
Non sorprende che, quando fu presentata alla stampa la Costituzione Praedicate Evangelium, nel marzo del 2022, fu subito chiaro che, nel testo, per un refuso, si continuava a parlare di “forma straordinaria” del rito romano, nonostante il fatto che, l’anno prima, il magistero avesse provveduto a cancellare quella espressione, con il MP Traditionis custodes.
Ci si rese conto, allora, che occorreva correggere il testo, che evidentemente era stato scritto ancora sotto il regime precedente e non era stato più aggiornato. Così l’espressione scomparve dal testo definitivo.
Poiché, in interviste recenti, ci sono ancora cardinali che utilizzano la espressione “forma straordinaria”, sarà bene precisare che cosa si è inteso con quella espressione e perché oggi non si possa più utilizzarla.
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Il termine “forma straordinaria del rito romano” (che può essere anche detta “uso straordinario del rito romano”) è una locuzione inventata dal MP Summorum Pontificum, che non ha alcun precedente in 2007 anni di storia della Chiesa e della teologia.
Questa è la prima cosa che bisogna riconoscere: per far “rivivere” un uso del rito che il Concilio Vaticano II ha esplicitamente voluto riformare, si è coniato un termine del tutto nuovo e senza precedenti. Prima del 2007, nessun papa, nessun vescovo, nessun teologo aveva mai parlato ufficialmente di “forma straordinaria del rito romano”.
La consapevolezza del fatto che si tratta di una invenzione può aiutare a capire l’audacia e la temerarietà dell’espressione, la sua inaudita novità.
Come si è costruita la locuzione? Credo che il procedimento possa essere così ricostruito. È pacifico, infatti, che, lungo la storia, il rito romano ha assunto diverse forme: in una sostanziale continuità, ha conosciuto diverse discontinuità. Soprattutto ha acquisito, lungo la storia, l’esigenza di una progressiva unità, insieme a una certa differenziazione: epoca carolingia, gregoriana, tridentina e poi epoca del Vaticano II hanno determinato uno sviluppo organico, che, negli anni 60-80 del XX secolo, ha assunto la forma che oggi è vigente.
Di volta in volta, una sola era la forma vigente, e nei trapassi, la forma precedente veniva, lentamente, soppiantata dalla forma successiva. Questo è accaduto anche nell’ultima svolta. Che cosa fa la teoria della “forma straordinaria”? Paralizza la storia. Proprio all’inizio di una “terza generazione” di figli del Vaticano II, prova a bloccare lo sviluppo e a rendere “irreformabile” la forma precedente alla forma vigente.
Essa costruisce e introduce surrettiziamente uno strutturale parallelismo di forme, in cui ad una forma “ordinaria”, che è il frutto dell’evoluzione storica, affianca una “forma strardinaria”, che si pretende di lasciare immobile, ferma, immune dalla storia.
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Questa invenzione, tuttavia, non tiene conto della realtà e introduce una pericolosa finzione. In effetti, questo fu chiaro fin dai primi mesi dopo il luglio del 2007. Si comprese, infatti, che un uso straordinario del rito romano aveva bisogno di punti di riferimento, ma anche di profondi ritocchi.
Il messale del 1962, il rito del matrimonio, della penitenza o della unzione del 1614, erano testi che rispondevano a un altro assetto giuridico e ad una cultura non più in asse con la storia. Fu famosa, e piuttosto penosa, la controversia che si impose subito, su quale dovesse essere la formula della “preghiera per i giudei” del venerdì santo da utilizzare nella forma straordinaria: non più quella del 1962, certo, ma neppure quella del 1969. Così, nel 2008, si scrisse una preghiera per i giudei come se non fosse il 2008, ma ci si trovasse nel 1965…
Lo stesso accadde per il Lezionario, per l’Anno liturgico, per il Santorale… Ci si rese conto che, così com’era, la “forma straordinaria” non poteva stare nella storia, che, nel frattempo, aveva potuto essere considerata e integrata, ma solo nella forma ordinaria!
Fu così che, nel 2020, in piena pandemia, si arrivò al disegno folle di “riformare il rito straordinario”: fu questa, forse, la goccia che fece traboccare il bicchiere, insieme alle pretese, da parte dei (vescovi) tradizionalisti americani, di celebrare il Triduo Pasquale secondo il rito “superstraordinario” precedente non alla riforma del Vaticano II, ma a quella di Pio XII. Il bicchiere fu colmo e si arrivò, nel giro di un anno a Traditionis Custodes, ossia alla fine della finzione, alla fine della “forma straordinaria”.
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La forma straordinaria non esiste. Il rito romano ha solo una forma, che, nel tempo, evolve. Chi vuole stare nella storia, «quella vera, non curiosa», ha solo una forma con cui confrontarsi, non due parallele. Una sola è la lex orandi. In quella lex ognuno farà valere le sue sensibilità e le sue prospettive: può farlo, perché la lex orandi che vige dopo il Vaticano II è molto più elastica e duttile della precedente. Una Chiesa con due forme parallele, di cui una è nata per riformare l’altra, inevitabilmente si spacca in due fazioni.
Solo un’unica liturgia comune, capace di ospitare al proprio interno tante sensibilità diverse, può garantire un cammino di vera unità. Per questo non solo nei documenti ufficiali, ma anche nelle parole dei cardinali, l’uso dell’espressione “forma straordinaria del rito romano” è il segnale di una grave incomprensione.
L’argomentazione su cui si basava quella espressione era un sofisma, mediante il quale si faceva diventare contemporaneo quello che era stato successivo, pretendendo così di fermare la storia. Uscire da quella terminologia è un modo di non alimentare illusioni. E di non costruire finzioni che abilitano qualcuno a poter pensare che la liturgia possa essere immunizzata dalla storia, una volta per tutte.
La liturgia interrompe la storia, ma resta sempre bisognosa di precisazione, di orientamento, di sintonizzazione storica. Non con la velocità della cronaca, ma con il ritmo lento della coscienza che matura. Il rito romano esiste in diverse forme storiche, di cui solo una è quella di volta in volta vigente. Così è sempre stato e così sempre sarà.
- Pubblicato sul blog dell’autore Come se non (qui).






A mettere in crisi la Fede dei protestanti tedeschi bastava la corrente elettrica, non servivano le particelle sub-atomiche…
Propongo una cosa molto semplice. Come esistono i riti orientali e il rito ambrosiano, il papa dovrebbe creare per tutti i tradizionalisti un rito tradizionale da mantenere in comunione con hai altri riti. Lo chiamerei semplicemente Rito Tridentino..
Da organizzare con i seguenti criteri,:
– estensione in tutto l’occidente con suddivisione territoriale in aree geografiche analoghe, nazioni, provincie, etc.
-gerarchia propria : arcivescovo capo rito , possibilmente cardinale, vescovi, vicari generali, presbiteri. Famiglie religiose maschili e femminili
– seminari e case di noviziato proprie
– esercizio del culto in Chiese, santuari , cappelle totalmente dipendenti dal capo rito
– obbligo della tonsura, della talare, del velo totale come in uso sino al CVII e concessione di tutti gli abiti, paramenti sacri, accessori e suppellettili in vigore fino ad allora
– unico obbligo per tutto il presbiterio, una dichiarazione pubblica davanti al Papa di obbedienza e accettazione degli insegnamenti della chiesa e dei Papi, da Paolo sesto a Francesco
Fatto questo passo chiarificatore, non ci dovranno essere più critiche feroci da parte loro se un prete non porta la talare o benedice individualmente due omosessuali secondo FS. Anzi essendo il riti latino diverso dal tridentino magari, senza troppo strepito si potrà togliere l’obbligo di celibato. I fedeli non avranno a dolersene, perché potranno transitare semplicità nel rito Tridentino. Quindi meglio divisi ma contenti
i riti orientali, come quello ambrosiano, hanno tradizioni storiche proprie di secoli, mentre i “tradizionalisti” hanno solo la pretesa di essere loro i veri portatori della “tradizione”, dimostrando uno scarso interesse nei confronti del popolo che segue il rito e una certa compiacenza nel far parte di una elite di “migliori” , unica che capisce qualcosa del rito incomprensibile ai più. Va da se che una roba cosi egoista e priva di umiltà si pone da se stessa fuori da ogni logica eclesiale.
Nella diatriba che contrappone i nostalgici della Messa di Pio V e coloro che invece apprezzano il nuovo rito scaturito dal Concilio Vaticano II mi pare che si ignori uno degli aspetti più innovativi e importanti della riforma e cioè la ricchezza delle letture bibliche (pensiamo solo alla lettura completa dei quattro Vangeli nel corso di tre anni) e il fatto che, essendo tradotte in lingua volgare, sono da tutti comprese. La Parola di Dio ha finalmente ottenuto il riconoscimento del suo ruolo essenziale. Vi pare poco?
Non ho la competenza per discutere gli aspetti teologici della questione, la mia sarà la riflessione di un cristiano qualunque, anzi di un “aspirante” cristiano . Sono nato e cresciuto con la messa in latino, di cui, nonostante abbia frequentato il liceo classico, capivo ben poco, pur assistendovi con devozione; abitavo, poi, in un piccolo paese in cui il tasso di scolarizzazione era bassissimo, per cui, nella sostanza, la massa dei fedeli, del rito che si svolgeva davanti ai loro occhi, comprendeva poco o nulla. Sulla base di queste elementari considerazioni, mi chiedo come è possibile rimpiangere la messa in latino. Non che, anche adesso, sia tutto chiarissimo a tutti però, quantomeno, si capiscono le parole che si dicono, sia quelle del celebrante che quelle dei fedeli
Esisteva già alla sua epoca il messalino bilingue…ma poi, cosa intendiamo per “comprensione” e “partecipazione” alla Messa? Potremo mai capire fino in fondo il misterioso rinnovarsi del Santo Sacrificio di Cristo, anche con una comprensione letterale del rito? Partecipazione attivistica al rito, cioè riempire ogni istante di gesti, parole, azioni, servizi su e giù dal presbiterio o partecipazione spirituale,che richiede, più che parole ed azioni, silenzio, adorazione, preghiera?
Parliamo di due mondi diversi e , dalla lettura dei suoi interventi, mi pare che lei sia graniticamente convinto che solo il suo sia quello “buono”. E poi, lei ha mai assistito alla messa solenne di una volta? Le sembra che ci fosse silenzio?
Perlomeno il saluto non era “buona domenica e buon pranzo…”
Per motivi anagrafici (sono classe 1966) non ho mai potuto assistere alla Messa antica ante 1965, ma so che spesso il rito era celebrato in modo affrettato e sciatto…del resto, se i preti avessero amato la Messa, non avrebbero avuto bisogno di rivoluzionarla…
Crisi e decadenza erano presenti nella Chiesa ben prima del CV II, su questo non ci sono dubbi, ma la rivoluzione liturgica ha risolto forse la crisi?
Piuttosto, signor Croce, ha mai assistito alla Messa Vetus Ordo nei nostri anni?
No, grazie. E lei ha mai assistito ad un pontificale officiato con il vecchio rito? Le assicuro che è quanto di più distante possa esserci dallo spirito del Vangelo, uno sfarzo in linea con il chilometrico strascico rosso della cappa magna usata dal cardinale Burke: la vera Chiesa “trionfante”, fiera nemica della Chiesa “pellegrina” del Vaticano II, i cui sacerdoti salutano anche augurando “buona domenica e buon pranzo”, come probabilmente faceva Gesù quando mangiava con “pubblicani e i peccatori”. La saluto cordialmente, caro Giambattista e la ringrazio per questo scambio di idee
Io ho assistito alla Forma Straordinaria assiduamente per alcuni anni fino al 2014, e poi saltuariamente fino alla pandemia
Sinceramente ho notato anche io problemi di sciatteria e frettolositá in alcuni celebranti, come invece ho potuto apprezzare preti devoti e seri.
Direi però il problema del celebrare male e tanto per fare esiste anche nel Nuovo Rito.
Comunque alla fine penso che non esiste un solo tipo di persona, ed ognuno potrebbe andare dove può trovare miglior giovamento, nel mutuo rispetto e nella Carità fraterna
Io ho assistito al pontificale di Mons Fellay a Silea nel 2014 e, pur riconoscendo una certa pomposità, eravamo a un livello ben diverso dai pontificali del cardinal Burke: buona parte dei ‘chierichetti’ erano persone delle cappelle venete e, tenendo conto che avevamo fatto le prove poco prima, ci siamo destreggiati bene (soprattutto nella fase critica del ‘togliere e mettere la mitra al vescovo’)
Non eravamo mica come quei pontificali dove, strascico a parte, c’è il paggio rinascimentale che tiene il cappello al vescovo!
Anche la messa conciliare è in latino, basta vedere la messa domenicale del Papa. E’ in latino perchè è la lingua ufficiale della Chiesa ed è comprensibile da tutti i cristiani. La messa in forma straordinaria non è diversa solo per la lingua ma anche per altre caratteristiche. (ad esempio il sacerdote non guarda l’assemblea.) Grillo ha ragione a dire che ne scaturiscono due teologie ecclesiali diverse ma dimentica che paradossalmente è stato proprio il Vaticano II a spingere per un maggior decentramento (anche liturgico) da Roma. Cioè in pratica il rito preconciliare è stato universalizzato proprio dal concilio di Trento, mentre il VatII ha favorito (con il suo pluralismo) la normalizzazione del rito antico.
Quanto a convinzioni granitiche, vedo che anche lei non è secondo a nessuno… ad ognuno la sua Religione…Tante buone cose.
il vocabolario definisce i termini… comprensione, è abbastanza ovvio, nessuno che non parli il latino eclesiastico capisce qualcosa di quello che legge il prete se parla in latino. partecipazione è altrettanto semplice, se non si capisce niente non si può nemmeno prestare attenzione, senza contare che un prete che parla al muro non è nemmeno visibile, non è un caso che gli uomini entrassero in chiesa giusto per l’ eucarestia, mentre le donne facevano altro, tipo recitare il rosario durante la messa.. Io ancora ricordo la vecchietta che durante l’ adorazione cantava il tantum Ergo Sacramentum traslitterandolo in canta il merlo sul frumento… senza contare che la messa è una cena, in una cena si sta insieme, si parla, si comunica tutti, si partecipa assieme all’ ospite, che cena è mai se l’ ospite non si fa vedere, se i convitati sono fuori dalla sala? Cristo non è venuto nel mondo per farsi adorare come facevano gli dei pagani, è venuto per stare in mezzo alla gente, per mangiare con loro siano prostitute o ladroni, pubblicani, lebbrosi, i gesti di Gesu erano tutti compresi dai piccoli che li ricevevano, solo gli scribi e i farisei e i sacerdoti del tempio non capivano che era il Dio con noi, ecco perchè oggi è insostenibile la messa pre conciliare.
TC afferma con molta onestà che il Vetus Ordo non esprime più la “Lex orandi” della Chiesa. Dato che ogni rito è espressione visibile di una sottostante teologia ed ecclesiologia (lex credendi) ,dovremmo concludere che la lex credendi della Chiesa visibile di oggi ha ben poco in comune con la Fede di don Bosco, san Filippo Neri, san Francesco. Dovremmo ritenerci in “imperfetta comunione” con i Santi del passato? O erano loro, poverini, ad avere una visione ancora rudimentale del cattolicesimo?
È proprio questo il punto.
Benedetto XVI l’ha detto con chiarezza: la Chiesa è una sola, prima e dopo il Concilio Vaticano II, prima e dopo la riforma liturgica perciò ciò che viene dopo si deve interpretare alla luce di quel che si è sempre creduto.
Ovvio corollario è che la messa che si diceva prima della riforma liturgica rimane valida è può sempre essere lecitamente celebrata.
Poi è arrivato Francesco che molto chiaramente ha detto esattamente il contrario: dopo il Vaticano II la chiesa è cambiata, non è più la stessa, la messa nuova è l’unica valida e, sinceramente, non è nemmeno necessaria tanto tutte le religioni sono uguali ed essere cattolico non serve per la salvezza.
La messa in latino secondo il vecchio rito è ormai una bandiera ideologica per negare la messa di San Paolo VI, l’autorità del Vaticano II e la successiva attuazione del Vaticano II.
PS San Paolo VI ha approvato sia la la Costituzione “SACROSANCTUM CONCILIUM” nel 1963 e sia la Costituzione “MISSALE ROMANUM” nel 1969 e quindi sono l’uno l’evoluzione dell’altro.
Consiglio di fare queste tre cose in ordine:
1- assistere ad una messa secondo l’antico uso;
2- leggere “Sacrosanctum Concilium”;
3- assistere ad una messa nuova.
Ecco che la rottura della continuità diventa palese.
I consigli del signor Li Cauzi mi paiono quelli più appropriati. Sottopongo poi all’attenzione del dibattito una constatazione. Controllando le note delle altre tre costituzioni del Concilio Vaticano II (lumen gentium, Dei Verbum e gaudium et spes) capita sovente di ritrovare riferimenti al messale romano, edizione 1962, ovvero quello che oggi viene indicato come quello della forma extra-ordinaria.
Sacrosanctum Concilium è la costituzione della Concilio Vaticano II sulla liturgia e fu la prima, in ordine di tempo, ad essere approvata. Allora viene da chiedersi: se le intenzioni dei padri conciliari erano quelle poi concretizzatesi nel nuovo messale, approvato da Paolo VI, perché richiamare passaggi del messale del 1962 nelle costituzioni conciliari approvate dopo Sacrosanctum Concilium?
Mi si dirà: perché allora il messale di riferimento era quello del 1962.
Non mi pare sia così, perché se i padri conciliari avessero avuto l’intenzione chiara di abbandonare, come è stato fatto, il messale del 1962 per affermare una nuova messa, ben diversa, ci avrebbero pensato due volte prima di richiamare, non solo in Sacrosanctum Concilium, ma anche nelle altre tre costituzioni conciliari, e più volte, il messale del 1962, ovvero quello promulgato da Giovanni XXIII e confermativo di quello riordinato da San PIO V.
“Una sola è la lex orandi”: quella definita da Andrea Grillo. Osi dissentire? In Siberia!
Lo si dica onestamente e si lascino in pace quei quattro gatti che vogliono continuare a credere a ciò in cui hanno creduto san Filippo Neri, don Bosco, san Francesco, tutti coloro che li hanno preceduti, professando la Fede cattolica…
Benedetto XVI, abbastanza denigrato in questo articolo (“regime precedente”), ha ben chiarito che si tratta di un UNICO RITO, nella forma ordinaria e straordinaria. Tra l’altro, purtroppo, non esiste un solo rito ordinario, ma svariati riti, diversi di sacerdote in sacerdote, con invenzioni ed eresie annesse.
Ho letto più volte “Sacrosanctum Concilium” e, frequentando abitualmente le due forme del rito romano, non riesco proprio a capire come si possa fare derivare l’attuale Messa da quel documento.
È una faccenda inspiegabile come si sia potuto violare, in modo tanto palese, l’autorità del Concilio Vaticano II.
E’ evidente che la riforma liturgica montiniana non sia coerente con i dettami del Concilio Vaticano II.
Nulla di quel che accade tutti i giorni nelle nostre chiese è scritto, o anche soltanto adombrato, nel documento conciliare.
È un rito frutto delle scoperte e riflessioni del Movimento Liturgico.
Fenomeno che ha interessato non solo la Chiesa Cattolica, ma tante altre denominazioni cristiane, producendo testi analoghi
Vedi il ‘Common Worship’ della Chiesa d’Inghilterra e il BCP 1979 della Chiesa Episcopale USA
Spettabile Adelmo, comunque i riti sono espressioni esteriori (e già noto come Lei usa il termine “forma” – ordinaria o straordinaria -) quando il movente della volontà è il fine, e, questo, non può essere che raggiungere Dio con la preghiera .
Perciò non è essenziale la diversità del percorso con il quale ci si dirige verso la meta (anche Google-maps oggigiorno se si vuole andare da Catania a Palermo indica percorsi principali ed alternativi da preferire a proprio arbitrio, ed i tempi sono questi anche in Vaticano) ed è indifferente anche una semplice riflessione, solitaria ed in sincero silenzio, che non sfoggiare pubblicamente elevate abilità locutorie. Ravvedo invece più significativo nelle TV vaticane o comunque controllate dalla CEI che tra una Santa Messa ed un Santo Rosario si divulghino pubblicità alle intenzioni carnali delle devote seguaci delle trasmissioni, per prodotti a base di collagene e di acido ialuronico più per il tenimento corporale che dell’anima.
I riti in genere forse si.
Per noi cattolici però la Messa è un’altra faccenda: si tratta del riproporsi del Santo Sacrificio.
Una cosa che ci porta molto vicino a Dio.
Una cosa importantissima, forse la più importante di tutte.
Come replica a questo articolo si vedano articoli in Radio Spada e nel sito della Fsspx dove trovare motivazioni diametralmente opposte a questo articolo, non solo in riferimento all’inutilità palese dell’utilizzo del titolo “forma straordinaria” ma a supporto della irrinunciabilità sostanziale della liturgia antica e di sempre. Gli articoli non costringono la ritualità a fantomatiche esigenze storiche ma sottolineano la discontinuità ed i pericoli introdotti dalla riforma liturgica che vanno ad intaccare la dottrina ed il dogma del Santo Sacrificio del Altare, dai riformatori ai prenotanda alla forma. Da non perdere assolutamente.
Il ragionamento, esimio professore, ha pienamente senso dal suo punto di vista, non lo nego. Mi permetto però di citare due passaggi che mi hanno molto colpito:
1) «”uso straordinario del rito romano” è una locuzione inventata dal MP Summorum Pontificum, che non ha alcun precedente in 2007 anni di storia della Chiesa e della teologia.»
È vero, ma non mi sembra che lei abbia particolare fastidio da altri tipi di “invenzioni senza precedenti” che si vorrebbero nella Chiesa (un esempio, l’ordinazione delle donne)…
2) «Di volta in volta, una sola era la forma vigente, e nei trapassi, la forma precedente veniva, lentamente, soppiantata dalla forma successiva. Questo è accaduto anche nell’ultima svolta.»
Davvero possiamo affermare che nell’ultima riforma del Rito romano le cose siano andate lentamente? A me pare che 1962-1969 siano appena sette anni… per il rito della messa (certo, considerando anche il resto dei rituali arriviamo effettivamente alle porte degli anni ’80, ma non direi che la riforma liturgica abbia quelli al suo centro…). Non mi sembra un tempo di “lento trapasso”, anche partendo eventualmente dalla riforma della Settimana Santa del 1955.
Una riforma del Rito, è evidente, era necessaria. Ma senza dubbio in quegli anni si è proceduto troppo in rottura con la forma anteriore, e quindi la ferita creata è viva ancora oggi creando nuove “rotture”, come lei giustamente fa notare (senza però ammettere un rapporto di causa ed effetto tra le due cose…)
L’autore vuole un’unica liturgia comune, in grado di ospitare tante sensibilità diverse… ma sembra un desiderio complesso da realizzare, perché comunque una qualsiasi liturgia non è neutra ma si porta dietro le idee e le esperienze di coloro che l’hanno redatta!
A meno di non creare una liturgia amorfa e vuota che non dice niente a nessuno e non piace a nessuno.
A questo punto a mio avviso è meglio lasciare una grande libertà liturgica alla gente, ed educare il popolo a trarre giovamento anche dall’assistere a una forma liturgica lontana dalla loro sensibilità.
Questo significa però isolare anche gli assolutisti di qualsiasi forma liturgica, che sia il Novus o il Vetus Ordo.
Accolgo con favore le osservazioni dell’articolista, sebbene che colga molto interessante l’idea della forma straordinaria, perché è una pensata unica, profonda e originale. L’inventore della trovata rivela un acume intellettuale non comune, una capacità eccezionale di risolvere le situazioni che si sono irrigidite. In fin dei conti cosa si è disposti a fare per andare incontro all’altro? A continuare sul “si è sempre fatto così”? O a trovare soluzioni nuove?
Quello che non è stato compreso in tutta questa vicenda, e da entrambe le parti, è stato il fatto che l’amore del prossimo possa anche portare a modificare una disciplina liturgica bimillenaria, pur di far sentire l’altro a casa.
In fin dei conti non saremo giudicati sull’amore?
Va da sé che una forma straordinaria, proprio perché tale, non possa venire sempre accolta e tanto meno applicata, altrimenti diverrebbe ordinaria.
Sono due riti per due religioni diverse.
Concordo! Direi anche un Dio diverso
Già… Quello che ci dovrebbe unire diventa strumento per poter dire di essere diversi…
Saggezza popolare ha sempre sostenuto che un Papa bolla e un Papa sbolla! Francesco non avrà dovuto inventare ma fare un triplo carpiato con avvitamento si per Amoris Laetitia, 1 a 1 e palla al centro…
Vedo un commento che dice: ” sono due riti di due religioni diverse”. Sono perfettamente d’accordo: il rito montiniano ha portato la Messa da sacrificio del Calvario e Cena, concetto anatemizzato dal Concilio di Trento, ha spostato il centro del culto da Dio all’assemblea … è un rito molto lontano dalla teologia cattolica. Comunque la Scrittura dice: ” Dall’albero riconoscere i frutti”. Diocesi di Pavia: 1 seminarista. Altre diocesi il seminario l’hanno già chiuso. Conventi chiusi a decine, ordini religiosi ai minimi termini in tutta Italia, frequenza alla Messa domenicale? Fra 100 anni l’ Occidente sarà musulmano. Grazie Vaticano II per aver smantellato non solo la liturgia, ma la Chiesa in generale. P. S. Ho studiato in un seminario post Vaticano II, ho visto e sentito cose … è me ne sono andato.
Come non condividere il suo pensiero? È la realtà dei fatti a parlare
Perché non ritornare al Concilio di Trento sic et simpliciter?
È qui il problema.
Il Concilio Vaticano II non ha abolito i precedenti né avrebbe potuto farlo.
Sono validi tutti.
La Chiesa è stata fondata da Cristo non da Giovanni XXIII o Paolo VI.
Perciò non si tratta di tornare a Trento ma di rimanerci.
Rimanere a Trento e basta!!
Nel mondo del bosone di Higgs, per dire, noi continueremo a riproporre la teoria geocentrica; e così via… Mah!
Perché fermarsi a Trento? I Novatori del ‘900 hanno avuto la pretesa di tornare all’era delle catacombe ed alle domus ecclesiae….un mondo ricostruito con la fantasia, naturalmente…