confusione” ma fusione di elementi, con-fusione, che è poi ciò che contraddistingue, arricchendole, tutte le religioni.

Pertanto, siamo sul ciglio dell’abisso non per il sincretismo, che può far paura a molti, ma perché – come diceva S. Weil – “mai le anime sono in pericolo come nei nostri giorni”. E oggi il pericolo non è solo la guerra ma il nichilismo, “pirateria” che depreda soprattutto i giovani.

Per questo è necessaria la ricerca spirituale, per sottrarci al pericolo dell’”ebete normalità della nostra vita quotidiana”[10], che suscita imprecazione proprio per l’atteggiamento privo di emozioni e di empatia con cui nei “nostri salotti” assorbiamo le immagini di orrore che provengono dai teatri di guerra.

Occorre riempire il vuoto, trasformare la vita in pienezza e demolire il nostro ebetismo -continua Mancuso – perché siamo fatti per “la relazione armoniosa”. Questa è la speranza.

Per il fisico, premio Nobel, Heisenberg riempire il vuoto significa trovare nella babele di tanti ordini diversi un “ordine centrale”, che in lui si è, all’improvviso, rivelato all’ascolto degli accordi in re minore della Ciaccona di Bach. “La musica, la filosofia e la religione, oggi come ai tempi di Platone e di Bach” – dice- “hanno mostrato questo ordine” che, poiché esistente “al di là di ogni dubbio” e “raggiungibile con la stessa immediatezza con cui si può raggiungere l’anima di un altro essere umano”[11] si potrebbe chiamare Dio.

Spes ultima dea

Secondo l’antica teoria filosofica dell’antropologia tripartita, l’uomo è composto di corpo (soma), anima ( psyche) e spirito (pneuma o nous), a sua volta distinto in patetikós, sofferente e non reattivo e poietikós, attivo e creativo.

Con quali di queste parti l’uomo può pensare Dio? − si chiede Mancuso. Dio è Atto primo, spirito creativo e in Gv “quando anche noi facciamo appello alla mente partecipiamo della divinità”. Per Paolo, nella Prima Lettera ai Tessalonicesi, “Spirito, anima e corpo si conserva per Dio”.

Che cosa significa allora “Essere sul ciglio del vuoto”? Può significare:

  • entrare in contatto con sé stessi e con la propria anima che cerca un senso, una direzione nel bailamme dei messaggi contraddittori derivanti dalla realtà;
  • porsi nella condizione della ricerca spirituale, come fecero gli Ebrei, assetati, nel deserto;
  • negare condizioni imposte da altri affinché la ricerca sia autentica.

Per questo è necessario uscire dalla “gregarietà”, “farsi egregi”, per diventare desiderosi della verità che – come dice Feuerbach – ci può indurre a negare Dio, la giustizia, il bene, il bello se con questo atto liberatorio possiamo “riappropriarci delle qualità umane proiettate su un’entità trascendente”. Fra queste, la speranza perché, – come dice Adorno- “come si sottrae alla realtà, negandola, è la sola figura in cui si manifesta la verità.[12]

Altra rispetto alla mondana “esattezza”, la verità, proprio in quanto ver – primavera secondo la radice latina , trasforma la vita e la fa fiorire così da illuderci − come Isaia − che “le spade diventeranno aratri” e pensare che la vita vera, “il Regno di Dio” si possa realizzare.

Non credere nella verità del mondo significa cercare Dio, fare esperienza che esiste qualcosa di più prezioso di sé stessi: un tesoro che, convertendoci, ci proietta nel servizio, rendendo il nostro “ego più funzionale rispetto alla volontà di potenza”.

Coltivare la speranza richiede energie positive, che la vita ci toglie. Credere che l’anima sia irriducibile e che da qui derivi il nostro essere divini, questa è la speranza, che in quanto radicata nel pes, come suggerisce la sua etimologia secondo Isidoro di Siviglia − cammina a fianco della vita.

Il cuore dentro il cuore

Nel Neiye [13], una delle più antiche testimonianze cinesi sulle origini del taoismo, si legge che “dentro il cuore un altro cuore” è racchiuso. “Dentro il cuore un altro cuore è presente”. È il pensiero che precede il pensiero- la coscienza: il cuore più interno. Anche in questo caso si potrebbe parlare di sincretismo o di universalità. Quando infatti il pensiero è vero, lo è per tutti e fa “fiorire la vita vera e giusta”.

Esistono persone elette, non popoli eletti – dice Mancuso. Negli abissi di questo cuore o di questo pensiero, lì è custodito il divino si afferma nella 1a Upanishad[14] vedica perché Brahman (Dio) e Ātman (Spirito) sono identici.

“Siate un’isola per voi stessi, prendete rifugio in voi stessi e non altro” raccomanda Siddhartha morente al cugino Ānanda. Quest’isola è il Dharma l’ordine universale, la legge cosmica il logos giovanneo, il “cuore dentro” appunto, che mi permette di capire quando mento o dico il vero. Essere fatti “ad immagine di Dio” significa essere fatti per la retta coscienza per il nous che sa distinguere il bene dal male.

“La via (il tao) è in [n]oi”, dice Mencio, discepolo di Confucio. Anche Socrate si riteneva abitato da una voce divina Avverto in me un non so che di divino e di demoniaco”[15]. In modo analogo Seneca, rivolgendosi a Lucilio, e Marco Aurelio nei suoi Pensieri[16] confermano che Dio dimora nell’uomo.

Per il profeta la perfezione è “vedere la forma del suo sé che gli sta di fronte” – dice il filosofo mistico ebreo Abulafia. Grazie a questa visione egli, “dimenticando sé stesso e scomparendo” alla sua vista, parlerà con lui raccontandogli il futuro[17].

Tutti fanno esperienza del sé – commenta Mancuso. In questo senso c’è universalità, come si dimostra nei versi del Metta Sutta che – quasi come una preghiera , parlando di amore (l’amorevolezza buddista) richiamano l’agape cristiano: “l’amore verso tutti gli esseri viventi,/ Irradi benevolenza sul mondo intero:/In alto verso i cieli/E in basso negli abissi[18]”.

Solo nel monoteismo “Dio è l’eccedenza rispetto all’io” e la verità della divinità “non ha niente a che fare” con l’interiorità perché “l’umano deve essere consumato dal divino”. Questa è la differenza fra Oriente e Occidente.

I mistici fanno esperienza del divino “senza apparato” e “sacramenti”. Rumi, mistico e poeta persiano, dice di aver esaminato da un capo all’altro Croce e cristiani: “Dio non era sulla croce – afferma. All’interno del mio cuore, lì Lui era”. “Dentro di me, in quella sorgente profonda c’è Dio” così anche Etty Hillesum.

All’origine del mondo c’è il “Nous”− dice Anassagora − e la res è l’energia intelligente, concetto ribadito dalla Fisica, secondo la quale “le cose sono materia informatizzata”, a cui appunto si è dato forma.

Anche Gesù, dicendoci che “Il regno di Dio è dentro di noi” conferma che non c’è contrapposizione fra le due realtà.

Il profondo dell’uomo è la sede in cui abita Cristo, dove si può riconoscere il Creatore. Per questo Agostino nel De vera religione ci esorta a stare dentro di noi, a rientrare in noi stessi perché “la verità è nell’uomo interiore” e nel Tractatus in Evangelium Iohannis ribadisce che nell’interiorità è rinnovata l’immagine di Cristo”.

Dio è anche l’”oltre” raggiungibile “negando di amare tutto ciò che appare”− continua Agostino; “eppure”− paradossalmente − dice anche che nell’amare il suo Dio, scopre di amare “una sorta di luce e voce e odore e cibo e amplesso” che è la luce, la voce, l’odore, il cibo, l’amplesso dell’interiore che è in noi[19].

Per amare Dio occorre attraversare questo “in noi” e andare “più in là[20]”, oltre quella “scritta” che − dice Montale− è impressa su tutte le immagini della nostra vita.

Amare Dio significa capire tutto questo per nutrire quella gioia prima della gioia che ha già in sé “Venga il tuo regno”.

Unire gli orizzonti

 Si medita per stare – spiega Gabriele Goria; meditare “scarnifica le emozioni” e ci guida a guardarle in faccia. Ci sono emozioni più prepotenti e altre più defilate: ci si deve prendere cura di tutte, applicando l’”equanimità”, come fa l’insegnante con gli alunni della scuola materna.

Non si deve reagire alle sensazioni più forti, piuttosto seguire un ordine, delle regole, come nel gioco, ma sempre con un atteggiamento di curiosità e di piacevolezza. Tutte le sensazioni vanno accolte, piacevoli e non, perché al dolore sono sempre sottese sensazioni più sottili, che percepite, scavate, “guardate” semplicemente, alla fine lo sciolgono.

Le scienze cognitive catalogano tre pratiche meditative: attenzionali, decostruttive, costruttive. Le pratiche attenzionali allenano e migliorano, attraverso la meditazione, la concentrazione e riducono le distrazioni. Le decostruttive proprie del Buddismo, mettendo in discussione i modi tradizionali di pensare, provano che l’essenza è in sé; quelle costruttive o della gentilezza amorevole invitano ad assumere un atteggiamento positivo verso sé stessi e gli altri.

Parlando del binomio “Letteratura e Spiritualità”, Armando Bonaiuto cita le parole di Giovanni Paolo II “La letteratura indaga gli abissi del male, la teologia li illumina”. Nei romanzi c’è alternanza di luci e ombre; dalle ombre, dalla disperazione, scaturisce la benedizione. Questa è la pista per accedere alle profondità del nostro spirito che – come ci insegna la meditazione- ci fa scoprire nel dolore la bellezza, concetto che attraversa tutta la letteratura. La strada di C. McCarthy, Il libro degli abbracci di E.Galeano e Il buio oltre la siepe di H.Lee sono i romanzi citati, perché in essi si scorge come dal male scaturisca il bene e la disperazione possa trasformarsi in benedizione.

Esiste un messaggio, si chiede Mancuso, un’informazione che – nel suo significato etimologico ci “dia forma”, ci tolga dal caos e ci consegni all’ordine? La sua risposta è positiva e non coincide con la certezza di un Assoluto, né con l’ateismo o con il nichilismo e neppure con l’agnosticismo, ma con quella dimensione spirituale che, promossa dalla ricerca spirituale, scaturisce dal coinvolgimento del soggetto.

Il messaggio che ci forma è l’“armonia”, parola che nel greco antico era preceduta dallo spirito (‘) e che il latino ha reso attraverso l’h, a sottolineare che solo il lavoro (energheia) e la fatica aprono a quella “bellezza” che è tale in quanto “intrisa di sofferenza”. “Com’è bello il mondo dice il dottor Zivago ma perché proprio questo dà un senso di dolore?”

Fare della propria vita una costante ricerca della libertà che ci renda capaci di accogliere sensibilità e spiritualità diverse, questa è la speranza e anche il messaggio di coloro che hanno promosso e realizzato l’evento.


[1] Vito Mancuso, teologo laico e filosofo, ha insegnato presso l’Università Vita- Salute San Raffaele di Milano, l’Università degli Studi di Padova e attualmente è docente del master in Meditazione e Neuroscienze dell’Università degli Studi di Udine. Ha fondato presso il MAST di Bologna il “Laboratorio di Etica”. Autore di numerosi saggi, è anche editorialista di La Stampa. I libri più recenti: Non ti manchi mai la gioia, Il dono della gioia, e Destinazione speranza.

[2] Gabriele Goria è artista marziale, pedagogo teatrale e illustratore. Pratica arti marziali da oltre trent’anni; insegna T’ai Chi, meditazione e Kung fu presso il Perfomjing Arts research Centre della University of the Arts di Helsinki e conduce seminari di formazione di studi interreligiosi in vari istituti in Finlandia e in Italia. Tra le sue pubblicazioni: Conversazioni intorno al fuoco. Meditazioni e tradizioni spirituali in collaborazione con P. Scquizzato.

[3] Armando Bonaiuto, curatore del Festival di Torino Spiritualità, delle Officine di Spiritualità di Venezia e di SOUL Festival di Spiritualità Milano, è tra i conduttori della trasmissione “Uomini e profeti” su Radio3; ha curato e commentato il volume Racconti spirituali (Einaudi, 2020).

[4] Mt 5,45 e Lc 6,35

[5] Emily Dickinson, La speranza; in Tutte le poesieI Meridiani, Mondadori, 1997.

[6] J.W. Goethe, Faust; BUR, Milano 2005; vv 6271-6274

[7] Platone, Fedro; Bompiani;191

[8] Tich Nath Han, Buddha vivente Cristo vivente; Garzanti, 1995.

[9] Carlo Maria Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme; Mondadori, 2022; 20-21

[10] Giovanni De Luna, Le immagini di morte travolgono Israele. Il dolore è l’unico antidoto alla violenza; La Stampa, 26 agosto 2025.

[11] Werner Heisenberg, Fisica e oltre; Bollati Boringhieri, 2013; 29-30

[12] T.W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa; Einaudi, 2005; n. 61

[13] Neiye. Il tao dell’armonia interiore; trad. di Amina Crisma; Garzanti, 2015; 137,vv 14-17

[14] Upanishad 1,445

[15] Platone, Aoologia di Socrate; a cura di G. Reale, Bompiani, 2000.

[16] Marco Aurelio, A me stesso; Oscar classici, 2024

[17] Abulafia e i segreti della Torah; Or ha-Śekhel e Rabbi Nathan il Saggio

[18] Budda, Metta SuttaSuttanipata, (143 -152)

[19] Agostino, Confessioni; Libro X, 6, 8

[20] Montale, Maestrale; in Ossi di seppia.

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Un commento

  1. Pietro 22 settembre 2025

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