
La lettura del bel testo pubblicato da Severino Dianich su SettimanaNews mi pare che possa suscitare un giusto interesse a indagare una serie di questioni diverse, che è necessario porre con chiarezza all’attuale coscienza ecclesiale. Si tratta di domande che riguardano non soltanto la fede, ma anche il ruolo che i riti hanno per la fede e lo spazio che la vita morale svolge in rapporto alla parola della Scrittura e alla regolata devozione dei cristiani.
Potremmo dire che le parole di Severino si collocano, in modo efficacissimo, in quel «triangolo dell’esperienza» ai cui vertici stanno la Scrittura, i Sacramenti e l’Etica. La nostra vita di fede non è lineare, non è semplicemente l’applicazione di nozioni apprese, ma ha la forma di un dono da ricevere, per entrare a nostra volta nel controdono: il dono della Parola, che viene ricevuto nel Sacramento e diventa controdono nella vita per l’altro.
Di fronte a questa raffigurazione, che prendo da un altro teologo esperto come Chauvet, e che risulta un poco diversa da quella che Dianich usa nel suo testo, ci chiediamo: quale ruolo gioca il sacrificio? Non è solo un contenuto della Scrittura, non è solo un atto rituale e non è solo una determinazione morale, ma è, allo stesso tempo, tutte e tre queste cose. Per questo motivo molte delle parole che Severino ha scritto devono essere considerate assai preziose, anche quando non vengano ritenute definitive o risolutive. Vorrei valorizzarne tre.
La parola «sacrificio» e il suo paradosso cristiano
Tra le prime cose che leggiamo nel suo articolo, una è particolarmente preziosa: il termine «sacrificio» nel nostro modo di parlare non ha immediatamente un significato religioso (o sacro), ma ha assunto un significato ordinario (o profano). Non indica anzitutto un «atto rituale», ma una «determinazione morale».
È evidente che questa costatazione di Dianich riposa, da un lato, sul piano del senso comune. Si riferisce, infatti, a domande di significato del termine rivolte alle persone «della strada». D’altra parte egli tiene conto, come emerge con chiarezza dall’ultima parte del testo, del contenuto espresso dalla tradizione neotestamentaria (non senza anticipo nella anticotestamentaria), che rilegge profeticamente il termine sacrificio, con rivoluzionaria libertà.
Al centro della questione vi è, evidentemente, un grande paradosso. Noi possiamo parlare di sacrificio in senso religioso, ma lo riferiamo a un Signore, che è, allo stesso tempo, sacerdote, vittima, altare e tempio. Ciò che una nozione elementare di sacrificio chiede di distinguere, in Cristo appare indiviso. Perciò ognuna di queste parole (sacrificio, sacerdote, altare e tempio) non si usano più in senso proprio, ma in senso nuovo.
Questo, però, non è il frutto semplicemente di una evidenza della Scrittura, ma anche di una «recezione rituale» e di una «pratica esistenziale». Di qui emerge, con urgenza, la seconda bella osservazione che leggiamo in Dianich.
La parola «sacrificio» nel Messale Romano
Una questione diversa, per certi versi più semplice, ma istituzionalmente molto più delicata, è la scelta di forzare la lingua italiana nella traduzione del testo latino, utilizzando il termine «sacrificio» molto più ampiamente di quanto non faccia l’originale latino. A questo proposito occorre chiarire due problemi differenti.
Da un lato, non c’è dubbio che il linguaggio ecclesiale cattolico sia ancora segnato dall’uso apologetico in funzione anti-protestante. Si deve ricordare che la decisione di tradurre in italiano (e solo in italiano) «quod pro vobis tradetur» con «offerto in sacrificio per voi» è stata presa, da parte degli esperti (e dai pastori) di fine anni Sessanta, in funzione esplicitamente antiprotestante. Non ha di per sé alcuna giustificazione testuale. La parola «sacrificio», perciò, funziona ancora come una sorta di «tessera», a garanzia dell’dentità cattolica, anche quando non se ne capisce il significato o se ne abusa.
D’altro lato, proprio questa inflazione di usi di «sacrificio» (per tradurre parole latine come devotio, oblatio o servitium) mostra il lato ideologico delle teorie sulla traduzione dei testi latini, che sono state diffuse irresponsabilmente nella Chiesa negli ultimi 20 anni. Si chiede assoluta fedeltà al testo originale, ma poi si procede con altrettanta assoluta libertà quando fa comodo.
L’ultima traduzione del Messale Romano attesta bene il prevalere di questa soluzione ancora apologetica e senza vero interesse per il ruolo che il rito svolge, ma riducibile apologeticamente a «custodia della dottrina». La liturgia è anche fonte di dottrina, purché bene intesa. Di qui l’ultimo punto interessante.
La mediazione rituale del «sacrificio abolito»
Il terzo aspetto che merita di essere valorizzato consiste proprio nel rileggere la funzione della mediazione rituale del sacrificio. Essa si collega perfettamente alla conclusione del testo di Dianich: fare della vita un dono per l’altro è un dato solennemente messo in scena (ossia rappresentato e ripresentato) dalla Cena del Signore. Pane e vino sono «offerti, benedetti, spezzati, dati e consumati».
La risignificazione del sacrificio in Cristo passa non solo attraverso un sorprendente testo biblico, o per azioni singolari di vita donata, ma anche per un «rito eucaristico» che ha nel «consumo-comunione» il suo luogo di maggiore evidenza ed efficacia. Il Corpo di Cristo sacramentale, non per essere conservato, ma per essere consumato, diventa perciò Corpo di Cristo ecclesiale.
La parziale conservazione è giustificata solo dalla assenza o dalla malattia di alcuni: non ha in sé una ragione essenziale. Una messa che diventa «atto del solo sacerdote» e il cui risultato sono «particole nel tabernacolo» non è coerente con il senso paradossale e originario del «sacrificio eucaristico». L’eucaristia può essere sacrificio solo se è attestazione di comunione con il Signore in una vita donata, per lui, con lui e in lui.
Per questo la «sostanza» del corpo di Cristo porta con sé questo stesso paradosso: pur essendo definita sostanza, non è «in sé», ma «per altro». Strana sostanza, come strano è il sacrificio, strano il sacerdote, strana è la vittima, strano l’altare e strano il tempio. Il rito eucaristico al suo centro non ha la consacrazione (che è solo parte della preghiera eucaristica), ma la comunione.
La Chiesa non può permettersi di separare ciò che nel Signore è stato e resta unito per sempre: Sacerdote, Vittima, Altare e Tempio sono il Corpo di Cristo. Di questo sono figura le «oblate» su cui si rende grazie, non perché restino nella pisside, nel tabernacolo o nell’ostensorio, ma perché siano consumate.
In questo equivoco liturgico (di prassi rituale e di teoria sacramentale incerte sul rapporto non chiarito tra conservare e consumare, tra presenza sacramentale e presenza ecclesiale) si nascondono molte delle ragioni che Dianich ha giustamente sollevato sul piano dell’evidenza biblica e su quello della determinazione esistenziale. Anche l’abolizione del sacrificio ha un suo rito, che possiamo chiamare sacrificio, ma solo a certe condizioni. Ogni abuso verbale o non verbale incide negativamente sulla relazione con il Signore e perciò sulla qualità della vita ecclesiale che si giustifica solo se resta al servizio di questa relazione.
- Pubblicato il 7 Settembre 2025nel blog: Come se non






Come il dono di Massimiliano Kolbe dono irreversibile, asimmetrico unilaterale. Achi pace l’idea della cena pasquale si ricordi l’ammonimento di Gesù di invitare quelli che non possono restituire. Derrida direbbe Confessare l’impossibile
Meglio lasciar perdere le variabili opinioni degli ultimi decenni e ascoltare la verità insegnata dalla Chiesa, della quale siamo membra. Mi sono risolta a cercare bene nel Catechismo: certamente il pane eucaristico viene consacrato affinché i fedeli se ne nutrano, non per riempire stipetti dorati. Proprio perciò le ostie conservate nel tabernacolo restano sempre Corpo di Cristo. Nessuna dialettica: solo un animo polemico la vedrebbe dove non c’è
Anche io ho controllato, ma credo che serva poco dato che il catechismo è considerato un residuato fossile. Onestamente non ho la più pallida idea di come sia il sentire comune ecclesiale sul tabernacolo e la presenza viva, ma devo ammettere che tra una polemica e l’altra che fa passare la voglia, tra la pandemia che ha desertificato la nostra parrocchia e problemi nostri, non mi capita più spesso come prima di andare a messa.
Meglio così..
Meglio cosi?…Mi dispiace la pensi così, i santi di ieri e tutta la chiesa ci insegnano che l’Eucarestia è fonte e culmine della vita della chiesa e nutrimento della nostra vita spirituale. Certo queste sterili polemiche che questi signori innescano con le loro fritte e rifritte riflessioni (roba degli anni 60/70) non aiutano. Ma seguiamo l’esempio dei santi. Ieri il papa l’ho ha ricordato all’omelia, i due nuovi santi frequentavano quotidianamente la celebrazione eucaristica e stavano diverso tempo in adorazione davanti al tabernacolo.
Ma lei si è accorto che qua dentro parlano solo di Papa Francesco? nemmeno fossero i tridentini che sono fermi a Pio XII.. Non me lo aspettavo dai dehoniani, mi sono accorta che non ci si può fidare di nessuno.
Guardi non glielo ha mica detto il dottore di stare qua. La sensazione in realtà è che lei adori scrivere da queste parti. 🙂
Invito il signor Grillo e il signor Dianich a venire in parrocchia a predicare durante l’ora santa pasquale: potranno godere di una bellissima accoglienza da parte delle pie donne della comunità cristiana che frequento. Mi piacerebbe assistere alla scena in cui si rinnoverebbe sicuramente il sacrificio cruento della crocifissione.
Comunione indica chiaramente qualcosa che si fa insieme. Senza comunità ha senso parlare di corpo di Cristo? O è la comunità partecipante alla comunione la vera eucarestia? Non è la chiesa il corpo di Cristo?
La distinzione, circa il Corpo di Cristo sacramentale, fra “non per essere CONSERVATO” e “ma per essere CONSUMATO” è fittizia. Che “consumerebbe” il fedele se l’ostia non “conservasse” realmente il Corpo di Cristo sacramentale? Semplice pane azzimo.
C’è una data di scadenza? O un numero di fedeli minimo?
Consiglio a Grillo di leggere René Girard…magari lui è gli altri capiscono cos’ è sacrificio…..
L’italia è tristemente piena di donne vittime di uomini padroni della loro persona.. spesso anche di donne madri.. con figli che restano soli.. improvvisamente senza genitori.. l’uno ucciso.. l’altro in carcere..
Sono donne che giustamente si sono ribellate ad un uomo padrone.. che non è in grado di controllare la sua reazione nei confronti della propria compagna.. non è stato educato al rispetto.. bensì al possesso.. è una piaga che il mondo si trascina dai primordi.. fino ad influenzare la donna stessa che non ha l’autorevolezza nell’imporre la propria esistenza di persona libera di dire sì e di dire no.. e quando una situazione degenera occorre fare attenzione a non farla degenerare nell’irreparabile.. ecco che la vita può metterti di fronte a una scelta.. e la Fede può dare un senso altissimo alla propria scelta..
La Donna è in grado di fare una scelta di Vita.. ha un’intelligenza affettiva.. emotiva.. che le può permettere di fare una scelta di Fede.. andando oltre l’inimmaginabile.. sa guardare al Trafitto e affidarGli la propria scelta.
I sacrifici di cuore producono frutti più grandi..
si consumano giorno dopo giorno.. in silenzio.. nell’arco di una vita intera.. con Amore e con Fede in Cristo Gesù.. che veglia su queste sofferenze.
Un articolo che nutre molto, grazie. Mi suscita però una domanda: le particole consacrate, che restano nel tabernacolo, sono il Corpo di Cristo, no? La sua presenza sacramentale non viene meno, così come non dipende dalla fede dell’osservatore… Ricordo questo passaggio degli studi all’ISSR, commentando l’ipotesi (erronea, perché insufficiente) della transfinalizzazione
Secondo me un po’ dipende dal significato dell’incarnazione, così come viene vissuto dalla Chiesa Cattolica, rispetto ad altre Chiese protestanti. E vale anche per Acutis, la devozione eucaristica è stata difesa dai gesuiti proprio contro certe dottrini troppo cerebrali e rigorose. Come intendeva Bergoglio quando parlava di poveri come carne di Cristo, non è solo un fatto sentimentale o un invito ad essere eticamente migliori, più a toccare con mano la carne di Cristo.
Io la intendo così, per quel che me ne sono interessata.
Quindi: le ostie custodite nel tabernacolo sono il Corpo di Cristo sì o no?
Secondo me si, però bisognerebbe dare per certo il catechismo. Penso che Grillo mediamente ce l’abbia con l’adorazione che considera una pratica medievale ecc. E’ quello che lo ha spinto a criticare fortemente la canonizzazione di Acutis, l’eucarestia ha senso solo in funzione della comunità. Per me la presenza reale ha senso anche in relazione all’incarnazione stessa, cioè si può dire che precede e sostiene la comunità, non il contrario, ma non ne sono ovviamente certa…
Sarebbe una bella domanda da fare sia al signor Grillo sia a don Dianich, e la risposta sarebbe molto più interessante un vero spartiacque.
Non esistono specie eucaristiche consacrate per la “conservazione”. Anche quelle nel tabernacolo stanno là perché i fedeli possano ricevere la comunione in un secondo tempo. E per quel che mi ricordi io, mi spiace dover far notare che il Corpo di Cristo (che è la Chiesa) non compare sulla terra al suono improvviso della campanella: esiste prima, durante e dopo l’azione liturgica.
Centrato il punto! Grazie Francesco. Rilancio anch’io questo fondamentale interrogativo. Rispondano si o no! Il di più sappiamo da dove viene…
P.s. ma Dianich nel 1989 non sfidò il Papa, insieme a numerosi sedicenti teologi, firmando una lettera di aperta ribellione nei confronti del Magistero?
La chiesa non è mai riuscita a limitarsi all’essenziale. Ha sempre sovraccaricato concetti, comportamenti e idee di cose troppo umane per rimanere credibilitim caduto il rispetto dell’autorità non è rimasto il rispetto dell’autorevolezza perché si è stra detto e straparlato.
Ora purificare i concetti alla luce della parola diventa fondamentale. Oggi spiritualmente si cerca l’essenziale e la semplicità. Le belle chiacchiere e la retorica non interessano più nessuno perché appesantiscono la vita senza dare valore aggiunto. Siamo nel tempo del less is more. O la fede rende migliore la vita oppure meglio lasciar perdere. Esattamente come il matrimonio. Non ti sposi con un rompiscatole.
Nel mondo dove la Perfezione ha trovato la Sua imperfezione nelle creature.. nei cicli vitali.. non è possibile abolire il sacrificio.. ma è possibile gradualmente.. con la clemenza.. la mitezza.. la Grazia.. cambiarlo.. mutarlo in vita.. abolendo la violenza e la morte.. fino a eliminarlo se Dio vorrà.
Tantissimi esempi di vita sono un Sacrificio.. un dono della vita per una persona.. per scelta.. per un atto morale elevato a Dio..
Il cuore consente di dire “No Signore non voglio spargimenti di Sangue.. non voglio scandali di violenze.. accolgo nel Tuo nome.. e dono la mia vita in Vita.. è possibile.. un orizzonte nuovo viene aperto all’infinito.. basta volerlo e avere Fede.. credere che la vita spesa così sia ben spesa.. sia ugualmente.. anzi di più.. Salvezza.. nel nome di Cristo Gesù.. rimanendo nel Suo Amore come il tralcio alla Vite vera.