La rabbia francese

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protesteIn un libro di cui si è parlato anche su Appunti, e che si intitola Vent’anni di rabbia, lo scienziato politico Carlo Invernizzi ha messo questa emozione estrema al centro della maggior parte delle rivolte degli ultimi vent’anni nel mondo intero, dagli Indignados, alle primavere arabe, ai Gilets Jaunes e ne ha dato una spiegazione piuttosto interessante: la rabbia estrema che ha caratterizzato molti di questi movimenti sarebbe motivata da un sentimento di declassamento.

E’ una rabbia di sfigati, di coloro insomma che non sono riusciti ad approfittare del nuovo ordine mondiale, della globalizzazione, delle trasformazioni tecnologiche, economiche e politiche, insomma che preferiscono bloccare tutto piuttosto che andare avanti in un mondo che secondo loro li esclude a priori.

Non so se la tesi sia davvero generalizzabile al mondo intero, ma certo è applicabile in questi ultimi anni alla rabbia francese, quella degli scioperi a oltranza, dei già menzionati Gilets Jaunes del 2018-2019 e oggi del nuovo movimento senza testa Bloquons-tout, letteralmente «blocchiamo tutto» che ricorda la battuta: «Fermate il mondo, voglio scendere».

La Francia è il mio Paese, ci abito da trent’anni ed è sicuramente il Paese che conosco meglio, anche se resto risolutamente italiana (non ho mai preso la cittadinanza) e osservo i suoi abitanti con affetto e con un certo distacco divertito.

In un certo senso, è il Paese più «provinciale» che abbia mai conosciuto. I francesi non parlano l’inglese, non si interessano a nulla che accada fuori dall’Esagono, non si confrontano con gli altri, convinti della loro eccezionalità che li rende incomparabili a qualsiasi altro popolo.

Per esempio, non si rendono assolutamente conto dei loro privilegi, della generosità quasi folle del loro Stato assistenziale, dei ritmi ridicoli di lavoro rispetto agli altri Paesi, delle vacanze interminabili di cui usufruiscono, dei servizi per la salute, per la scuola, per i disoccupati, per gli immigrati, per l’infanzia e tutto il resto.

Non puoi dire a un francese che vada a vedere quel che succede in Spagna, in Italia o in Inghilterra per capire che non è messo così male perché ti dirà che la Francia è un’eccezione e non si può paragonare a nessun altro.

Perché si arrabbiano

I francesi si arrabbiano per tutto. Non so più chi dicesse che «I francesi sono degli italiani di cattivo umore». Ma gli italiani sono in generale più pazienti, meno pronti alla rivoluzione e alla decapitazione delle élite, più fatalisti, anche più sottomessi, anche se ricordo nei primi anni Duemila girotondi e caroselli contro Silvio Berlusconi che sfidavano le rappresentanze politiche (e che ottennero molto poco).

La rabbia francese, che c’è sempre stata, è esplosa in modo preoccupante a partire dal 2018 con il movimento dei Gilets jaunes, che viene lanciato anonimamente in rete e riesce ad organizzare una mobilitazione impressionante, con adesioni provenienti soprattutto dalla provincia peri-urbana francese.

Il motivo della rabbia è una tassa sul carburante adottata come misura ecologica, che fa esplodere le differenze tra campagna, zone peri-urbane e città, le prime due molto più dipendenti dall’automobile per gli spostamenti. I blocchi (tipicamente di strade e di rotonde) e le manifestazioni si moltiplicano ogni sabato fino ad arrivare a Parigi con una violenza inaudita: danni ai monumenti, auto incendiate, minacce di morte e decapitazione per il presidente Emmanuel Macron.

Gilets jaunes sono un successo: le manifestazioni vanno avanti mesi e le rivendicazioni aumentano: ristabilire la tassa patrimoniale, parzialmente eliminata da Macron, giustizia fiscale, migliore livello di vita per le classi popolari e dimissioni di Macron. L’odio per il presidente si è già quindi installato nel 2018, a un anno appena dalla sua prima elezione.

In tanti anni che vivo in Francia non ho mai visto un presidente così odiato. Certo, è arrogante, è un pessimo comunicatore, è la caricatura dell’esponente delle élite liberali (passato da banchiere, esperto di finanza, a suo agio a Davos o in altri circoli esclusivi del potere globale).

Ma il CV di Macron non basta a giustificare l’odio viscerale, l’appello costante alla dimissione e addirittura alla decapitazione. Con l’elezione del 2017, Macron ha rotto l’alternanza tranquilla destra/sinistra che permetteva di sfogare le passioni politiche in parlamento all’interno di un quadro ideologico ben definito. I partiti tradizionali si sono trovati annientati dalla sua nomina.

La lotta si sposta nelle strade, perché nessuno rappresenta più lo scontento dei cittadini.

E poi Macron provoca la rabbia degli sfigati descritta da Invernizzi: gli riesce tutto, è giovane, brillantissimo, elegante nel modo di parlare, a suo agio in inglese e in qualsiasi contesto internazionale, risolutamente liberale in una Francia che sogna ancora una social-democrazia che non può più permettersi. Perché l’invidia è il movente più forte della rabbia.

Il francese ha ideali social-democratici ma invidia le élite culturali, economiche e cittadine: ha gli stessi gusti materiali e simbolici degli alti funzionari che hanno fatto le buone università e abitano nel centro di Parigi.

Chi non è parte delle élite in questo paese si sente frustrato perché vive la sua non-appartenenza come un fallimento: non ce l’ha fatta a entrare nelle grandes-écoles, le università di eccellenza a cui si accede solo per concorso e per entrare bisogna essere i primi della classe, si sente respinto da Parigi, il cuore della Francia, centro economico, politico, culturale che spazza via tutta la provincia (l’Italia in questo è molto più equilibrata e distribuita), diventata troppo cara, si sente abbandonato dal potere centrale che ha preoccupazioni europee e internazionali e distoglie gli occhi dalla provincia.

Gilets Jaunes durarono a lungo, furono in parte repressi dopo un sabato particolarmente violento nel marzo del 2019, ottennero l’eliminazione della tassa sul carburante e si estinsero completamente con l’arrivo del Covid.

Bloccare tutto

Il nuovo movimento Bloquons-tout è fatto a immagine e somiglianza. È partito dal nulla, da qualche appello online, si è rapidamente esteso in tutta la Francia, chiede le dimissioni di Macron e in generale, che tutti vivano felici e contenti, cosa difficile da realizzare mettendo a fuoco e fiamme l’intero Paese.

Gli slogan sono di tutti i tipi: da quello predominante «Macron démission», a Gaza libera, alla tassazione dei più ricchi. Mischiano dunque collera acefala, ideologie virali e richieste serie, come quella della tassazione delle grandi fortune, che è una proposta del partito socialista sostenuta da ottimi economisti (tra i quali il giovane e brillante Gabriel Zucman) e che sicuramente sarà argomento di discussione per il nuovo governo Lecornu.

Ma mettere tutto insieme non è particolarmente utile e se il disordine delle rivendicazioni è accompagnato dal caos e dalla violenza finiranno per ottenere poco, com’è stato per i Gilets Jaunes.

Alcuni video mostrano Jean-Luc Mélenchon e tanti membri della France Insoumise in piazza a manifestare. Benché il movimento, come quello dei Gilets Jaunes, sia stato rivendicato online da molti militanti dell’estrema destra, Marine Le Pen ha avuto il giudizio di non associarsi a questa nuova ondata.

Modello Meloni

La mattina del 10 settembre sono andata a fare la spesa al mercato, come ogni mercoledì, e ho chiacchierato un po’ con i passanti e i venditori, chiedendo loro cosa pensassero di questa nuova mobilitazione.

So che è aneddotico, ma mi è parso interessante discutere con un venditore di frutta e verdura algerino che mi ha detto che secondo lui dovrebbero essere messi tutti in galera, che sono manipolati dai sindacati e che la Francia è nel disastro perché non ha un politico bravo come Giorgia Meloni.

Una signora mi ha detto che se la gente continua così lei alle prossime elezioni vota Le Pen, anche se ha votato socialista per tutta la sua vita. Il clima, insomma, non solo dei parigini del centro, ma anche dei venditori che arrivano la mattina dalla periferia, era: non se ne può più.

Devo dire che anche tra i commentatori politici di questi giorni agitati di caduta di governo, il nome di Giorgia Meloni è sulla bocca di tutti in Francia. Qualcuno che ha saputo unire la destra e dare equilibrio. I francesi pensano seriamente per la prima volta a una coalizione delle destre per uscire da questo interminabile impasse.

Questi movimenti di rabbia non portano mai a casa grandi risultati e invece rischiano di favorire chi richiama all’ordine e all’autorità, in questo caso il Rassemblement National.

Meloni ha «sdoganato» l’estrema destra anche per i francesi, che vedono ora nell’Italia un paradiso di stabilità e crescita. Non un grande risultato.

  • Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 11 settembre 2025

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