Novena di Natale. 23 dicembre: “O Emmanuele”

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Di fronte al Dio di Gesù deve scomparire ogni paura. La figura dell’Emmanuele è la risposta più bella a tutti i nostri bisogni.

Stiamo facendo un percorso di “preghiera nella fede”. Oggi fede e preghiera ricevono un’ulteriore illuminazione alla luce dell’ultimo aspetto del volto di Dio che abbiamo imparato a riconoscere nelle Antifone che siamo andati meditando.

L’uno nell’altro

Si è già detto che scopo della preghiera è metterci in comunione con Dio, esito che risulta dal convergere di due desideri, quello implicito e incerto che è il nostro, e quello chiaro e decisivo di Dio.

Scrive ancora Giuliana di Norwich che «la natura profonda della nostra volontà è di possedere Dio, e la volontà buona di Dio è di possedere noi, e noi non possiamo mai cessare di volere e di amare finché non arriviamo a possederlo nella pienezza della gioia» (Una rivelazione dell’amore, cap. 6, p. 149).

Questo mirabile desiderio di un reciproco “possedersi”, se e quando si realizza, fa dire alla stessa Giuliana che «l’anima mediante la preghiera è in sintonia con Dio» (cap. 43, p. 226).

Oggi scopriamo che, se per noi non è sempre chiaro dove dobbiamo dirigere il nostro desiderio, al punto che «non sappiamo come pregare in modo conveniente» (Romani 8,26), e se spesso abbiamo l’impressione che i nostri sforzi per raggiungere Dio assomiglino a un batter l’aria, è Dio stesso che si piega e si abbassa fino a raggiungere noi, per stare con noi, perché nella carne del suo Figlio che nasce da Maria si realizza la profezia di Isaia 7,14: «Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,23).

Emmanuele

Ed ecco la preghiera, che noi usiamo oggi, anche se la liturgia la prevede per l’antivigilia, dato che la sera della vigilia ci proietta già nella luce che rispenderà nel cuore della Santa Notte:

«O Emmanuele, nostro re e legislatore,

attesa delle genti e loro salvatore:

vieni a salvarci, Signore Dio nostro».

L’antifona si presenta come una ripresa di titoli già sentiti: un Dio che è re, legislatore, speranza delle genti e salvatore. Non è un caso. Questi titoli belli e consolanti diventerebbero pressoché utopie inafferrabili se non si materializzassero nella parola che li sostiene e li rende veri e sperimentabili.

In un certo senso, il nome “Emmanuele” mi fa pensare a quel pilastro che sta al centro di certe sale capitolari di forma circolare o poligonale, dal quale si diramano una serie di archi che strutturano le vele delle volte, quasi lo zampillo vigoroso di una fontana. Forse è questa la ragione per cui l’antifona è stata collocata come ultima della serie: riassume tutte quelle che la precedono e dà loro verità e consistenza.

Nel più bel capitolo della Lettera ai Romani san Paolo arriva ad esclamare: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (8,31). Questa è una sicurezza che ci deve far gridare di gioia. Per delle creature venute dalla polvere e dal fango non può esserci consolazione più grande di questa. Colui che abbiamo invocato come «re e legislatore», e insieme «attesa delle genti e salvatore», è «Dio con noi».

Abbiamo iniziato questo percorso di preghiera parlando della fede come “esperienza viva e concreta della persona di Gesù”, un’esperienza così reale che possiamo esprimerla con il linguaggio dei sensi: udire, vedere, toccare. Ora la figura dell’Emmanuele ci dice che la fede ci sottrae alla nostra solitudine, a un doloroso senso di abbandono, che ci fa star male, anche perché all’inizio Dio ha detto che «non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18).

Le antifone meditate in questi giorni non ci hanno parlato solo di Dio, ma hanno descritto in contrappunto la nostra condizione umana.

Siamo stati descritti come esseri ciechi e immersi nel buio che hanno bisogno di luce, come prigionieri che hanno bisogno di una chiave che li liberi, come creature di fango che hanno bisogno di un vasaio che ci plasmi e solidifichi, come persone volubili e insicure che hanno bisogno di mettere radici in un terreno sicuro, come erranti in un deserto che necessitano di una guida e di segnali non ingannevoli.

Conditio humana

In queste antifone c’è, insieme, una visione di Dio e una visione dell’uomo, l’una in relazione con l’altra. La figura dell’Emmanuele è la risposta più bella a tutti questi nostri bisogni.

Mi piace offrire alla vostra meditazione un passo commovente di un monaco del secolo XII, Aelredo di Rievaulx:

«In che modo questo Signore è con noi? È apparso sulla terra e ha vissuto tra gli uomini (Bar 3,38). O gioia! Dio con noi! Con noi nella nostra carne, con noi nella nostra anima, con noi nella nostra debolezza, con noi per la carità, con noi per l’umiltà, con noi per la pietà. A contemplare questa gioia ci invita lo Spirito Santo: Gerusalemme sorgi, sta sull’altura e vedi. Sorgi, sali nel punto più alto, e rimani in piedi. Perché sonnecchi o anima mia? Perché dubiti, perché indugi? Sorgi!».

Di fronte a un’idea astratta di Dio come qualcosa che non ha alcun interesse perché non si sa cos’è né dov’è, i grandi scrittori cristiani dei primi secoli hanno spesso insistito nell’invito a non avere paura di fronte al Dio di Gesù. Che del resto è quanto chiedono gli angeli ai pastori, sconvolti dalla loro apparizione: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11).

San Bernardo, ricordando che Dio, dopo che Adamo a seguito del peccato si era nascosto per paura, lo cerca e gli chiede «Dove sei?», arriva a dire: «Ecco, perché tu non abbia paura, egli è diventato un infante, un senza parola!». Dio tutto vuole tranne che farci paura.

Circondati, perdonati, incoronati

Penso quest’oggi di non trovare migliore conclusione di un vero inno alla misericordia che traggo da un libro di preghiere: è il commento più ricco e più bello a tutto quanto dovrebbe suggerirci la parola-figura Emmanuele.

«Grazie alla tua misericordia, o Dio, non siamo annientati (cf. Lam 3,22);

la tua misericordia ci viene incontro (cf. Sal 79,8),

ci segue (cf. Sal 23,6),

ci circonda (cf. Sal 32,10),

ci perdona (cf. Sal 103,3),

ci incorona (cf. Sal 103,4).

Essa è lunga, ampia, profonda e alta (cf. Ef 3,18):

dura di secolo (cf. Sal 25,6) in secolo (cf. Sal 89,2),

arriva sino al cielo (Sal 108,5) e scende sino agli inferi (Sal 86,13),

raggiunge tutti (Rm 11,32), è tenerezza (cf. Lc 1,78).

Ho indugiato a pentirmi, ma tu hai allungato la tua pazienza,

o misericordia, fonte che non può mai esaurirsi». (Lancelot Andrewes, Una guida alla preghiera, Ed. Qiqajon, Bose 2015, p. 201).

Con queste parole, il nostro Buon Natale diventa un augurio altamente significativo, da sogno.

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