Salvati dal limite

di:

oliva

È una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto, abbandonare tutti i sogni perché uno di loro non si è realizzato, rinunciare a tutti i tentativi perché uno è fallito. È una follia condannare tutte le amicizie perché una ti ha tradito, non credere in nessun amore solo perché uno di loro è stato infedele, buttate via tutte le possibilità di essere felici solo perché qualcosa non è andato per il verso giusto. Ci sarà sempre un’altra opportunità, un’altra amicizia, un altro amore, una nuova forza. Per ogni fine c’è un nuovo inizio (dal Piccolo Principe).

Queste parole semplici ma evocative ci consegnano la sfida di innovare un vocabolario cristiano ormai usurato che, nei contenuti essenziali, resta attuale nell’epoca delle relazioni liquide dominate dalla paura della delusione e dal desiderio di essere amati.

Risulta opportuno chiedersi se la perdita del senso del peccato, così ben segnalata dalla comunità ecclesiale, corrisponda più profondamente all’evaporazione della figura del padre (Lacan lo descrive come colui che media tra le esigenze della Legge e il desiderio). Il padre corrisponde, nella vita del figlio, a quella impossibilità concreta di gestire e racchiudere l’imprevedibilità della storia umana: testimoniando che è impossibile accedere a tutta l’ampiezza della vita con la rapidità virtuale a cui siamo abituati, forse a questo alludeva la domanda posta ai due personaggi biblici dopo che avevano sciolto il limite dell’avvertimento divino: “Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?” (Gen 3,11).

Sebbene ci siano molte situazioni caratterizzate da condizionamenti cruciali, il peccato rappresenta la libera scelta di chi fa a meno della relazione con il padre. A partire dalla nostra condizione umana limitata, avvertiamo costantemente il bisogno di “relazionarci a”: senza relazione la nostra libertà tende a danneggiarsi nel peccato. La relazione con il padre (e di conseguenza le altre relazioni) ci salva dall’impossibilità di bastare a noi stessi; la vita battesimale, più che ascesi morale, andrebbe compresa come esercizio relazionale: quanto è impegnativo rimanere figli nel Figlio? Al centro della proposta cristiana, infatti, non c’è un vademecum che ci aiuta a non peccare, ma un modo di relazionarsi – al padre e agli altri – che rende liberi.

***

Il problema della morte di Dio è diventato irrilevante nella società in cui domina l’ossessione per la difesa e la durata della propria vita: tuttavia essa inesorabilmente si spegne quando presume di fare a meno della relazione con il padre, cioè quando rimuove il bisogno di relazionalità contenuto nel limite stesso. Fuori dalla relazione il limite diventa ostacolo alla vita: detto più teologicamente, diventa peccato (mortale!).

Gesù stesso non ha fatto esperienza del peccato perché è rimasto nella relazione con il padre; tuttavia, ha vissuto l’esperienza della morte per condividere il dolore di coloro che hanno smarrito il padre: “Dio mio perché mi hai abbandonato?”. In Gesù la morte non è più la conseguenza di chi basta a sé stesso, ma l’accoglienza del limite elevato a simbolo: la fine del tempo (cronologico) della nostra vita è il confine tra l’essere figlio e l’essere quello che ancora non è stato rivelato (1 Gv 3,2).

La coppia che dice di amarsi per sempre, ad esempio, sa bene che quella relazione è attraversata ogni giorno dal limite: perdere la persona amata, venire traditi, ammalarsi ecc. Nonostante questo si amano, fino a donarsi totalmente, poiché il limite non è dell’amore ma della relazione: anche il Figlio – mentre si consegna sulla croce – ama, per questo è disposto a perdere la sua vita e anche (apparentemente) il padre.

La Chiesa coltiva la fede in Colui che tornerà di nuovo, senza alcuna relazione con il peccato (Eb 9,28), perché tutto ciò che abbiamo donato nelle relazioni (finite) ci venga restituito nella certezza dell’amore (in-finito) che non passa. Ogni relazione mentre ci salva dal limite, è anche limitata: l’amore che però attraverso di essa è stato donato rimane anche dopo la morte, la quale rende definitive le scelte della nostra fragile libertà.

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Un commento

  1. Danilo Ferrario 9 giugno 2025

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