
Il prossimo 1° ottobre 2025 ricorrono i 25 anni dalla canonizzazione di Antonino Fantosati, francescano missionario in Cina, vescovo e vicario apostolico dello Hunan meridionale, ucciso nel 1900 durante la rivolta dei «boxers». Riprendiamo un estratto della Prefazione al recente volume di Erica Cecchetti, Antonino Fantosati, un francescano in Cina (1842-1900), Carocci, 2025.
Come qualificare l’operato missionario di Antonino Fantosati (1842-1900), frate minore e vescovo in Cina per oltre un trentennio? E l’interrogativo principale che guida la ricerca di Erica Cecchetti, interessata in particolar modo a comprendere se «la figura di Fantosati possa essere assimilata a quella di un eroe o di un colonizzatore, del “passeur” o del conquistatore».
Se nel suo caso, cioè, si sia prodotta una autentica «ibridazione» delle differenze: un adattamento del messaggio, una sua inculturazione e anche una autentica localizzazione del medesimo. Se il missionario si sia concentrato unicamente sul proselitismo religioso, oppure abbia indirizzato il suo sguardo anche sulla realtà culturale, sociale, politica, economica e ambientale della Cina ottocentesca, protesa alla modernizzazione politico economica e scientifica, complice l’invadenza di una internazionalizzazione imposta dell’imperialismo europeo.
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Come pretendere che non fosse l’interesse economico a dettare l’agenda, non solo delle popolazioni cinesi, bensì degli stessi cristiani, quando a far scuola era lo stesso modello colonialista delle potenze non solo occidentali. Quando, cioè, l’unico scopo della vittoria nipponica del 1894, siglata con l’umiliante trattato di Shimonoseki, cosi come dei continui scontri ingaggiati da Germania, Francia e Gran Bretagna, tra il 1890 e il 1897, consisteva nell’ottenere maggiori concessioni di territorio cinese e conseguenti nuovi profitti commerciali.
E non era forse operazione di esclusivo calcolo economico quanto accaduto dopo soli due anni (1897), in seguito all’uccisione di due missionari tedeschi nel Juye? In contropartita, infatti, la Germania, quindi la Gran Bretagna e infine il Giappone avevano imposto al governo imperiale cinese dei Qing una pesantissima sanzione, consistente nell’ulteriore ampliamento di concessioni territoriali e commerciali.
Questo gioco spietato di scambio di vite umane con acquisizioni di poteri economici con l’andar del tempo si era evoluto in vera e propria strategia diplomatica: le cancellerie europee non solo elevavano l’interesse finanziario al di sopra della vita stessa dei missionari, ma speculavano sulla loro stessa morte – tanto meglio se morte violenta – per imporre al governo cinese sempre maggiori vincoli commerciali.
Tale perverso sistema di approvvigionamento di nuovi vantaggi era giunto al suo culmine proprio in occasione della summenzionata uccisione dei missionari tedeschi Henle e Nies, avvenuta nello stesso Shandong, limitrofo all’Hunan di Fantosati. Il loro sacrificio aveva fruttato alla Germania nientedimeno che il diritto di protettorato su tutta la regione. Il successo della Germania, poi, aveva tracciato la strada ad altre cancellerie europee, come, ad esempio, quella belga: «La morte in condizioni ben curiose di un missionario bavarese ha fruttato alla Germania la nuova colonia di Kiao-tvhow. Ecco allora che l’assassinio più recente di un prete francese nel Kuang-si viene ad offrire alla Francia il privilegio di costruire una strada ferrata da Pakhoi a Nanning-fu, sulla frontiera del Tonchino».
E dunque, continua ancor più cinicamente il medesimo diplomatico, come non predisporsi ai nuovi ingenti vantaggi delle ondate persecutorie annunciate, vittima lo stesso Fantosati:
si ha dunque attualmente un mezzo davvero efficace per ottenere in Cina una colonia, o almeno una concessione a buon mercato: ci costerà unicamente la vita di due o tre missionari, già rassegnati al martirio […], se la vita di due missionari bavaresi ha ottenuto alla Germania lo Shantung e se il sangue di una coppia di giapponesi vale il prezzo di una concessione territoriale accordata all’Impero di Mokado, il Belgio non potrà forse, presentandosi l’occasione opportuna, far valere qualche richiesta analoga?
A disagio fin dall’inizio del suo incarico di vicario dell’Hunan, Fantosati si sente ora del tutto spaesato. Ritiene la situazione irrimediabilmente compromessa. E riproponendo la metafora, a lui cara, della nave che lotta contro i flutti, osa dichiarare naufragio, potendo solamente investire sulla salvezza dell’equipaggio. Perfino i protestanti avrebbero lavorato i cattolici ai fianchi per convincerli della convenienza della «religione della prosperità».
Quanto ai francescani che rinunciano al patrimonio non solo personale, ma anche comunitario, non avrebbero avuto alcun futuro in una missione ormai assoggettata al paradigma della modernità economica. Fantosati, pertanto, non concepisce altra modalità di superare quello spaesamento, se non quella di rassegnare le dimissioni, avendo restituita la liberta di andarsene altrove. Lo avrebbe assistito la speranza di poter almeno tornare a riconoscersi o nella precarietà delle popolazioni contadine delle montagne dell’Hubei o in quella della sua Umbria, ancora sotto l’assedio dell’anticlericalismo aristocratico, ma già accarezzata dalla crescente nuova simpatia verso il poverello d’Assisi, del quale nel 1882 si era osato celebrare il vii centenario della nascita, mettendo tutti d’accordo, al di qua e al di là dei limiti confessionali.
Fantosati scrive ancora una lunga relazione da presentare a Roma per chiedere nuovamente le dimissioni. Intende dimostrare il fallimento di quella sua Chiesa, fornendo ancora maggiori dettagli sulla sua incapacità di riconoscere il Vangelo della giustizia sociale, il tesoro del bene comune: confessione spontanea della débâcle di un cristianesimo schiacciato tra il cinismo di interessi imperialistici e l’esigenza di una popolazione, oppressa da una carenza alimentare e sanitaria insopportabile. Tale popolazione si troverebbe desiderosa, unicamente, di riscatto dall’invadenza coloniale europea, cui vorrebbe sottrarre il segreto di una modernità, ritenuta garante di un riscatto economico.
Interviene poi la nuova inondazione del Fiume Giallo, con la conseguente carestia, che spinge alla rivolta popolare, sempre più intollerante verso i privilegi degli stranieri. Al malcontento si unisce, quindi, il concorso degli intellettuali, che, avvalendosi di simboli religiosi, inventano la demonizzazione degli ufficianti dei culti stranieri, trascinando nella rivolta anche i governatori regionali e la stessa autorità imperiale, giudicati «voltafaccia» dal consesso internazionale.
Nei primi giorni di luglio del 1900, Fantosati cade vittima del furore convulso delle rivolte popolari. Simboli religiosi erano stati impiegati per qualificare sia i rivoltosi – «diavoli impazziti» – sia i missionari europei – «spiriti maligni», ottenendo un conflitto di sguardi, che, almeno fino ad allora, era stato vantaggioso agli europei assai più che alla popolazione cinese. Il vero vincitore, non c’è dubbio, era l’interesse economico del nazionalismo rampante.







Mi è piaciuto leggere di questa esperienza, anche se ammetto che certe parti sembrano un po’ idealizzate. Secondo me è importante raccontare questi viaggi, ma servirebbe più attenzione anche alle difficoltà reali che si incontrano in contesti così diversi.