
Le partecipanti all’assemblea della LCWR in testa al Pellegrinaggio della Speranza, una marcia attraverso il centro di Atlanta durante la quale hanno cantato e pregato per la giustizia sociale (GSR/Dan Stockman)
Il gesuita James Martin, redattore della rivista America, ha tenuto il seguente intervento nel corso dell’assemblea 2025 della Leadership Conference of Women Religious (LCWR, Conferenza delle donne religiose leader) ad Atlanta il 14 agosto. Pubblicato sulla rivista America (originale inglese qui). Il discorso è stato modificato per motivi di lunghezza e di stile.
Come molte di voi, sto invecchiando e appartengo a un ordine religioso che, pur essendo benedetto da nuove vocazioni ogni anno, sta a sua volta invecchiando almeno negli Stati Uniti. Questo non vale per tutti gli ordini religiosi: alcuni di quelli più tradizionali negli Stati Uniti stanno vivendo un’esplosione di vocazioni. E all’estero, specialmente nei paesi in via di sviluppo, molti ordini sia maschili sia femminili sono in crescita.
Ma, come tanti religiosi e religiose, molti di voi stanno affrontando la realtà della chiusura di apostolati, del consolidamento di ordini diversi tra di loro, della morte di suore, del calo delle vocazioni e persino di comunità che stanno discernendo ciò che le Suore della Carità di New York hanno definito un “percorso verso il compimento”.
Allo stesso tempo, le religiose sono ancora in prima linea nell’educazione cattolica, nel lavoro pastorale, nella giustizia sociale e nella direzione spirituale. Inoltre, ogni anno vengono avviati ogni tipo di ministero e nuove iniziative. E sia i cattolici sia i non cattolici continuano a guardare a voi come guida morale. Allora, dov’è Dio in tutto questo?
Una riflessione sulla risurrezione di Lazzaro, raccontata nel vangelo di Giovanni, può servire da quadro di riferimento per capire dove Dio potrebbe condurci. È una storia che parla di amore, malattia, morte, dolore, onestà, apertura, incertezza e, in ultima analisi, di nuova vita.
Cosa può insegnarci?
Affrontare l’ignoto
In primo luogo, ci insegna l’amore. Questa storia parla principalmente dell’amore, fonte e fondamento di tutti i nostri ordini religiosi e inizio di tutte le nostre vocazioni individuali. Quando Marta e Maria mandano a dire a Gesù che loro fratello Lazzaro è malato, non dicono: «Lazzaro, nostro fratello, è malato», come ci si potrebbe aspettare. Dicono qualcosa di più importante: «Colui che tu ami è malato».
Questo è il fondamento di tutte le nostre vocazioni, di tutte le nostre comunità, di tutti i nostri ministeri e di tutto il nostro futuro. I nostri fondatori e le nostre fondatrici erano tutti innamorati di Gesù. E in qualche modo, ognuno e ognuna di noi si è innamorato di Gesù. Tutti noi siamo stati attratti dalla persona di Gesù, abbiamo trascorso del tempo con lui in preghiera, abbiamo studiato i vangeli, lo abbiamo incontrato nei sacramenti, lo abbiamo incontrato in coloro che incontriamo e abbiamo vissuto la nostra vita al suo servizio. E, come diceva sant’Ignazio di Loyola, «l’amore si dimostra più con le opere che con le parole».
Ancora più importante è sapere che Lui ci ama. Notate che Marta e Maria non chiamano Lazzaro «colui che ti ama», ma «colui che tu ami». Tutto inizia con l’amore di Gesù per noi, che abbiamo sperimentato in tanti modi. Dobbiamo partire da questo in ogni discussione sul nostro futuro e affidarci alla certezza del suo amore per tutti noi, anche quando le cose sembrano confuse, come lo erano per Marta e Maria.
Dopo che le sorelle hanno mandato a dire a Gesù della malattia del fratello, accade qualcosa di sorprendente, forse persino sconcertante. Giovanni scrive: «Gesù, che amava Marta, sua sorella e Lazzaro, dopo aver saputo che Lazzaro era malato, rimase ancora due giorni nel luogo dove si trovava». Rimase ancora due giorni? Beh, almeno ci viene detto che li amava. Ma il suo ritardo e la sua apparente indifferenza sollevano la domanda: «Dove sei, Gesù?». Oppure: «Che cosa stai facendo?».
Spesso sentiamo questa domanda risuonare nel nostro cuore. Ci chiediamo perché non ci sono più tante vocazioni, perché tanti nostri amici/amiche stanno morendo e perché i nostri amati luoghi di ministero stanno chiudendo. E ci chiediamo: Gesù, dove sei?
Marta e Maria non capivano dove fosse Gesù. E le suore cattoliche, così come i religiosi e molti altri, non lo capiscono.
Il ritardo di Gesù nel venire in aiuto di Lazzaro indica l’essenziale inconoscibilità dei piani di Dio. «Perché sta succedendo questo?» – è spesso una domanda che, per ora, non ha risposta.
Quando i discepoli apprendono la notizia della morte di Lazzaro, sono confusi. Gesù dice che Lazzaro si è «addormentato» e che lui lo risveglierà. Ma i discepoli fraintendono, come spesso accade in Giovanni, e pensano che si tratti di un sonno normale, e dicono: «Starà bene». Allora Gesù è schietto con loro, come deve essere con noi. Dice: «Lazzaro è morto».
Questa è un’intuizione importante. Alcune cose sono perdute. Nella mia provincia gesuita, solo negli ultimi anni, abbiamo venduto diverse case di ritiro che per decenni hanno fornito accompagnamento spirituale a migliaia di persone ed erano amate non solo dai partecipanti ai ritiri, ma anche dai gesuiti. Ed è doloroso.
Ma tutti dobbiamo affrontare questa realtà. Come Lazzaro, che era amato dalle sue sorelle, alcune cose sono morte. È importante dirlo, essere grati per ciò che è stato, piangerlo e accettarlo. Alcuni ministeri, case, eventi e persone, tutti amati da noi, tutti parte della nostra vita, tutti aspetti che ci hanno reso ciò che siamo e hanno contribuito alla Chiesa, sono morti. C’è bisogno di celebrare ciò che è successo, assaporarlo e poi consegnarlo a Dio.
Una volta ho chiesto alla mia amica Janice Farnham come si sentiva riguardo alla fine di alcuni apostolati e persino di alcuni ordini religiosi femminili. «Beh – mi ha risposto – è come la vita di una persona. Veniamo al mondo, facciamo ciò che Dio ci chiede e poi lasciamo questo mondo. In un certo senso, è un processo naturale». La morte fa parte della vita e della vita religiosa, sia individuale che collettiva.
Ma la storia non finisce qui. Prima ancora che Gesù possa dare nuova vita a Lazzaro, è necessario esprimere le emozioni. Quando Gesù finalmente arriva a Betania, Marta e Maria lo accolgono e gli dicono come si sentono.
Quando Gesù arriva alla tomba di Lazzaro dopo diversi giorni di ritardo – immaginate quanto deve essere stato sconvolgente aspettarlo, come noi aspettiamo un cambiamento che non arriva mai –,, Marta è sincera con lui. «Signore se tu fossi stato qui, nostro fratello non sarebbe morto».
Come può Marta essere così schietta? Beh, lei conosce Gesù. È un invito per tutti noi a essere sinceri con Dio riguardo al dolore, alla morte e alla perdita. E riguardo alle nostre speranze per il futuro. Perché Marta dice anche che sa che Dio darà a Gesù tutto ciò che chiederà.
Quando Gesù le chiede dove è stato deposto suo fratello, lei risponde: «Vieni a vedere». Che invito potente! Marta usa le stesse parole che Gesù ha usato con i suoi discepoli all’inizio del suo ministero pubblico. A volte, nella nostra preghiera, dobbiamo invitare Gesù a vedere qualcosa. Entra nella mia vita e guarda cosa sto vivendo.
Quando Gesù arriva al sepolcro, piange. È una delle frasi più famose dei vangeli: «Gesù pianse». Spesso ciò è visto come un segno della sua tristezza per Lazzaro e un segno della sua umanità. E lo è. Ma gli studiosi del Nuovo Testamento sottolineano che le parole usate in greco non esprimono tanto tristezza quanto rabbia. Gesù sembra essere arrabbiato. Perché? Beh, forse per il semplice fatto della morte o forse per ciò che sa che sta per accadere (che la resurrezione di Lazzaro porterà alla sua crocifissione).
Ma soprattutto, dicono gli esegeti, è arrabbiato per la mancanza di fede della gente, che sembra non credere che lui possa fare qualcosa di straordinario. Vi siete mai chiesti se Dio si sente frustrato dal nostro dubitare di ciò che può fare per noi?
Poi Gesù dice qualcosa di strano: «Togliete la pietra». Perché Lazzaro non poteva semplicemente apparire? La mia sensazione è che Gesù stia chiedendo alla folla di partecipare al miracolo, alla liberazione, proprio come noi siamo invitati a farlo con i nostri amici, le nostre sorelle, i nostri fratelli. Quali sono le pietre che impediscono alle nostre sorelle e ai nostri ordini di essere più liberi? Cosa ci impedisce di vedere la luce? Dove sono le pietre nelle nostre congregazioni?
Ma Marta è concentrata su altro. Quando Gesù le chiede di rotolare via la pietra, lei risponde che ci sarà «un cattivo odore». Come molti di noi, Marta è concentrata sull’aspetto pratico, razionale, sui fatti. Non riesce ancora a vedere che Gesù ha in serbo qualcosa di diverso per lei. Notate anche che Gesù non teme di guardare dentro la tomba. Non ha timore di guardare le parti della nostra vita che sembrano marce, puzzolenti o addirittura morte. Non è preoccupato della nostra confusione, dei nostri dubbi o delle nostre paure. È disposto a guardare tutto questo insieme a noi. Quindi chiede a Marta: «Non credi in me?».
Marta crede, come tutti noi crediamo, anche di fronte alle difficoltà. Prima aveva detto: «Io so che tu sei il Messia, il Figlio di Dio, colui che deve venire». Ma Gesù è ancora più di ciò che Marta può immaginare come Messia. E come ricompensa non solo per la sua fede, ma anche per la sua onestà, le rivela chi è: «Io sono la risurrezione e la vita».
Questo è il punto in cui molti di noi si trovano nella nostra vita religiosa e nelle nostre comunità: spaventati dall’oscurità all’interno della tomba. Allo stesso tempo, continuiamo a credere, continuiamo a sperare, sapendo che Gesù è sempre con noi, e ci chiediamo cosa succederà. Quando a mio padre fu diagnosticato un cancro 20 anni fa, confessai alla mia amica suor Janice Farnham che non sapevo se sarei stato in grado di affrontare questa realtà. Lei mi rispose: «Riesci ad affidarti al futuro che Dio ha in serbo per te?». Questo è l’invito che ci viene rivolto, indipendentemente dalla congregazione a cui apparteniamo.
Uscire dalla tomba
Ora, nel momento culminante della storia, Gesù pronuncia le sue famose parole: «Esci!». Vorrei esaminare questa storia dal punto di vista di Lazzaro e chiedermi che cosa abbia a che fare con la vita religiosa.
Innanzitutto, ciò che questa storia ci offre è l’invito a lasciare nelle nostre tombe tutto ciò che ci tiene bloccati, legati o non liberi. Siamo invitati a chiederci: cosa ci impedisce di ascoltare la voce di Dio nella nostra vita, nelle nostre congregazioni, nelle nostre comunità? È la paura del cambiamento? La paura di essere considerati poco importanti? La paura di aver preso decisioni sbagliate? È la paura di lasciare qualcosa? Anche la paura della morte fisica? Possiamo lasciare tutte queste paure, preoccupazioni e rimpianti nella tomba? Ci sono risentimenti, rancori o delusioni che provate? Potete lasciarli alle spalle? Cosa dovete lasciare alle spalle per sentire Dio che vi chiama a una nuova vita sorprendente?
In secondo luogo, vorrei condividere una riflessione che una donna ha fatto durante una conversazione su un mio libro. Ha detto che Lazzaro, riportato in vita, mentre giaceva sulla tomba, ha dovuto decidere di fare qualcosa che nessun altro aveva mai dovuto fare. Ed è proprio questa la situazione in cui ci troviamo oggi come religiosi e religiose, giovani o anziani, che le nostre comunità siano in espansione o in contrazione, che siano in fase di fondazione o sulla via del compimento. Cosa intendo dire?
Ognuno di noi come individuo e ciascuna delle nostre congregazioni ha una propria costellazione unica di gioie, speranze, dolori e ansie. Tutti hanno i propri problemi: fisici, emotivi, mentali, persino spirituali. E tutti abbiamo i nostri doni e le nostre grazie: talenti, abilità, speranze e progetti. Quindi è facile pensare: nessuno mi capisce. Nessuno ha esattamente i miei problemi e le mie opportunità. Quindi è facile per noi dire: «Non posso farlo».
Ma era proprio questa la situazione di Lazzaro: nessun altro aveva mai dovuto fare ciò che lui stava facendo. Quindi doveva dire: «Posso farlo». Ed ecco il punto: cosa gli ha permesso di rispondere a quell’invito? Proprio questo: sapeva chi lo stava chiamando.
Lazzaro non esce dalla tomba perché pensa che sia una buona idea o perché qualche comitato gli ha detto che doveva farlo o perché ha letto un libro sull’auto-miglioramento. Lazzaro esce dalla tomba perché sa chi lo chiama. Lazzaro può dire sì a quella voce perché conosce quella voce. Il suo andare avanti è solo una risposta a una persona. Come Marta e Maria, che conoscevano bene Gesù, Lazzaro aveva fiducia nell’amore di Gesù. Questo è ciò che ci permette di andare avanti nella nostra vita e nel discernimento della nostra comunità: sapere chi ci chiama, Gesù.
Lazzaro esce, legato alla testa e ai piedi con i suoi vestiti funebri. Notate che li indossa, mentre i vestiti funebri di Gesù sono arrotolati e rimangono nella tomba la mattina della prima Pasqua. Perché? Perché Lazzaro ne avrà ancora bisogno, Gesù no.
E quando Lazzaro esce dalla tomba, Gesù dice: «Scioglietelo e lasciatelo andare». Anche in questo caso, si tratta di un invito alla folla a partecipare alla liberazione. Dove potete aiutare le persone della vostra comunità a essere libere? Come potete aiutare a sciogliere quei sudari? Il passo verso la nuova vita viene da Dio, ma a volte abbiamo bisogno di persone che vedano che siamo risorti e ci aiutino a toglierci i sudari.
Verso una nuova vita
Come sarà la nuova vita per Lazzaro? Beh, lui non lo sa. E nemmeno noi. Ma consideriamo alcune possibilità, basandoci sulle tre persone della nostra storia che incontrano Gesù.
Come Marta in questa storia, possiamo concentrarci non sul fetore, ma sulla promessa di una nuova vita?
E, come nella storia del vangelo di Luca, quando Marta si lamenta di essere oberata dal lavoro, possiamo essere aperti alla sfida di Gesù su come trascorriamo il nostro tempo? Su ciò che stiamo facendo? Marta sta lavorando duramente in casa sua, ma, come ci dice Luca, sta facendo la cosa sbagliata in quel particolare momento.
Allora, cosa siamo chiamati a fare ora, sulla base dei segni dei tempi? Vorrei suggerire alcune cose.
Come tutti sappiamo, c’è stato un cambiamento nei desideri di molti giovani americani nei confronti della Chiesa, che si stanno orientando maggiormente verso la tradizione. Non è il caso di tutti, ma in generale molti giovani cattolici cercano devozioni più tradizionali, come l’adorazione del Santissimo Sacramento, la devozione ai santi moderni come Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati, nonché liturgie più tradizionali. Questi giovani cercano sinceramente un’identità più profonda come cattolici. In questa platea ci sono centinaia di donne che hanno dedicato la loro vita all’insegnamento, all’accompagnamento e alla formazione dei giovani. Tutte voi avete preso sul serio il vostro rapporto con Dio. Potete quindi incontrare questi giovani là dove si trovano, accompagnarli e aiutarli nel loro rapporto con Dio?
Allo stesso modo, molti giovani desiderano fortemente un senso di comunità. Lo abbiamo visto recentemente nelle grandi folle che sono venute a Roma per il Giubileo dei Giovani. Cosa può insegnare loro la nostra esperienza di comunità, non solo quella che ci hanno trasmesso i nostri fondatori e le nostre fondatrici, ma anche quella che abbiamo vissuto in prima persona? Alla preghiera comune? Al sostegno reciproco? Al perdono reciproco? C’è tanta saggezza in tutto questo.
In altre parole, siamo impegnati in molte cose, ma forse non in quelle giuste? Cosa facciamo nel corso di una giornata come leader di congregazioni, organizzazioni e ministeri? Ci dedichiamo all’opera del Vangelo, costruiamo relazioni, gettiamo ponti, liberi dal bisogno di sentirci gratificati per aver fatto qualcosa che gli altri possono vedere, e persino liberi dal bisogno di approvazione da parte di persone vicine?
Una sorella ha suggerito questo: e se tenessimo un «diario di Marta» e annotassimo quali compiti riempiono le nostre ore? In che modo ciò che stiamo facendo rifletterebbe l’invito che Gesù ci offre oggi? Come siamo chiamati a identificare l’apostolato e l’impegno comunitario in questo momento, che si basano sui segni dei tempi – segni che sono diversi da quelli di pochi anni fa? Ricordate quella svolta verso la tradizione tra tanti giovani.
In breve, Marta ci chiede: cosa siamo chiamate a fare?
Come Maria, che nel vangelo di Luca si inginocchiò ai piedi di Gesù e fece lo stesso nella storia della risurrezione di Lazzaro, possiamo crescere nella libertà interiore in modo da poter contare più pienamente su Gesù e poi offrire al mondo e agli altri una presenza contemplativa? Notate che nella storia di Lazzaro, Maria inizialmente non si precipita a vedere Gesù quando arriva. Aspetta che Gesù la chiami. Come nella storia del vangelo di Luca, Maria è libera dal bisogno di fare, fare, fare, e invece ascolta. Maria fa anche qualcosa che probabilmente infastidisce Marta: aspetta. Dove sono i luoghi in cui abbiamo bisogno di fare un passo indietro, di pregare e ascoltare di più, anche a rischio di non sapere inizialmente cosa fare?
In breve, Maria ci chiede: come siamo chiamati a pregare e a discernere?
Infine, come Lazzaro, possiamo lasciar andare tutto ciò che ci rende schiavi? Tutti i modi in cui ci siamo abituati a vivere, pensare, amare, pregare, lavorare, servire, creare, rispondere e lasciare quei sudari nella tomba, sapendo che la morte non ha mai l’ultima parola, che con Dio tutto è possibile, che questo cambiamento di epoca in cui ci troviamo è dove Dio ha bisogno di noi e che la terra sconosciuta del “non sapere” non ci rende più esitanti o timidi.
In breve, Lazzaro ci chiede: chi siamo chiamati ad essere?
Possiamo, come Lazzaro, fidandoci completamente di Gesù, fiduciosi nel futuro perché siamo sicuri di chi ci chiama, dire sì a Dio? Perché l’invito per tutti noi, come uomini e donne religiosi, come cattolici e cristiani, è proprio quello di ascoltare ogni giorno della nostra vita la voce di Gesù che ci dice: «Vieni fuori».






Non vorrei che ciò che pongo a seguito di questo articolo specificatamente indirizzato ai religiosi e religiose risultasse perciò stesso inopportuno, d’altra parte assai recentemente ho sentito dichiarare del tutto paritetiche di fronte alla Chiesa le esperienze dei laici e di coloro che tali non sono nella dimensione del valore e del peso ad esse relativi. Il continuo porsi amletico dell’interrogativo identitario che invita (in particolar modo il prossimo) a certificare la qualità ontologica del proprio impegno di fede, o forse a darne dimostrazione pratica mi pare stimolare a un consumismo delle situazioni esistenziali nell’ ansia di dichiarare superati dei passaggi antropologici, con il non sempre vago sentore di morte che questi si lasciano dietro, per accogliere dei cambiamenti invariabilmente da fruire come momenti di Risurrezione. (Cosicché la stessa descrizione di un Lazzaro sortito dalla renitenza al nuovo nel concedersi al risveglio di cui Gesù lo fa segno mi risulta viziata in questi termini da un vero e proprio pregiudizio esegetico). Anche nella nostra vita occorre meno sensazionalismo: è in fondo auspicabile che le manifestazioni di Dio ci si lascino cogliere in modo lieve e anch’esso biblico che ci consente di riservare un dubbio e poco clamore sullo spazio da adeguare alla sua voce.
Non concordo sulla positività dell’attesa di Maria rispetto a Marta all’arrivo di Gesù dopo la morte di Lazzaro. Per me Marta ha fatto tesoro dell’ insegnamento di Gesù a lei la volta precedente. Accorre dal Maestro, che le dà nuovi insegnamenti a cui lei partecipa dialogando e provando a rispondere. È molto più “pronta” spiritualmente della sorella alla risurrezione di Lazzaro! Maria dovrà invece attendere la Risurrezione del Signore per entrare nel mistero…🌝
Bell’articolo, da meditare e riflettere sempre. Anche se più o meno tutti i religiosi/e lo fanno. Dobbiamo avere più fiducia. P. Domenico OSA
Qualcuno sa spiegarmi in pochissime parole, anche in pochi essenziali richiami, il postulato del “cambiamento d’epoca”?
Se non ho capito male è finito un ciclo per alcuni ordini religiosi che vedono aumentare l’età dei propri membri mentre i giovani sembrano attratti da ordini a vocazione più tradizionale. Ma in generale mi pare che ci siano diversi articoli anche sull’invecchiamento della popolazione, come accettare di invecchiare con grazia, come imparare a mantenersi attivi ecc.
Cambia il modo di comprendere e vivere la realtà. Se due adolescenti ti dicono che ogni giorno passano di media 7 ore 😮 sullo smartphone, inviando e ricevendo una media di 350 😮 messaggi Whatsapp ( è l’ esito di una mia piccola inchiesta…), direi che l’ epoca è molto mutata rispetto a me che passavo buona parte del tempo a giocare a pallone ai giardinetti sotto casa…☺️…
Ho anch’io l’impressione che religiosi/e e tanto clero siano impauriti dell’attuale situazione ecclesiale, si lamentino eccessivamente di tante cose e poco si sappiano amati dal Signore. Purtroppo il pontificato di Francesco non è riuscito a liberare nemmeno i fedeli laici da questo sentire tanto complesso quanto pessimista, mentre la fede nella resurrezione viene meno.
Il tono generale del sito non è pessimistico, di base il tema è affrontato nello stile degli esercizi ignaziani, identificare le paure per poterle superare.
https://www.americamagazine.org/faith/2025/07/29/sister-joyce-rupp-james-martin-aging-spiritual-life-251203/
Non è male devo dire..