
«Corpo e anima per Cartesio / nella ghiandola pineale si toccano, / le mie ossa i muscoli le viscere / incontrano / la mente / altrove / nell’amore / dunque nell’altra, / fuori di me, / vale forse per tutti / lì è davvero / l’epifisi». Sono i piccoli versi di un mio componimento intitolato Ghiandola pineale?
Forse una suggestione poetica del genere, come avviene talora con le immagini oniriche, può spingerci a ricercare il connubio tra corpo e mente anche altrove, rispetto a dove abbiamo provato a cercarlo finora.
È noto come per René Descartes (1596-1650) gli umani consistessero nella res cogitans, loro propria, e nella res extensa, comune con il resto del creato. E tuttavia, a dispetto dell’impostazione dualistica della sua antropologia, non eludeva la questione di un possibile raccordo tra le due res, immaginato nell’epifisi (o ghiandola pineale, appunto, di cui si è di recente tornati a parlare per via della melatonina da essa prodotta).
Del resto, un teologo così essenziale nella storia del pensiero come Agostino d’Ippona (354-430) scorgeva nell’interiorità dell’essere umano l’incontro tra l’anima e Dio.
Vi è, tuttavia, tutto un filone teologico-filosofico mistico volto a sottolineare la dimensione estatica dell’incontro con il divino: come se l’essere umano incontrasse Dio “fuori di sé”, “uscendo da sé”. Si guardi al pensiero fascinoso e complesso di Maestro Eckhart (1260 circa-1328 circa).
Ma che ne è dell’incontro dell’umano con l’umano, di corpo e spirito? Dove può situarsi?
La mia suggestione è che esso non debba necessariamente esser circoscritto – quasi delimitato – dall’epidermide del singolo. Senza con ciò alludere alle concezioni “gruppali” della mente, per le quali è come se vi fosse una mente diffusa che si articola nei singoli. Credo piuttosto che il corpo dell’individuo possa incontrarsi con la sua mente nell’intensità di un rapporto interpersonale che superi le ordinarie “transazioni relazionali” e gli “ordinari scambi” interumani. Può trattarsi della dimensione passionale della vita, legata a slanci passionali di vario tipo: amicali, erotici, culturali (si pensi ad esempio al rapporto tra allievo/a e maestro/a). In una prospettiva di fede, può trattarsi del rapporto tra l’umano e il divino.
Non solo: le due prospettive – secolare e di fede – possono corrispondersi. Emmanuel Levinas (1906-1995), poniamo, sembra scorgere l’Altro nell’altro essere umano, il volto di Dio in quello dell’altro essere umano. Un’opera come Umanesimo dell’altro uomo (1972) potrebbe venir riletta proprio alla luce della nostra suggestione: l’essere umano trova davvero se stesso nell’altro da sé. È nell’altro da sé che mente e corpo si congiungono davvero. È (anche) lì che si situa la ricerca di noi stessi, con le nostre articolazioni, più che in un corpo e in una mente astrattamente intesi.
Ecco, al di fuori di quel protenderci verso l’altro/a da noi la questione del rapporto corpo-mente risulta arida, ardua, astratta. Essa si incarna nell’incontro significativo.






Il dilemma di Cartesio più vero è che la Res Cogitans, intesa come organo “testa”, quando è stato riesumato non è stata trovata insieme alla Res estensa, cioè lo scheletro che la sosteneva perché nella tomba era stata trafugata. Perciò i suoi resti vennero riportati in Francia in condizioni parziali, salvo poi restituire un cranio da Stoccolma dopo qualche secolo con la giustificazione che ne era stato fatto un uso mistico. Però la perplessità sempre vigente è che in lingua Svedese il brindisi, viene detto Skol, cioè. lo stesso di cranio, testa. E non per polisemia se nel mondo barbarico anche la Regina Rosmunda dovette bere dal teschio del padre, secondo le costumanze longobarde., quindi, dal tempo delle caverne i teschi umani, nelle misere civiltà germaniche sono stati pragmaticamente usati come mestoli, scodelle vasi e coppe per bere. Perciò la comparazione del DNA delle due distinte porzioni di Cartesio è ancora attesa, specie in Italia, più attenta alle precisazioni storiche con fiducia che la Francia ne divulghi l’esito.