“Anche i preti potranno sposarsi…” A margine di un’intervista al card. Pellegrino

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pellegrinoSenza timore d’essere di parte, sento di poter dire che fra i meriti di SettimanaNews vi è quello di offrire a lettrici e lettori degli spazi significativi per la condivisione di contributi di pensiero di qualità, in forma di commento agli articoli che vengono pubblicati.

Recentemente abbiamo ospitato diversi testi che mettevano a tema la figura del prete e, di concerto e di conseguenza, la figura di Chiesa che possiamo o vogliamo immaginare per il tempo presente e per quello che verrà. Fra i commenti che hanno fatto seguito a questi pezzi, alcuni mi hanno dato la possibilità di conoscere e approfondire vicende e letture che mi erano note solo in parte e superficialmente. Ringrazio per le segnalazioni.

Quell’intervista scomoda al cardinale Michele Pellegrino

Michele Pellegrino era stato nominato arcivescovo di Torino da Paolo VI nel 1965 e creato cardinale nel 1967, insieme a Karol Wojtyla; dopo aver rinunciato all’incarico di vescovo nel 1977, si era stabilito nella casa parrocchiale di Vallo, piccola cittadina torinese di neanche mille anime, dedicandosi allo studio e alla predicazione.

Nel marzo del 1981, il cardinale rilasciò a Francesco Strazzari un’intervista, pubblicata il mese successivo sulla rivista Il Regno con il titolo Questa chiesa fra paura e profezia. È molto interessante, per non dire sorprendente, ripercorrere i contenuti di questo colloquio di ormai quarantacinque anni fa: le parole del cardinale ci danno la misura di quanto tempo la Chiesa abbia perso, di quale grave incapacità di comprensione dei segni dei tempi continui a marcare il suo operato, di quante attese siano state disattese, di quante paure abbiano avuto il sopravvento, di quanta sofferenza tutto questo abbia generato e continui a generare.

Dall’intervista, che si può leggere integralmente online[1], colgo alcuni passaggi emblematici.

Dove va la Chiesa

Dove va questa chiesa? – chiede l’intervistatore.

Diversi fatti sono indizio di un movimento di involuzione – risponde con semplicità e chiarezza il cardinale. Tra questi, le difficoltà di applicazione della riforma liturgica e le preclusioni nei confronti delle donne. Per quanto riguarda la liturgia, l’indicazione relativa alla materia dell’eucarestia (il segno deve avere la sua evidenza, vale a dire il pane deve apparire pane) è stata disattesa ed ora si ritorna alla prescrizione che bisogna usare l’ostia del farmacista; in riferimento ai ruoli delle donne, una volta riconosciuto che le donne sono capaci di ministeri, non si vede perché si debba proibire loro di esercitarli.

In merito al ministero sacerdotale delle donne, il cardinale afferma:

Non mi pronuncio sul ministero sacerdotale delle donne. Non sono teologo. Ma ho fatte le mie dimostrazioni per l’esclusione delle donne dai ministeri istituiti non ordinati. Il teologo liturgista Vagaggini [2] mi assicura che, nei primi tempi della chiesa, le diaconesse erano ordinate mediante l’imposizione delle mani. Non capisco perché non si potrebbe fare questo anche adesso. E valorizzare le donne nell’attività pastorale. Ma come siamo indietro…

Pellegrino non manca di rilevare la novità rappresentata dalla riunione plenaria del collegio dei cardinali indetta dal papa nel novembre del 1979: per la prima volta, dopo quattro secoli, i cardinali erano stati convocati non per necessità di conclave, ma al fine di una condivisione di comunicazioni ed informazioni. Dei passi vengono compiuti, rileva il cardinale, ma la collegialità non ha ancora trovato esecuzione e non è facile che trovi esecuzione. I meccanismi del centralismo curiale sembrano inossidabili e addirittura certe nomine risultano funzionali a garantire la non attuazione del Concilio.

Vivere dentro la Chiesa significa, per il cardinal Pellegrino, avere il coraggio della parresia, il coraggio della parola franca che non si lascia schiacciare da un malinteso spirito di umiltà e obbedienza. Mentre tanti si barricano dietro la massima stereotipata ed equivoca I tempi non sono maturi!, Pellegrino afferma con lucida serenità: I tempi sono gli uomini che li fanno maturare. E ricorda l’opera di Rosmini, Le cinque piaghe della santa chiesa, pubblicata nel 1848 e messa all’Indice nel1849, anziché fatta studiare nei seminari. O il Concilio Vaticano II, che non fosse stato per Giovanni XXIII non si sarebbe fatto perché – appunto – i tempi non erano maturi.

Strazzari invita il cardinale a parlare di alcune urgenze ancora in attesa di risposta e davvero non si sa se arrabbiarsi o provare compassione a pensare che, quarantacinque anni dopo, tutti questi nodi sono ancora sul tavolo, quando non siano stati artatamente occultati sotto il tappeto.

Problemi aperti in attesa di risposta

Ci sono grossi problemi che attendono una risposta: il sacerdozio, la sessualità, il posto della donna nella chiesa, l’ecumenismo… – dice l’intervistatore al cardinale.

Fondamentale è l’apporto della teologia, risponde Pellegrino. Sono i teologi, non la gerarchia, a dover affrontare questi problemi su un piano biblico e teologico. Purtroppo, però, fra i tanti difetti di fede c’è anche il restare in silenzio, il tacere che nasce dalla mancanza di coraggio e dalla volontà di calmare le acque, perché non si ha abbastanza fede nello Spirito che guida la chiesa, che spinge anche a scelte audaci, a rischi calcolati, sottolineo «calcolati». E allora si procede sotto il segno della paura. O meglio non si procede affatto, per paura.

Il cardinale porta ad evidenza, però, anche un’altra ragione che impedisce alla Chiesa di assumere fino in fondo il compito di confrontarsi con questi problemi che sono veri e propri segni dei tempi, manifestazione non di mode passeggere, ma di esigenze vere e profonde: il fatto che chi occupa nella chiesa posti di maggiore responsabilità, a cominciare dai dicasteri romani, non ha gli occhi aperti a sufficienza sul mondo vero, ma vive in un mondo artificiale. È la chiesa chiusa – dice Pellegrino –, la chiesa-fortezza, dove si chiudono porte e finestre per paura che il vento dello Spirito entri a portare qualcosa di nuovo.

Parlando dei numerosi viaggi di Giovanni Paolo II, Strazzari sottolinea come alcune chiese locali, tra cui la chiesa africana e la chiesa brasiliana, abbiano chiesto al papa di prendere in considerazione il problema dell’ammissione al sacerdozio di uomini sposati, ricevendo in risposta un netto diniego.

Anche qui le parole del cardinale sono chiare e dirette, espressione di una parresia di cui pochissimi altri cardinali e vescovi sono stati capaci nei quarantacinque anni successivi:

Esprimo l’auspicio, faccio voti, chiedo al santo padre di venire incontro alle necessità concrete delle varie chiese. Di fronte a questo dilemma: o mantenere ad ogni costo la legge del celibato nel rigore attuale e quindi rinunciare alla piena evangelizzazione, o favorire l’evangelizzazione piena che richiede l’eucaristia e modificare quindi la legge ecclesiastica credo che bisogna scegliere questa seconda strada.

Il cardinale entra anche nel merito del documento sulla riduzione allo stato laicale dei preti, un testo duro, che veicola un rigore privo di misericordia, incapace, ancora una volta, di cogliere i segni dei tempi:

Ritengo che bisogna riconoscere in pieno il valore del celibato evangelico, ma il modo di realizzare questo valore evangelico è cambiato nei secoli. E può cambiare. Siamo in ritardo.

“Anche i preti potranno sposarsi…”

Siamo in ritardo, sì. In ritardo di decenni. Gli anni dell’intervista al cardinal Michele Pellegrino sono gli anni in cui Lucio Dalla, in una delle sue canzoni più famose, L’anno che verrà, dava voce con leggerezza ed ironia al sentire comune: Anche i preti potranno sposarsi, ma soltanto a una certa età…

Vedi, caro amico, cosa si deve inventare
per poter riderci sopra,
per continuare a sperare

E se quest’anno poi passasse in un istante
vedi, amico mio, come diventa importante
che in questo istante ci sia anch’io

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà:
io mi sto preparando, è questa la novità.


[1] https://www.noisiamochiesa.org/Archivio_NSC/attual/pellinterv.htm

[2] Il teologo Cipriano Vagaggini aveva fatto parte della prima Commissione di studio sul Diaconato alle donne nell’ambito della Commissione Teologica Internazionale, del 1973. Di fatto, le conclusioni cui quella commissione era approdata più di cinquant’anni fa non vennero mai pubblicate e rese note e la questione venne elegantemente silenziata e affossata, finché papa Francesco non l’ha timidamente ripresa nel 2016, or sono ormai due lustri.

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