
Al termine dell’anno liturgico C, il pensiero scorre alle pagine del Vangelo di Luca che hanno accompagnato di settimana in settimana con la maggior parte delle domeniche e tanta parte dei giorni feriali.
La CEI ha diffuso nel 2022–2023 il testo “I cantieri di Betania”, come guida per il secondo anno del Cammino sinodale. In questo modo ha voluto che Maria di Betania fosse la figura guida proprio perché mostra la postura della mistica filiale (Lc 10,38-42): mettersi ai piedi di Gesù, lasciarsi illuminare dalla sua parola, e da lì generare ogni azione e ogni servizio: «Maria, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola: è l’icona dell’ascolto che fonda ogni servizio».
La veridizione di Teofilo
L’opera lucana (inizio anni Ottanta) segue il Vangelo di Marco (fine anni Sessanta), che è una delle sue fonti, ma anche un riferimento per “ri-scrivere” il Vangelo. Luca dice chiaramente questa intenzione all’illustre Teofilo nei primi quattro versetti: «Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto». E a lui chiede di compiere una “veridizione”: non una ricerca storica e letteraria, e nemmeno una verifica della logica del pensiero trasmesso dal testo.
Il punto di partenza è la condizione iniziale della fede di Teofilo, invitato ad essere lettore del testo di Luca. La sua situazione può essere descritta come quella delle donne nel sepolcro, che dopo aver ascoltato l’annuncio della risurrezione fuggirono impaurite. D’altra parte, anche i discepoli erano fuggiti all’arresto del maestro, salvo il caso di Pietro. Costoro erano impauriti, come se dovessero iniziare ancora il discepolato, andando in Galilea, dove il Risorto li aspettava.
Teofilo inizia la lettura avviandosi verso il Risorto. Non è una lettura passiva: Teofilo inizia dentro la storia narrata. La sua figura diventa così simbolo di ogni credente che, aprendo il testo, si ritrova dentro la vicenda narrata. Non è un esercizio di memoria, né un confronto di dottrina: è un cammino che lo porta a riconoscere la solidità di ciò che ha ricevuto, ma anche la fragilità della sua stessa fede. In questo senso Teofilo è fratello delle donne al sepolcro, dei discepoli smarriti, di Pietro che vacilla e riprende.
Teofilo compie un confronto, una synkrisis, seguendo l’evoluzione narrativa con cui Luca presenta Gesù. I titoli che si susseguono – Figlio di Dio, profeta, Re, ancora Figlio di Dio, Risorto e asceso al cielo – non sono semplici appellativi, ma tappe di un riconoscimento progressivo. Gesù accoglie, si offre, si dedica: ogni titolo illumina un gesto, ogni gesto rivela un volto. Luca non inventa nulla di nuovo, ma ricorda a Teofilo ciò che egli già sa e ha vissuto.
Lo dice chiaramente all’inizio degli Atti: «Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo» (At 1,1-2).
La memoria diventa così il luogo della fede: non un sapere astratto, ma un’esperienza che si rinnova nella lettura, dove il lettore è invitato a fare spazio e a condividere, praticando progressivamente la solidità di ciò che ha ricevuto e a lasciarsi nuovamente generare dalla Parola.
Teofilo inizia la lettura avviandosi verso il Risorto: non è una lettura passiva, ma un cammino che lo coinvolge dentro la storia narrata. In questo gesto accetta la solidità di ciò che ha ricevuto e insieme la fragilità della sua fede. È fratello delle donne al sepolcro, dei discepoli smarriti, di Pietro che vacilla e riprende: la sua veridizione è un atto interiore che rende viva la memoria.
Questa è la verifica della veridizione: non un controllo esterno o un atto intellettuale, ma un’esperienza vitale che trasforma la memoria in esperienza viva. È un processo di rigenerazione: la lettura non ripete, ma rinnova; non dimostra, ma fa accadere di nuovo.
Non è una mistica che si costruisce con argomentazioni o con rimandi eruditi, ma un accadere che prende forma nella lettura stessa. Teofilo non è chiamato a dimostrare, ma a lasciarsi coinvolgere: la fede si rinnova nel gesto di leggere, come se la Parola tornasse a generare ciò che già ha seminato.
In questo senso, la mistica filiale è esperienza del lettore: Teofilo diventa figura di ogni credente che, aprendo il testo, si ritrova dentro la storia narrata e scopre che la Parola non si esaurisce, ma continua a illuminare e a trasformare.
Maria di Betania
Maria di Betania, nel racconto di Luca, è colei che «ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». La sua figura trova continuità in Gv 11,28-33: anche qui non si fa avanti, rimane all’interno in silenzio, si alza solo quando Marta la chiama e va in fretta incontro a Gesù che era ancora fuori. I Giudei presenti per consolarla, vedendola uscire, la seguirono pensando che andasse al sepolcro.
Il narratore lascia intendere che Gesù non fosse molto vicino alla casa e che Maria abbia impiegato un po’ per raggiungerlo. Quando arrivò, si gettò ai suoi piedi: Gesù la vide piangere e con lei anche i Giudei, e si commosse profondamente, pur essendo turbato.
Il turbamento di Gesù non è un dettaglio marginale, ma il cuore del racconto. Egli non resta distante né imperturbabile: si lascia toccare dal pianto di Maria e percepisce il rischio che la sua fede venga soffocata dalla disperazione. Il turbamento è duplice: partecipazione al dolore umano e preoccupazione per la fragilità della fede. Ma proprio da questo turbamento scaturisce il segno della risurrezione di Lazzaro.
Il narratore sottolinea che molti dei Giudei, vedendo ciò che Gesù aveva compiuto, credettero in lui (Gv 11,45). Maria diventa così testimone silenziosa di un affidamento che genera fede attorno a sé. La sua postura ai piedi del Maestro motiva altri a credere: un silenzio che apre varchi, un ascolto che diventa contagioso, un affidamento che trasforma il turbamento in rivelazione.
Maria di Betania non compie una veridizione come Teofilo, cioè non entra nel testo per verificarne la solidità. La sua postura è diversa: non argomenta, ma si affida.
Il suo gesto ripetuto – mettersi ai piedi di Gesù – è già una risposta, un atto di fede che non ha bisogno di parole. È la forma concreta della mistica filiale: non costruita con citazioni o logiche, ma vissuta come esperienza di affidamento. In questo senso, Maria diventa icona di chi sceglie la parte migliore “all’ombra della Luce”: il luogo dove la Parola non si dimostra, ma si accoglie; dove la fede non si verifica, ma si lascia generare.
Teofilo e Maria a confronto
L’opera di Luca si muove tra due poli: l’uditore reale e il lettore ideale.
L’uditore reale è colui che ascolta la voce proclamata, come Maria ai piedi della Parola: presenza viva, immediata, che riceve il suono e lo lascia diventare luce.
Il lettore ideale è Teofilo, destinatario del testo scritto: colui che si pone davanti alla pagina, colma i vuoti e compone senso nella distanza della scrittura.
Le loro somiglianze e differenze si intrecciano: entrambi sono correlati alla Parola, entrambi si lasciano trasformare. L’uditore vive l’evento nell’istante, il lettore lo medita nella durata. L’uno è immerso nella voce, l’altro nel testo.
Teofilo rappresenta la dimensione della veridizione (la solidità del testo che conferma la fede), Maria quella dell’affidamento (il gesto silenzioso che risponde alla Parola). La synkrisis tra loro mostra che la mistica filiale si compie sia nel leggere sia nell’ascoltare, sempre come esperienza che nasce all’ombra della Luce.
Maria non legge ma ascolta: la sua postura non verifica, ma si pone ai piedi del Maestro per lasciarsi trasformare. Teofilo è il lettore che cerca solidità, Maria la discepola che trova dimora. Due figure che si incontrano e si completano.
All’ombra della Luce, Teofilo e Maria si specchiano l’uno nell’altra: il primo porta il peso della storia e della ricerca, la seconda la leggerezza dell’ascolto che diventa dimora. Entrambi vivono la mistica filiale, declinata in due posture diverse ma unite dalla medesima sorgente: l’azione trinitaria che precede e genera.
Camminare con l’evangelista Luca significa proprio questo: abitare all’ombra della Luce, dove la Parola si fa dimora e il testo diventa cammino. Una Parola che non si esaurisce, ma continua a generare ascolto, meditazione e preghiera, diventando memoria condivisa e promessa di futuro.
All’ombra della luce
Ai piedi della Parola
non servono gesti grandi,
basta il silenzio che ascolta
e il cuore che si apre.
Ai piedi della Parola
si posa Maria,
e il tempo si ferma
nell’attesa di un respiro.
Ai piedi della Parola
l’ombra di Marta si muove,
tra le cose da fare,
ma la luce resta lì,
dove ascoltando,
sceglie la parte migliore
che non le sarà tolta.
Ai piedi del testo
l’occhio si posa,
il testo diventa respiro,
la pagina si fa cammino.
Teofilo, lettore attento,
scopre nel racconto
la voce che illumina la vita.
Ai piedi della Parola
l’orecchio si apre,
il suono diventa luce,
la voce si fa dimora.
All’ombra della luce
il senso nasce piano:
la voce si consegna,
il testo apre varchi,
e l’uditore in ascolto,
intreccia ciò che riceve.
La voce torna a fiorire,
dando voce a Maria
e riscrittura a Teofilo.
All’ombra della luce
il poeta declama:
tra ascolto e lettura
la Parola si fa canto,
e il cammino con Luca
non smette di aprirsi.






La scrittura poetante, caratteristica dell’autore ha la capacità di trasmutare i concetti dalla prosa erudita in poesia che si dilata vibrando tra sinestesie fisiche e desiderio di sfiorare il trascendente spesso con slancio struggente. Chi non ha strumenti per raggiungere il cuore dei concetti riesce grazie al pensiero poetante a sentire e comprendere lo sforzo di un’anima in ricerca del suo amore, ma anche della sua fragilità come credente e persona.
Il lettore non è mai spettatore neutrale: è colui che viene interpellato dal testo e che, rispondendo, diventa a sua volta “scrittore” (Jean‑Louis Chrétien). Non riceve solo un contenuto, ma viene collocato in una relazione che lo genera. Per esserlo, però, al lettore è richiesto la povertà di spirito, non in senso evangelico, ma nella pratica di quelle disposizioni che consentono al testo di essere prima, non nel tempo, ma nel ruolo di interpellante, grazie al quale solo così, il lettore si sente interpellato. La pratica di queste disposizioni sono altra cosa rispetto ai criteri dell’oggettività, non che questi siano irrilevanti, ma perché la rilevanza della povertà di spirito rintuzza l’esorbitante protagonismo soggettivo molto diffuso oggi.
Solo così può sorprendere “il suo distinguere e mediare tra due aspetti: due aspetti ossia la contemplazione della parola restituendola al Verbo nella sua risonanza personale che si fa testimonianza viva e l’altra, l’esperienza della persona Gesù come umile e silenziosa vicinanza che testimonia attenzione ne intima nei riguardi di chi si è scelto di amare.
Bel contributo. La ricerca condivisa dell’autore Villani è sempre figlia di un’attenzione ai dettagli semantici dei testi evangelici. Sorprende il suo distinguere e mediare tra due aspetti : due aspetti ossia la contemplazione della parola restituendola al Verbo nella sua risonanza personale che si fa testimonianza viva e l’altra, l’esperienza della persona Gesù come umile e silenziosa vicinanza che testimonia attenzione ne intima nei riguardi di chi si è scelto di amare.