
Quando ho letto l’intervista al sito kath.net del card. Koch intitolata “Papa Leone ha un profondo rapporto con le Chiese orientali” (qui), ho notato subito che, parlando “per transennam” dell’uso del Vetus ordo, il cardinale formulava una posizione che lui stesso aveva recentemente negato, e più anticamente affermato.
Curiosa oscillazione che avevo registrato nel 2011 e poi nel 2020 e di cui si può leggere in due post pubblicati sul mio blog poco più di 5 anni fa (qui e qui). Perciò prima di leggere le ultime affermazioni, ricostruiamo brevemente la storia di queste precedenti dichiarazioni.
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Nel 2011, quindi dopo soli quattro anni dall’inizio dell’esperienza di “parallelismo rituale”, introdotta avventatamente dal motu proprio Summorum pontificum, e a poca distanza dal documento Universae ecclesiae con cui la Commissione Ecclesia Dei cercava di ampliare le maglie di SP tentando di renderne più facile l’accesso, Kurt Koch interveniva per sottolineare, allora, il valore ecumenico e di riconciliazione di SP e di UE.
Anche alcuni teologi non di seconda fila avevano espresso, negli stessi giorni, un grande entusiasmo verso la “lezione di stile cattolico” che SP e UE avrebbero rappresentato.
Nel 2020, tuttavia, sempre il card. Koch, di fronte all’esperienza negativa che quei nove anni di vita ecclesiale avevano dimostrato, anche contro il suo entusiasmo iniziale, diceva cose molto diverse.
In una dichiarazione diceva infatti che, alla prova dei fatti, nessuna coesistenza tra le due forme rituali poteva portare alle pace (la dichiarazione si può leggere qui).
Parlava di una necessaria riconciliazione, ma senza la possibilità di poter ancora sperare in una “pace liturgica” generata dalla convivenza parallela tra due riti conflittuali. Negli stessi termini, anche quegli stessi teologi, precisavano la mira e prendevano le distanze dai passati entusiasmi.
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Eccoci dunque al 2025. Le parole pronunciate dal card. Koch sembrano dimenticare totalmente ciò che lui prima aveva detto e poi contraddetto, per esperienza negativa.
Koch, forse fidandosi troppo della comune smemoratezza, prova a rilanciare la soluzione del 2011, come se nulla fosse accaduto in 14 anni. Una “impossibile coesistenza” diventa così prospettiva ecumenica di riconciliazione: un salto mortale davvero pericoloso.
Va detto che, quando si pronuncia su questo punto, rispondendo a una domanda specifica, egli precisa di non aver parlato con papa Leone e di esprimere solo il suo giudizio. Ma di quale giudizio si tratta? Di quello del 2011, senza l’esperienza successiva? È possibile aver dimenticato 14 anni di delusioni?
In effetti, nel motivare la sua posizione, egli ripete il sofisma centrale di SP: ciò che è stato sacro nel passato non può non esserlo anche oggi. Ma qui siamo di fronte non alla teologia, ma alla nostalgia. Con la nostalgia non si amministra la Chiesa, ma si alimentano illusioni.
Soprattutto colpisce l’azzeramento dell’esperienza negativa, che lo stesso Koch aveva apertamente ammesso nel 2020 e che ora sembra essere stata improvvisamente dimenticata. Si tratterebbe di “riaprire le porte” che Francesco aveva chiuso.
Questa immagine è grave: non sembra cogliere che non si tratta anzitutto di una questione di disciplina, ma di una dottrina sul valore comunitario dell’atto rituale e della Chiesa che da esso deriva. Questa amnesia sembra inspiegabile. Ma, se Koch si è dimenticato ciò che aveva detto, noi ce lo ricordiamo bene, purtroppo per lui, per fortuna per noi.
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La stessa perplessità sorge leggendo le dichiarazioni che emergono dalla medesima recente intervista a proposito della Nota Fiducia supplicans.
Le difficoltà delle Chiese orientali, così come anche di molte Chiese africane, sulle “aperture” di FS circa le coppie irregolari e omosessuali costituiscono una questione ecclesiale ed ecumenica perché attestano la difficoltà (cattolica e orientale) nel fare i conti con il cambiamento culturale e sociale.
Trovo veramente curioso che il cardinale segnali solo le difficoltà e non le opportunità del documento che, per quanto in modo parziale, è uscito dall’idea dell’“esclusione” dell’irregolarità dalla grazia e dalla benedizione. Su questo ne verbum quidem.
Non si fa buon ecumenismo dando più valore ai pregiudizi che alla grazia. Che cosa avremmo dovuto fare, in passato, sulla schiavitù, sulla guerra, sulla libertà di coscienza? Si può essere ecumenici solo con il principio “quieta non movere”?
Insomma, anche il card. Koch, pur parlando per lo più di prospettive ecumeniche e del rapporto tra papa Leone e le Chiese d’Oriente, non ha colto l’occasione per riferire le cose con la dovuta articolazione, senza semplificare le questioni difficili e senza ignorare le esperienze acquisite.
Se la comunione da mantenere fosse quella del pregiudizio (sulla pretesa antichità intoccabile del VO e sulla extraterritorialità degli irregolari rispetto ad ogni benedizione) il compito ecumenico consisterebbe nell’infilare la testa nella sabbia, come gli struzzi: senza memoria e senza libertà.
- Pubblicato sul blog dell’autore Come se non.






Veramente non avete proprio nulla da fare…
Il marxismo sessantottino finirà o meglio è già finito e rimane ancora presente in qualche esponente che somiglia molto a quel soldato giapponese che dopo la fine della guerra combatteva ancora.
Gamaliele non docet?
Superate molte perplessità vorrei dire la mia con franchezza e con il dovuto rispetto che si deve all’Autore.
Tutti sanno che il Sommo Pontefice Francesco ha sostanzialmente vietato le celebrazioni della Santa Messa secondo l’uso antico con il motu proprio “Traditionis Custodes”.
Il motu proprio del 2021 “Traditionis Custodes” è stato motivato, proprio come fa l’Autore, dal fatto che la convivenza delle due forme rituali fosse stata un’esperienza negativa.
Il particolare “Traditionis Custodes” esplicitamente fa riferimento al fatto che “la Congregazione per la Dottrina della Fede ha svolto una capillare consultazione dei vescovi nel 2020, i cui risultati sono stati ponderatamente considerati alla luce dell’esperienza maturata in questi anni”.
E soprattutto si dice chiaramente che so stati “considerati gli auspici formulati dall’episcopato e ascoltato il parere della Congregazione per la Dottrina della Fede”.
Purtroppo nel 2021 non fu possibile prendere visione degli studi propedeutici della Congregazione per la Dottrina della Fede, studi che oggi sono di dominio pubblico e che evidenziano la buona disposizione di una gran parte dell’episcopato nei confronti della Messa secondo l’uso antico.
Perciò dove è stata vissuta questa esperienza negativa?
Probabilmente occorre maggiore fiducia nel Popolo di Dio e meno clericalismo.
I Preti dovrebbero lasciare liberi i Cattolici di pregare come meglio credono e rendersi disponibili a celebrare, con la dovuta reverenza e con la massima dignità possibile, sia la messa di San Paolo VI sia quella in uso precedentemente.
A quanto se ne sa Giovanni XXIII morì prima della riforma di Paolo VI e celebrò sempre la messa antica, questo non fa di quel papa un pericoloso tradizionalista.
Lo stesso dicasi per tutti i Cattolici morti prima del 26 novembre 1969 e che non hanno mai conosciuto le novità rituali introdotte da Paolo VI.
-A quanto se ne sa Giovanni XXIII morì prima della riforma di Paolo Vi-
Non si comprende l’obiettivo retorico che argomenta questa considerazione. Se Giovanni XXIII non moriva come poteva operare la tale riforma Paolo VI ?
Almeno, eccetto qualche raro evento storico, per essere eletti Papa deve necessariamente morire il precedente.
La “pericolosita’” della Messa Vetus Ordo evocata sempre dai suoi avversari ( e mai provata) per paradosso fa pensare che gli diano piu’ importanza loro che non i fedeli comuni . Conosco molti che vanno tranquillamente nelle loro parrocchie ogni domenica per la Messa Novus Ordo ,ma che non si ritraggono inorriditi se qualche volta si trovano ad assistere ad una Messa Vetus Ordo e anche
il.contrario. il card. Koch probabilmente persona che non e’ attratto da fanatismo ne’ in senso ne nell’ altro.
Sono i cardinali (e i papi) fanatici invece che sono i piu’ pericolosi.
La messa del Vetus orso è diventata attualmente una bandiera ideologica per negare la validità della messa di San Paolo VI, il concilio Vaticano II e il magistero dei papi da San Giovanni XXIII in poi. Io non nego la validità della messa di San Pio V, del Concilio di Trento e del Vaticano I e dei papi precedenti a San Giovanni XXIII. Perché tanta fatica nel riconoscere il Vaticano II? Perché tante reticenze?
Caro Professore, intanto le persone intelligenti ed oneste cambiano idea quando i fatti dimostrano che le proprie idee sono fallaci.
Che la Messa VO sia pienamente conforme alla Santa Dottrina cattolica è evidente a chiunque non pensi che la Chiesa sia nata nel 1962 (queste persone non sono cattoliche ma nemmeno sane di mente).
Poi che un Cardinale per restare in sella ad un incarico prestigioso nell’era di Papa Francesco dovesse esprimere il proprio disprezzo per la Messa di Sempre …ci sta ma nè io ne lei non leggiamo nell’animo delle persone.
Ma lei è mai stato ad un Messa VO?
Ringraziamo il cardinale perché ha un pensiero articolato e adatto a convertirsi ad ogni morte di papa; in fin dei conti la Chiesa è cattolica anche perché in essa c’è posto per le alternanze ideologiche e per la ricchezza di pensieri e di sentimenti.
Può essere considerato apprezzabile l’intervento del professor Grillo in relazione a questi tre momenti da lui colti in ordine alle dichiarazioni del cardinal Koch circa l’applicazione della Santa Messa secondo il messale del 1962.
Tuttavia, onestamente e trasparentemente, occorre anche considerare due aspetti che, ammesso che sia necessario, sono, a parere mio, fondamentali e che sollevano il Prefetto della dicastero per l’unita’ dei cristiani da qualsiasi taccia di incoerenza. In primo luogo, penso che le affermazioni del cardinal Koch debbano essere lette contestualizzandole alla data nelle quali sono state formulate.
A fronte di una sostanziale omogeneità della prima e dell’ultima dichiarazione, la seconda si cala in un contesto ecclesiale che, stante il pontificato all’epoca in atto, aveva determinato, non sicuramente per responsabilità di quello che viene definito il mondo tradizionalista (caratterizzato, peraltro, da molteplici realta’ che non sempre vengono adeguatamente considerate e differenziate quando si parla di questo mondo), indubbi momenti di tensione.
… la cui responsabilità, lo ripeto, non era imputabile al mondo della tradizione in comunione con Roma (Fraternita’ di San Pio X compresa), bensì ad altri ambienti; penso che si possa capire quali siano questi ambienti.
Del resto, anche le recenti rivelazioni circa la valutazione del noto sondaggio del 2020 effettuata da diversi dicasteri della Santa Sede e poi risoltasi nelle disposizioni attuative di “Traditionis custodes” evidenziano come il 2021 sia stato un anno di forte criticità …
L’intento del cardinal Koch, penso quindi che sia quello di contribuire a quella pace da subito invocata dal Santo Padre Leone XIV.
Proprio quest’ultimo aspetto ci aiuta a comprendere l’ulteriore che rileva in questo contesto, ovvero il fatto che, al momento, il cardinal Koch è il prefetto di un dicastero della Santa Sede.
Concludo quindi rilevando come al Prefetto del dicastero per l’unità dei cristiani sia piuttosto imputabile la giusta responsabilità di saper e di aver saputo cogliere “i segni dei tempi“.
Infine, mi preme sollecitare l’attenzione sul fatto per il quale un giusto approccio alla questione della celebrazione della Santa Messa secondo il messale del 1962, ove affrontata esclusivamente sotto il profilo strettamente teologico, sarebbe affrontata in maniera incompleta, atteso che sono proprio quei “segni dei tempi” che parlano circa la bontà, vitalità, testimonianza e gioia che derivano a coloro che assistono alla Santa Messa secondo il messale del 1962 e alle realtà/comunità che la vivono quotidianamente.
Grazie a tutti.
Molta politica, altrettanta polemica
Ma durante i giorni prima del Conclave, non ne hanno parlato? A volte l’impressione è che cardinali/vescovi/preti (anche suore) vivano in un mondo parallelo e non si accorgano delle corbellerie che dicono. Questo in generale. Nello specifico sono d’accordo: il cardinale ha una comprensione liturgica proprio limitata. E fa il cardinale. Anche i cardinali dovrebbero frequentare un corso di aggiornamento teologico-liturgico ogni tanto, magari a punteggio, così in caso di Conclave si sa di più sulla loro preparazione. Non parliamo poi di arcivescovi/vescovi/preti: dovrebbero frequentare corsi obbligatori di buona educazione e di come costruire sane relazioni interpersonali (a quel punto, molti se ne andrebbero, con buona fortuna di tanti laici che sono costretti a sopportarli…).
Mah, alla fine a me pare molto chiaro che i rapporti con il mondo più o meno apertamente tradizionalista vadano visti in termini ecumenici: una forma di dialogo verso comunità che oscillano spesso ai bordi. Poi ognuno si sceglie i bordi e i dialoghi che preferisce, la Chiesa intesa come comunità dovrebbe limitarsi a parlare con tutti..
Mai letta la storia della pagliuzza e della trave?