
Charles Taylor, a proposito della questione dell’identità, propone la metafora spaziale: dove sono? Come mi colloco? Dov’è per me il bene, dove sono i beni? Dal canto suo, Massimo Cacciari riscopre il senso etimologico arcaico – ad esempio omerico – dell’intelligenza, del nous, del noein: andare, tornare (si guardi al nostos, il ritorno).
Di nuovo la metafora spaziale: dove si situa tale andirivieni? Nell’aprirsi, nell’andare verso l’altro – così a me sembra – e nel tornare presso di sé, al fine dell’autoconoscenza e dell’autocoscienza: conosci te stesso! Un tentativo di rispondere alla domanda: chi sono? Ecco il nesso con il dilemma identitario: chi sono io? E dunque: dove sono?
Così l’interrogativo metafisico per eccellenza – che cos’è? –, passando per il “chi sono?”, si “spazializza” e si concretizza in un “dove sono?”, che è il quesito classico dell’ebreo errante, riferito anche al divino: “Dov’è Dio? Dove sei, Signore?”. Non solo: il Tu facilmente diviene un tu: “dove sei, amico/a mio/a?”. Che, di nuovo, corrisponde a: “chi sei?”. Immaginiamo una bimba o un bimbo di Gaza; nella sua situazione, l’unico, possibile quesito identitario è proprio quello “geografico”: “dove mi trovo?”. E la risposta più probabile credo che sia: “all’inferno”.
Del resto, nella Commedia dell’Alighieri, la collocazione morale viene a coincidere con quella spaziale: o, detto altrimenti, il luogo corrisponde all’identità di ciascuna/o.
Soffermiamoci ancora sull’andirivieni: quel che io sono si definisce grazie al confronto con l’altro. Da qui il carattere fondamentale dell’andare verso di lui/lei: una sorta di corpo a corpo con l’alterità, senza il quale non si delineerebbe l’identità. Posso davvero conoscere me stesso dibattendomi con/contro l’altro. Dove si situa, tuttavia, la mia singolarità?
Ecco il momento del “ritorno” in me, attraverso il quale acquisisco consapevolezza della mia differenza e unicità. Consapevolezza, Cacciari lo sottolinea, alla base del mio volere, diverso dal tuo, dunque della mia autonomia e, in definitiva, della libertà di ciascuno.
A onor del vero, volontà e libertà emergono dall’andirivieni, dalla tensione fra i due momenti: non si tratta di una sorta di primo tempo (l’apertura all’altro) e di secondo tempo (il ritorno in sé), bensì di due movimenti simultanei. Nello stesso tempo, vado verso l’altro e torno in me.
A tratti potrà prevalere il primo movimento, a tratti l’altro, ma essi sono concepibili, nella loro complementarità, solo insieme. Per convincersene, basterebbe chiedersi: da dove prendo le mosse per affrontare l’altro? E, reciprocamente: da dove mi muovo per raggiungere me stesso?
Tornando a Taylor, poi, è il mio situarmi rispetto al bene che definisce la mia identità. Ma non si tratta di un situarsi statico; è, piuttosto, un orientarsi. È l’orientamento che si dà alla propria vita o, se vogliamo, il senso. E l’orientamento rinvia a sua volta a un movimento, a un’incessante ricerca.
Torna così il motivo dell’andirivieni, dello spostarsi, del movimento, verso l’altro e verso sé. Non solo – e qui si ripresenta con tutta la sua forza la centralità dell’altro nella mia vita –, ma l’idea del bene e dei beni verso i quali dirigersi è profondamente legata al contesto storico e sociale; non si tratta di un’idea “privata”, bensì condivisa.
La coscienza della mia singolarità si nutre di una trama condivisa di punti di riferimento, senza la quale rischierei di perdermi e di naufragare, pur non coincidendo interamente con essa.






Amos Oz suggeriva la metafora della penisola: non terraferma, ma nemmeno isole galleggianti che non si toccano. Da una parte il legame con il territorio, dall’altra protesi verso il mare.
https://www.illibraio.it/news/storie/amos-oz-morto-945067/
Povero Cacciari, uno dei pochi che si rende conto della situazione..