Ma c’è, nel Sabato Santo, la discesa di Gesù morto agli inferi: cioè (parlando in maniera molto semplice) la sua solidarietà nel non-tempo con coloro che sono persi per Dio. Per queste persone la loro scelta è definitiva: la scelta con cui hanno scelto il loro “io” invece dell’amore disinteressato di Dio.
In questa definitività (della morte) scende il Figlio; ma ora non agisce più in alcun modo: piuttosto, dalla croce sta invece destituendo ogni potere e iniziativa come il Puro Disponibile, l’Obbediente – ma in un’obbedienza umiliata fino a essere pura materia, l’obbedienza assolutamente cadaverica e incapace di qualsiasi gesto attivo di solidarietà, figuriamoci di “predicare” ai morti. È morto con i morti (ma per un amore definitivo e ultimo).
Ma è proprio così che egli disturba la solitudine assoluta a cui il peccatore aspira: il peccatore che vuole essere “dannato” da Dio ora riscopre Dio nella solitudine – ma questa volta riscopre Dio nell’assoluta impotenza dell’amore. Perché ora Dio si è messo in solidarietà con chi si è dannato, entrando nel non-tempo in un modo che non avremmo mai potuto prevedere. Il verso del salmo: “Se scendo nello Sheol, tu sei lì!” (Sal 139,8) riceve così un significato del tutto nuovo. E anche il grido di battaglia “Dio è morto” – quel diktat auto-affermativo del peccatore che ha chiuso la partita con Dio – acquista un significato tutto nuovo stabilito da Dio stesso.
La libertà creaturale è rispettata, ma è ancora superata da Dio alla fine della Passione e ancora una volta sottomessa (inferno profundior – per dirla con papa Gregorio Magno). Solo nell’assoluta debolezza Dio vuole fare a ogni libertà da lui creata il dono di un amore che irrompe dalle stesse prigioni e scioglie ogni costrizione: in solidarietà, dall’interno, con chi rifiuta ogni solidarietà (H.U. von Balthasar).
Dopo il dono di Dio vi fu la rinascita. Dopo la pazienza
dei sensi caddero tutte le giornate. Dopo l’inchiostro
di Cina rinacque un elefante: la gioia. Dopo della gioia
scese l’inferno dopo il paradiso il lupo nella tana. Dopo
l’infinito vi fu la giostra. Ma caddero i lumi e si rinfocillarono
le bestie, e la lana venne preparata e il lupo divorato.
Dopo della fame nacque il bambino, dopo della noia scrisse
i suoi versi l’amante. Dopo l’infinito cadde la giostra
dopo la testata crebbe l’inchiostro. Caldamente protetta
scrisse i suoi versi la Vergine: moribondo Cristo le rispose
non mi toccare! Dopo i suoi versi il Cristo divorò la pena
che lo affliggeva. Dopo della notte cadde l’intero sostegno
del mondo. Dopo dell’inferno nacque il figlio bramoso di
distinguersi. Dopo della noia rompeva il silenzio l’acre
bisbiglio della contadina che cercava acqua nel pozzo
troppo profondo per le sue braccia. Dopo dell’aria che
scendeva delicata attorno al suo corpo immenso, nacque
la figliola col cuore devastato, nacque la pena degli uccelli
nacque il desiderio e l’infinito non si ritrova se
si perde. Speranzosi barcolliamo fin che la fine peschi
un’anima servile (Amelia Rosselli).