
A Gerusalemme Sandra ha incontrato suor Margaret Zdunich, della Comunità delle Religiose di Nostra Signora di Sion.
- Sister Margaret, potrebbe delineare brevemente le caratteristiche della Congregazione a cui appartiene e sintetizzarne il carisma?
Il nostro istituto è stato fondato ufficialmente nel 1847, anno in cui Théodore Marie Ratisbonne ricevette l’approvazione ufficiale dalla Santa Sede. Théodore, di benestante famiglia ebrea, si convertì al cattolicesimo dopo un lungo percorso spirituale; divenuto sacerdote, aprì diverse scuole a Strasburgo e a Parigi, e perfino un orfanotrofio che accoglieva trecento bambini. Anche il fratello minore, Alphonse, spinto da forte impulso religioso, abbandonò la fede di famiglia ed entro inizialmente nei Gesuiti, per poi seguire Théodore-Marie nell’ordinazione sacerdotale.
Ecco, il 20 gennaio di ogni anno – nella nostra festa ufficiale – ricordiamo l’apparizione di Maria ad Alphonse, a Roma, col conseguente segno a creare la Congregazione. Nel libro della Genesi, Dio dà il nome a ciò che crea e questo definisce il creato. Allo stesso modo, il nome del mio ordine, Religiose di Nostra Signora di Sion, cioè di Gerusalemme, ha come focus il legame con la città santa e quello con Maria: uno dei titoli mariani è proprio “figlia di Sion”.
- Cosa accadde in seguito?
Attorno a padre Théodore si raccolsero alcune donne nella cura di povere famiglie ebree, nell’ottica di mantenere vivo l’amore per le radici ebraiche di Gesù di Nazareth dopo secoli di persecuzioni e accuse di infedeltà all’interno del cristianesimo. Una rivoluzione di pensiero, insomma.
L’opera educatrice dei due fratelli e delle consacrate che condivisero il loro impegno, si concretizzò nell’istruzione e nell’accoglienza di poveri e orfani.
Diversamente da altre scuole cattoliche, gli istituti delle Sorelle di Sion accoglievano studenti da ogni provenienza religiosa e culturale. A metà del Diciannovesimo secolo, in Francia, si contavano sessanta insegnanti donne e tre collegi con ordini diversi: Primaria, Secondaria, Istituti Tecnici. Questa fu un’occasione fondamentale anche per le ragazze, che altrimenti non avrebbero avuto alcuna opportunità di studio. A fine secolo, le scuole divennero dieci, e via via sempre più numerose. Nel frattempo, l’attività si ampliava con la partecipazione a progetti di sviluppo sociale.
La specificità del carisma – cioè, l’approfondimento del dialogo ebraico-cristiano – si sviluppò pienamente durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la com-passione per lo sterminio degli ebrei fece prendere coscienza di quanto poco i cristiani conoscessero della loro stessa religione.
Tale consapevolezza prese forma compiuta quando, nel 1965, la Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate riconobbe i legami indissolubili con l’ebraismo. Il lavoro delle Sorelle di Nostra Signora di Sion aveva anticipato in modo profetico quella che si rivelò una vera rivoluzione in ambito culturale-religioso.
- A Gerusalemme la vostra sede si trova in piena Città Vecchia, in uno stabile prestigioso e antico.
Sì, la nostra sede è sulla Via Dolorosa, in pieno quartiere islamico, anche se negli ultimi anni la presenza ebraica, con l’acquisto di immobili e il trasferimento di famiglie ebree, sta lentamente cambiando la fisionomia della zona. Dopo il 1850, Alphonse Ratisbonne acquistò un terreno con ammasso di rovine lungo la Via Dolorosa e intraprese scavi e restauri in una porzione della via, inglobando i resti di un arco, tuttora conosciuto come il tradizionale luogo in cui Ponzio Pilato pronunciò le fatidiche parole che precedettero la condanna di Gesù: Ecce Homo. Si tratta, in realtà, di una porzione dell’arco di Adriano, risalente al 135 d.C., quindi ben posteriore.
L’attuale caseggiato con convento e alloggio per pellegrini, è enorme, su più livelli, con giardini e splendide terrazze che danno verso la Spianata delle Moschee. I sotterranei custodiscono una preziosa sezione di strada romana, cisterne, e il famoso Litostroto. L’archeologia suggerisce che qui si trovasse il pretorio della fortezza Antonia, dove Gesù fu imprigionato e flagellato. La seconda stazione della Via Crucis è adiacente a noi, al Convento Francescano detto appunto della Flagellazione. Per inciso: sulle antiche pietre è stato ritrovato il “gioco del re”, con cui i soldati romani irridevano i prigionieri e giocavano a dadi i loro poveri averi, esattamente come descritto nei vangeli. Le fondamenta dell’edificio si estendono nell’area archeologica della piscina di Betsaida e nei tunnel che si dipartono sotto il Muro Occidentale, chiamato impropriamente Muro del Pianto.
In Israele abbiamo un altro convento a Ein Kerem, villaggio di evangelica memoria: un possedimento collocato in una posizione bellissima, sulle colline fuori Gerusalemme: anche là è possibile alloggiare; vengono spesso studiosi, pittori, scrittori, gruppi di ogni religione per trovare quiete, spazio per meditazione, scrivere, dipingere.
Nel mondo, le nostre istituzioni sono in Brasile, Argentina, Costa Rica, Regno Unito, Australia, Canada, Stati Uniti, Kenya, Filippine, Irlanda, Egitto. Non poteva mancare Roma, sede della nostra Casa Generale.
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- Qual è il suo ruolo nella comunità?
La mia origine è canadese, ma come Sorella di Sion sono stata assegnata a Gerusalemme, dove vivo da nove anni. Quest’anno celebro il sessantesimo anno di appartenenza alla mia congregazione ed è una ricorrenza importante, perché coincide con il giubileo della Chiesa Cattolica, che cade proprio nel 2025, e che trae la sua essenza dalla tradizione biblica. Per me, per noi che promuoviamo la formazione biblica e il dialogo ebraico-cristiano, è un momento assai significativo.
Il mio ruolo è quello di direttore esecutivo del centro di formazione biblica: offriamo programmi di approfondimento per chiunque voglia affrontare lo studio delle Scritture nei luoghi in cui sono state composte. Questo permette una comprensione diretta, esperienziale dei testi, col valore aggiunto di poter percorrere concretamente i passi dei personaggi biblici. Dall’ottobre 2023, con i tragici eventi del conflitto tra Hamas e Israele prima e la guerra contro l’Iran poi, siamo stati costretti a modificare le sedi dei nostri programmi, perché era pericoloso e perché i problemi logistici erano insormontabili. I corsi di gennaio 2025 sono stati spostati in Italia, a Roma; quelli di settembre, su san Paolo, si terranno in Grecia.
Abbiamo anche fatto tesoro dell’esperienza durante la pandemia di Coronavirus, e come noi anche tante altre istituzioni educative, organizzando corsi online, anche con ottimi riscontri.
- Come è venuta a conoscenza di questa comunità e perché ha scelto proprio questa?
Il mio paese d’origine è dall’altra parte del mondo rispetto a Gerusalemme. In Canada vivevo in una zona rurale, nelle vicinanze della città di Saskatoon. Le Sorelle di Sion hanno una scuola molto apprezzata in quella città: quando è stato il momento delle scelte, ho deciso di visitarla; ho parlato con altre studentesse e ho provato un’attrazione immediata, visto che l’istruzione impartita era di alta qualità, tanto che sono tornata a casa con la domanda di iscrizione.
I miei genitori erano sconcertati dalla mia determinazione, avevo solo quattordici anni! Sono, quindi, entrata in collegio e ho proseguito lì i miei studi insieme a molte altre ragazze che avevano fatto la mia stessa scelta: un’esperienza bellissima di vita in comune; la ricordo ancora con piacere, molto formativa per lo spirito di condivisione che mi ha profondamente segnata. I docenti, veri educatori, diventavano persone quasi di famiglia e ci seguivano in ogni momento della nostra crescita sia personale sia intellettuale.
Non si parlava di dialogo interreligioso, visto che l’ambiente non prevedeva confronti di questo tipo, ma ci concentravamo molto sulla preghiera. A conclusione degli studi, scelsi di restare nella congregazione e dopo tre anni di formazione alla vita religiosa, iniziai l’università. L’insegnamento in scuole cattoliche divenne il percorso naturale per il mio ministero. Nel frattempo, in me era cresciuto l’interesse per il dialogo ebraico-cristiano, tema che veniva affrontato anche da miei colleghi.
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- Quali sono gli esempi concreti del dialogo interreligioso a Gerusalemme?
Partecipiamo agli incontri tra cristiani ed ebrei: si tratta principalmente di stabilire e mantenere buone relazioni. Ci sono molte iniziative: una, ad esempio, è settimanale ed è un momento sia di preghiera conviviale tra ebrei, musulmani e cristiani; un altro è la partecipazione alle iniziative del gruppo Rainbow in cui, mensilmente, si discutono tematiche comuni al cristianesimo e all’ebraismo.
Non abbiamo un abito che possa contraddistinguerci, come invece alcuni altri ordini: la scelta è di tornare alle origini, quando la religiosità non si esternava nell’abbigliamento; noi vestiamo come persone non consacrate, laiche. Abbiamo, però, i nostri simboli: il medaglione che portiamo al collo contiene una croce, seppur senza la figura di Cristo, come una forma di simbolico abbraccio di accoglienza; i piedi alla base significano il desiderio di fermezza del nostro impegno e il cerchio che racchiude il tutto ricorda la completezza delle nostre vite. Sul retro trovi le iniziali NDS, Notre Dame di Sion. Indossiamo anche un anello con l’incisione “In Sion firmata sum”, dal libro del Siracide (24,10).
- Quali cambiamenti sono occorsi nella vita quotidiana, dopo i tragici eventi dell’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023, la guerra di Gaza e la recente guerra con l’Iran?
La nostra vita è stata completamente stravolta. Molti enti che lavoravano con i pellegrini hanno chiuso completamente: Casa Nova dei Francescani, per esempio; anche alcune porte della città sono state serrate e pure la basilica del Santo Sepolcro. Le strade erano deserte.
Il passo più difficile è stato vedere la sofferenza, il dolore da parte israeliana e da parte palestinese. Anche il disorientamento dei nostri collaboratori, lo staff che ci aiuta a gestire la casa, pesava come un macigno. Sono persone che abitano a Gerusalemme e in Cisgiordania. Abbiamo dovuto ridurre le ore di lavoro, quindi gli stipendi, per cercare comunque di garantire loro un minimo di guadagno.
Partecipiamo anche alla sofferenza degli amici ebrei con i figli e parenti in guerra. Israele è un piccolo paese, le famiglie sono tutte interconnesse: ognuna ha qualcuno al fronte.
Ci teniamo informate a vari livelli, non solo sui media, parliamo con le persone di ogni ambiente e provenienza, ascoltiamo tutti. Leggiamo anche gli interventi e le riflessioni che ci scambiamo con i gruppi di cui facciamo parte. Colpisce la profondità di certe disperazioni, i conflitti si spostano dal campo di battaglia ai cuori delle persone e sembra non esserci via d’uscita in certi momenti. Eppure, la nostra presenza qui deve essere presenza di speranza; siamo meno esposte di tanti altri, ma portiamo su di noi la devastazione che ci circonda. Io, personalmente, incoraggio i rapporti interpersonali, chiamo le persone, andiamo a prendere un caffè insieme, ascolto le loro storie, ci vediamo per cena, vado a trovarle con amici e colleghi.
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- Nei “dodici giorni” di guerra siete state sotto attacco continuo…
Abbiamo vissuto una sorta di “guerra nella guerra”. Per ventidue mesi gli occhi del mondo erano puntati sul conflitto Gaza/Israele e siamo stati assaliti da notizie di nuovi omicidi di massa, distruzioni, crisi alimentari e umanitarie, feroci violenze in Cisgiordania. In aggiunta a questa situazione, già gravissima, è esplosa la guerra tra Israele e Iran. E anche gli Stati Uniti si sono aggiunti.
Ogni sera i missili hanno acceso il nostro cielo, un cielo altrimenti silenzioso, quando prima era solo il richiamo della preghiera islamica a riempire il silenzio. Guardavamo le luci e ascoltavamo i suoni dei missili intercettati. Ogni notte eravamo svegliate dalle sirene che annunciavano un potenziale attacco missilistico e ci costringevano – noi come tutti – ad abbandonare le nostre stanze e a cercare rifugio nel sotterraneo del Litostroto.
Dodici giorni di attività bellica intensa hanno segnato pesantemente le persone e i territori, causando altri danni non soltanto fisici: ansia crescente, trauma, paura, angoscia, incertezza. Il divieto degli assembramenti e le chiusure di sinagoghe, moschee e pure del Santo Sepolcro sembrava aver annichilito persino il conforto della preghiera nei luoghi più santi di ebraismo, islam e cristianesimo, proprio là dove i credenti di tutte le fedi avrebbero potuto trovare conforto e sostegno nel riunirsi dinnanzi a Dio.
Vivendo in comunità, noi almeno abbiamo potuto affrontare quei giorni sostenendoci e condividendo le nostre angosce. Ora – a guerra apparentemente terminata o sospesa – camminiamo in solidarietà con gli abitanti di questo paese, continuando a offrire presenza, ascolto, speranza. Cerchiamo di essere una piccola luce in questo buio.





