
Cosa può o cosa potrebbe dire la teologia morale sulla guerra in Ucraina, secondo l’approccio del libro La Gioia della Vita e della discussione di questo testo contenuta nel volume Etica Teologica della Vita? Dopo mons. Vincenzo Paglia (cf. qui su SettimanaNews), abbiamo rivolto la domanda alla teologa francese Marie-Jo Thiel, una degli autori del volume La Gioia della Vita. Un percorso di etica teologica: Scrittura, tradizione, sfide pratiche (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2024). Il testo cui hanno contribuito otto teologi traccia un percorso di etica teologica ed è stato discusso e approfondito nel volume Etica Teologica della Vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2022.
- Gentile Marie-Jo Thiel, cosa può o potrebbe dire la teologia morale sulla guerra in Ucraina, secondo l’approccio del libro La Gioia della Vita e della discussione di questo testo contenuta nel volume Etica Teologica della Vita?
Nel motu proprio Ad promovendam theologiam, papa Francesco ha giustamente sottolineato l’importanza della transdisciplinarietà. Le giustificazioni propriamente teologiche del discernimento etico sono preziose; ricordano l’importanza e la necessaria centralità della pace. Ma questa non cade dal cielo. Deve costruirsi giorno per giorno. In Ucraina, in Medio Oriente e in tutti i luoghi di conflitto.
E per questo l’etica teologica non può restare isolata e rinchiusa in un’auto-referenzialità che conduce all’insignificanza. Deve aprirsi ad altri saperi, in un approccio transdisciplinare dove nessuna scienza dispone della “soluzione” unica, ma dove l’utilizzo di nuove categorie elaborate da altri saperi permette di immaginare e di concretizzare piste per questo lavoro al servizio del processo di pace.
Nell’opera La Gioia della Vita (pubblicata da alcuni teologi nel quadro dell’Accademia Pontificia per la Vita a cui ho partecipato), abbiamo dedicato un intero capitolo (n. 5) all’etica teologica, sottolineando il ruolo di snodo della coscienza e il ruolo della responsabilità. Ma, affinché questi principi siano efficaci, devono basarsi su una «economia dell’altro» (n. 33) e su una «visione globale del mondo» (n. 50).
In breve, la costruzione della pace rientra in una prospettiva globale, che coinvolge non solo le teologie delle religioni, ma anche questioni politiche, ambientali, sociologiche, antropologiche, culturali, psicologiche, economiche, di condivisione delle ricchezze ecc.
Ma che fare, quando uno degli interlocutori non desidera davvero la pace come nel caso dell’Ucraina? Per non peggiorare la situazione, i paesi europei hanno scelto di fare pressione economica. È certamente una via utile per progredire, ma va detto che non è sufficiente.
La fede cristiana dovrebbe svolgere il suo ruolo, ma si nota che gran parte dell’élite ortodossa condivide la linea politica della “Russia di sempre” che non è mai esistita, analogamente a “La Chiesa di sempre”; è uno slogan che rivendicano anche alcuni movimenti identitari per non impegnarsi nelle trasformazioni necessarie.
- E la teologia morale che valutazione potrebbe dare del conflitto in Medio Oriente?
La situazione in Medio Oriente non è più facile. I leaders politici non si assomigliano qui e là? E il popolo ebraico sembra non essere in grado di fermare le politiche del suo Governo a Gaza e nei territori palestinesi occupati. C’è lì – come ha sottolineato il cardinale filippino Pablo Virgilio David – «una terribile contraddizione», poiché queste politiche infliggono a un altro popolo questa guerra di sterminio subìta come quella dei nazisti.
La teologa che sono è sbalordita e scandalizzata da questi bombardamenti che non hanno altro scopo se non distruggere, dai blocchi che affamano una popolazione intera, da quello che sembra opportuno chiamare genocidio. Gaza è diventata un cimitero di innocenti. E molti israeliani oggi manifestano e fanno riferimento alla Shoah denunciando: «Noi eravamo vittime, diventiamo aggressori».
Questo non assolve i terroristi dalle terribili aggressioni che hanno commesso, ma non si può infliggere una punizione collettiva a un popolo che non ha nulla a che fare con questi massacri.
Nella Bibbia, la legge del taglione limitava la vendetta prima che Cristo facesse un passo nuovo con l’amore per i nemici. Né i cristiani né gli ebrei né gli uomini e le donne di buona volontà possono rimanere indifferenti a questi drammi legati a ego umani, predatori e imbrigliati in un sentimento di onnipotenza.
Ma qual è l’atteggiamento giusto? Oltre il divieto di vendetta (perché il compito deve essere assunto dal diritto internazionale), il teologo sottolineerà anche la centralità della questione della terra. Il popolo della Prima Alleanza deve avere la propria terra, ma anche il popolo palestinese.
Il celebre scrittore israeliano, militante della sinistra pacifista, David Grossman, assicura egli stesso in un’intervista a La Repubblica (1° agosto 2025) di restare «disperatamente fedele» all’idea di una soluzione a due Stati, la Palestina e Israele.
- Di fronte alla potenza delle armi che cosa possiamo mettere in campo nei conflitti? Di fronte alle troppe vittime civili, possiamo ancora parlare di «guerra giusta»?
La dottrina della «guerra giusta», basata su un criterio di proporzionalità, ha segnato fortemente il cattolicesimo. Ma in un tempo in cui i metodi bellici, le armi, l’estensione dei conflitti, non avevano nulla a che vedere con ciò che conosciamo oggi. L’uso dei mezzi di distruzione può attualmente mettere in pericolo persino la sopravvivenza della specie umana. E, in generale, nessuna guerra è giusta. Nessuna è innocente. Nessuna risolve i conflitti che devono essere affrontati tramite il dialogo. Giovanni XXIII aveva già messo in discussione il principio della guerra giusta.
La difficoltà risiede nella volontà delle istituzioni di volere una pace giusta, rispettosa dei popoli che devono potersi difendere quando vengono attaccati. Occorre però una riflessione interdisciplinare che permetta di identificare e di promuovere metodi nonviolenti per rispondere alla violenza dell’aggressione.
Nel contesto attuale dei populismi, la questione è cruciale: come rispondere al male delle aggressioni belliche, e soprattutto a un’offensiva ingiusta, unilaterale, senza cadere nel circolo vizioso di tutti i mali della violenza?
La teologia cristiana deve, insieme alle istanze interessate, impegnare la propria ricerca nello sviluppo della pace, nell’educazione nonviolenta, nella mobilitazione internazionale per bloccare le risorse dell’aggressore. Senza dubbio è necessario riflettere ulteriormente sul commercio delle armi e sulla costituzione di una forza militare sovranazionale di pace, sottratta agli Stati individuali.
- In ogni occasione il papa rivolge appelli per la pace. Anche papa Francesco lo ha fatto, in ogni udienza pubblica. Ma i vescovi e i teologi ascoltano questi appelli dei papi?
Non si può dire che i teologi e i responsabili istituzionali della Chiesa non facciano nulla. Già nel 2018, i teologi morali francesi hanno affrontato le «Nuove questioni intorno alla guerra» (Revue d’éthique et de théologie morale, n. 300, settembre 2018).
Il 9 dicembre 2021, l’osservatorio Foi et Culture (OFC), organismo della Conferenza episcopale di Francia, presieduto da Mons. Pascal Wintzer, ha organizzato un convegno Guerra in Europa. La storia come via di riconciliazione. Il contributo cristiano, tema che, secondo la scheda ufficiale, segue l’«invasione russa dell’Ucraina [che] ha risvegliato la realtà bellicista nel continente europeo e impone una rilettura della storia recente».
La rivista E.T. Studies dell’Association européenne de théologie catholique (AETC)/European Society of Catholic Theology (ESCT), ha dedicato un intero numero (14/1, 2023) a Guerre e religioni.
Infine, il cardinale Jean-Marc Aveline, che presiede la Conferenza dei vescovi di Francia dal 1° luglio 2025, ha voluto inaugurare la sua presidenza recandosi con alcuni confratelli a Gaza dal 16 al 20 agosto 2025. Una visita di solidarietà, per incoraggiare e chiedere la pace. Ma queste iniziative restano poco ascoltate e diffuse. Forse perché restano troppo autoreferenziali, e/o perché le guerre non mobilitano molto le volontà e la loro durata esaurisce le forze psicologiche.
- Di fronte ai conflitti, alla fame, alle ingiustizie, alle conseguenze che provocano, non dovrebbe essere proprio la teologia morale la disciplina teologica che raccoglie tutte le altre? Come valuta questa proposta? Non è collegata a quanto si scrive in La Gioia della Vita e in Etica Teologica della Vita?
La teologia cristiana è portatrice di una speranza ancorata in Cristo morto e risorto. Nei diversi contesti di disperazione, quando le tragedie sembrano senza fine, è ancora capace di dire che non è la fine. Nella conferenza stampa dei vescovi francesi a Gaza, il card. Aveline ha concluso con questo messaggio: «Quando tutte le ragioni di sperare scompaiono, resta nel cuore di chi crede in Cristo la speranza della sua risurrezione. Quando tutto crolla, resta la speranza che Dio farà qualcosa». Il padre André Louf, abate del Mont des Cats, scriveva così: «Dio sa fare capolavori con i detriti dei nostri sogni. Ecco la speranza».
Detto questo, ripeto, insieme al papa Francesco, che l’etica teologica deve discernere insieme alle altre discipline interessate che dispongono di saperi complementari, per nutrire insieme la Speranza. E concretizzarla. I teologi che hanno scritto La Gioia della Vita concludono così la loro riflessione: «La fede cristiana non è un prodotto della cultura della vita, ma essa vive volentieri in compagnia della fedeltà tenace alle sue promesse nell’attesa, e perfino contro ogni speranza» (n. 254).
La prof.ssa Marie-Jo Thiel è teologa, medico e docente emerita di Etica e Teologia morale alla Facoltà di Teologia cattolica dell’Università di Strasburgo. Il suo ultimo libro è La grâce et la pesanteur: Le célibat obligatoire des prêtres en question (DDB, 2024).





