Il futuro dell’Europa è in Moldavia

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L’altro giorno parlavo con un amico e collega che stimo che sosteneva la tesi che i droni in volo sopra la Polonia non erano russi, o comunque non erano minacciosi. O era un errore di navigazione oppure si trattava di una «false flag», una bandiera finta, le operazioni di auto-sabotaggio che a volte i più cinici tra i governi organizzano per avere la scusa per reagire.

E i droni sulla Danimarca, cioè lo Stato che guida l’alleanza per sostenere la produzione di droni in Ucraina? Anche quelli sospetti, dice il mio amico. Che interesse avrebbe Vladimir Putin a provocare lo scontro?

E gli attacchi informatici agli aeroporti di mezza Europa? Neanche quelli sono russi, assicura il mio amico.

Ora, io non ho grandi certezze nella vita, figurarsi sui droni. Però una sì: è in corso una guerra per l’attenzione nelle nostre democrazie, perfino qui, in Italia, dove le linee tra il vero e il falso si confondono, il verosimile politicamente conveniente diventa una certezza granitica.

È colpa della Russia?

Di sicuro sappiamo che Mosca investe energie e somme crescenti per seminare incertezza nelle democrazie, per generare un clima polarizzato nel quale le narrazioni contrarie a quella di Vladimir Putin diventano immediatamente sospette, da bilanciare con altre di segno opposto.

Domenica (28 settembre) si vota in Moldova, un Paese che ha un po’ meno abitanti del solo comune di Roma, eppure molti lo considerano la prossima Ucraina. O forse una seconda Ucraina, nel senso che già lì si misura lo scontro tra Russia e Occidente, tra puntinismo e democrazia.

Nell’enclave russa della Transnistria, cioè un pezzo di Russia incapsulato nella Moldova, ci sono 1500 soldati russi. E dal Cremlino hanno investito 55 milioni per influenzare le elezioni del 2023 e ben 200 milioni per condizionare quelle del 2024, dove ha comunque vinto – di poco – l’europeista Maia Sandu.

È la Russia a costruire la narrativa dello scontro totale tra Mosca e Bruxelles, anzi tra Mosca e tutto l’Occidente presentato con il volto minaccioso della NATO.

Ma dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022 e la guerra che ne è seguita, i deliri imperialistici di Vladimir Putin sono diventati effettivamente una minaccia esistenziale per l’Unione Europea che non può permettersi di avere l’intero fianco est ostaggio degli umori del dittatore del Cremlino.

Da questa consapevolezza è nato quello che a Bruxelles chiamano «l’imperativo geopolitico» dell’ingresso dell’Ucraina e della Moldova, oltre a vari Paesi dei Balcani, dentro l’Unione europea entro il 2030.

Come Putin ha spinto Finlandia e Svezia a lasciare la neutralità per entrare nella NATO, così ha forzato Bruxelles ad avviare un allargamento che molti considerano prematuro e destabilizzante, addirittura esiziale se l’Unione non riuscisse a riformarsi in modo da gestire un numero ancora maggiore di Stati membri con diritto di veto.

Gli allargamenti vengono sottoposti a referendum negli Stati membri: nessuno finora ha mobilitato le opinioni pubbliche dei Paesi più lontani dalla frontiera russa per spiegare le ragioni dell’ingresso nell’Ue di Paesi come la Moldova. La Russia, invece, sta già facendo la sua campagna referendaria con anni di anticipo, amplifica le narrazioni che spaccano il fronte occidentale, prepara la resistenza per poter poi sostenere che l’eventuale scelta irreversibile dell’Europa – come a Kiev nel 2014 – è il risultato di un colpo di Stato strisciante degli occidentali.

Scrive Ocana Popescu-Zamfir per il Carnegie Endowment for International Peace:

«Le elezioni parlamentari in Moldavia metteranno alla prova la capacità di una piccola e fragile democrazia ai margini dell’UE di mantenere il proprio percorso di riforme mentre respinge una campagna di interferenze su più fronti. La Russia inquadra la scelta come impossibile: o tradire l’identità o tradire la prosperità; o accettare i diktat o accettare l’instabilità; o votare o vedere il proprio voto rubato. La risposta non può essere una propaganda speculare, ma la competenza alla luce del sole: procedure trasparenti, istituzioni credibili, elezioni affidabili e benefici concreti delle riforme».

Le elezioni di domenica in Moldova, insomma, non sono soltanto decisivi per il futuro del piccolo Paese guidato da Maia Sandu. Sono decisive anche per il futuro di tutta l’Europa.

L’analisi di Monica Perosino

Monica Perosino è una giornalista della Stampa che viaggia molto nel fronte Est dell’Europa, per Paesi Edizioni ha pubblicato La neve di Mariupol.

  • Qual è la posta in gioco per il resto d’Europa nelle elezioni di un piccolo Paese come la Moldavia, che neppure appartiene all’Ue?

La Moldova è un paese piccolo, con meno di tre milioni di abitanti, ma in questo momento ha un valore geopolitico enorme. Si trova tra l’Ucraina e la Romania, cioè, in sintesi, tra la guerra e l’Unione Europea. È diventata una sorta di linea di confine avanzata tra due mondi, non solo tra due paesi o due blocchi. Da una parte c’è l’Europa, dall’altra c’è la Russia.

Proprio per questa sua importanza geografica e geopolitica, per la prima volta nella storia dell’Unione Europea i commissari, i funzionari e i politici europei sono scesi in campo accanto alle forze pro-europee. Ricordiamo che la Moldova è candidata a entrare nell’Unione europea.

Questa volta Bruxelles ha scelto di sostenere apertamente la battaglia contro l’ondata di partiti filorussi, vicini al Cremlino, con molte ombre e soprattutto con molti soldi alle spalle.

Le elezioni del 28 settembre non sono solo un test su quanto sia ancora attrattivo il progetto europeo: rappresentano una vera battaglia tra un regime, quello russo, e un gruppo di democrazie che vivono nello Stato di diritto e vogliono continuare a farlo.

Per l’Europa, la Moldova è una linea invalicabile anche per motivi di sicurezza. Confina con l’Ucraina in guerra e ha al suo interno la Transnistria, regione separatista autoproclamatasi indipendente e riconosciuta solo da pochissimi attori, come l’Abkhazia.

Una zona che può diventare un ponte per boicottaggi, azioni di guerra ibrida, propaganda e influenza verso l’Europa. Non è un caso che, come mi ha detto pochi giorni fa Marta Kos, commissaria per l’allargamento, sia la prima volta che l’Europa scende in campo in modo così diretto e attivo. Perché queste elezioni sono il «ground zero» della sfida tra l’Europa e l’espansionismo politico – e in parte anche militare – della Russia.

La Moldova, candidato ufficiale all’ingresso nell’Unione, sarà una cartina di tornasole della compattezza del progetto europeo e avrà un impatto molto forte sul futuro dell’allargamento. In poche parole, non è solo una questione interna che riguarda tre milioni di abitanti: è un banco di prova della capacità dell’Europa di difendersi e di accompagnare le democrazie più fragili che la circondano e che vorrebbero entrare a far parte del suo progetto.

  • La presidente Maia Sandu è stata finora il riferimento per gli europesti nel Paese e per le istituzioni di Bruxelles. Quali sono le sue prospettive, sulla base di quello che sappiamo dai sondaggi, sul possibile esito delle elezioni?

La presidente Maia Sandu resta la figura più forte dell’area pro-europea. Ha costruito l’immagine di una leader onesta, trasparente, vicina alle istituzioni di Bruxelles e ai valori che queste rappresentano. È l’unica capace di offrire un orizzonte più ampio a un paese segnato per anni da corruzione, instabilità e dal rischio delle influenze russe, che – come abbiamo visto anche in altri paesi post-sovietici – mal digeriscono il desiderio di indipendenza.

Negli ultimi mesi, però, i sondaggi registrano un calo della sua popolarità rispetto al momento della vittoria alle presidenziali. Pesano la crisi economica, l’aumento dei prezzi dell’energia – la Moldova era fortemente dipendente da Mosca – e la percezione che le riforme volute dall’Unione Europea procedano lentamente.

La paura più grande, alimentata dalla propaganda russa, è che l’ingresso nell’Unione europea – di cui Maia Sandu è considerata il simbolo – faccia perdere alla Moldova la propria identità. Si insiste sull’idea che Bruxelles non sia in grado di riconoscere tradizioni e specificità di un paese che, essendo piccolo, verrebbe assorbito in un grande calderone politico, perdendo la propria unicità culturale, politica ed economica.

Per Sandu sarà decisivo convincere l’elettorato che l’Europa non è solo una promessa vaga o un ideale, ma una prospettiva concreta di sicurezza, stabilità e soprattutto di crescita economica.

  • La Russia è sempre molto attiva quando ci sono elezioni nei Paesi che considera parte della sua zona di influenza. Anche in Moldova si registrano interferenze?

L’interesse che la Federazione russa nutre nei confronti della Moldova si misura nella quantità e nell’intensità delle azioni mirate a modificare, plasmare e indirizzare il voto. Molte di queste, come ha denunciato la presidente Maia Sandu, sono operazioni illegittime, alimentate da denaro sporco e di chiara provenienza russa.

La Moldova, più ancora forse della Romania, è da tempo il bersaglio privilegiato delle strategie di disinformazione del Cremlino: campagne sui social, sostegno economico e politico ai partiti filorussi – apertamente o indirettamente – fino al finanziamento illecito di movimenti locali. Solo ieri sera le autorità moldave hanno arrestato duecento persone che stavano organizzando manifestazioni artificiali per destabilizzare la campagna elettorale con disordini di piazza.

A questo si aggiunge la questione della Transnistria, regione separatista che ospita ancora truppe russe e resta una leva di destabilizzazione permanente. Non è raro che «sedicenti turisti» russi atterrino all’aeroporto di Chişinău e vengano poi trasferiti in Transnistria, da dove scompaiono.

È quindi molto difficile monitorare i flussi di denaro e persone che sfuggono ai radar delle autorità. Nelle ultime settimane sono aumentate le operazioni ibride: dalla diffusione di fake news sugli aiuti europei ai tentativi di proteste pilotate.

Mosca sa che perdere la Moldova significherebbe vedere un altro Paese ex sovietico scivolare definitivamente verso l’Europa. Inoltre, la Moldova rappresenta un paese ponte tra il fronte ucraino e quello della Nato: accanto c’è la Romania, avamposto del fianco est dell’Alleanza. Per la Russia, sarebbe una perdita enorme.

Alcuni giornalisti moldavi si sono infiltrati in queste reti di manipolazione e hanno documentato i piani di Mosca per organizzare charter aerei dalla Russia, così da mobilitare la diaspora moldava con doppio passaporto e orientare il voto. La diaspora incide infatti tra il 18 e il 20 per cento del risultato finale, spesso a favore dei partiti filorussi.

Sono tutti segnali di quanto la piccola Moldova sia cruciale per la Federazione russa. Ed è vero, come dice Marta Kos, che queste elezioni, apparentemente innocue, potrebbero determinare traiettorie fondamentali non solo per Chişinău, ma per l’assetto complessivo dell’Unione Europea e, in secondo luogo, della NATO.

Il ruolo della diaspora
  • Andrew Wilson, Senior Policy Fellow, ECFR

La Russia sta intervenendo su scala senza precedenti nelle elezioni di quest’anno. Ha riversato risorse in operazioni spesso invisibili di manipolazione online, e le autorità moldave possono soltanto inseguire.

Mosca vuole costruire una cintura di Stati a ovest dell’Ucraina che indebolisca il sostegno globale a Kiev. In questo schema, la Moldova sarebbe un tassello prezioso. Il Paese ha bisogno di un parlamento capace di portare a termine il duro lavoro dell’adesione all’UE nei prossimi quattro anni. Viceversa, l’Ue deve sostenere la Moldova in quel periodo, sia economicamente che politicamente.

Nelle scorse elezioni, il voto della diaspora è stato cruciale. Gli elettori in patria sono meno soddisfatti dopo tre anni di crescita stagnante dal 2022. La Russia ha preso di mira la diaspora online con messaggi del tipo «l’Europa non vi vuole». Il sostegno al partito di Sandu potrebbe non superare questa volta il 90 per cento.

Integrazione vs normalizzazione
  • Kristian Lefdal, Junior Research Fellow, NUPI

Le prossime elezioni parlamentari pongono la Moldova a un crocevia critico, in un panorama politico polarizzato e frammentato, con ancora vivo il ricordo delle presidenziali del 2024. In quella occasione la Russia fu accusata di attacchi informatici, campagne di disinformazione e «compravendita di voti» a favore del Blocco Elettorale Patriottico (BEP), filorusso.

Eppure Maia Sandu ottenne la maggioranza con cinque punti di scarto, grazie ai moldavi all’estero. La preoccupazione principale ora è fino a che punto gli attori ostili riusciranno a condizionare il voto parlamentare.

Le elezioni sono inquadrate come una scelta tra l’approfondimento dell’integrazione europea (sulla base dei termini di Bruxelles o su quelli moldavi) e la normalizzazione dei rapporti con la Russia, in particolare sul fronte energetico. Tuttavia, molti elettori restano nel mezzo, desiderosi di buone relazioni sia con l’UE sia con la Russia. Circa un milione di moldavi possiede passaporto rumeno, con accesso ai benefici dell’UE, mentre il paese dipende ancora dall’energia proveniente dalla regione separatista della Transnistria, sponsorizzata da Mosca, dove si trova la principale centrale elettrica.

Dopo la scadenza, nel gennaio 2025, dell’accordo di transito del gas tra Kiev e Mosca, i prezzi dell’energia sono aumentati, ponendo sia Chişinău sia la Transnistria a un bivio.

Questa dipendenza dal gas russo ridisegna gli equilibri regionali ma allo stesso tempo mantiene aperta la porta verso Bruxelles, rendendo le elezioni decisive per il futuro delle partnership energetiche della Moldova. Inoltre, non va trascurato che l’incapacità di Mosca di garantirsi rotte alternative per l’export di gas verso la Transnistria ha rafforzato il sostegno al pacchetto di aiuti UE da 1,9 miliardi di sterline nella regione.

Per rafforzare la resilienza sociale e contrastare minacce ibride e interferenze, l’UE dovrebbe sostenere iniziative dal basso per la promozione della democrazia, dando alle organizzazioni della società civile un ruolo centrale ai tavoli decisionali. Il successo di questo percorso dipende dalla mobilitazione e dalla partecipazione di base, che possono accrescere la fiducia verticale – e quindi la legittimità – del sistema democratico nel lungo periodo.

Il barometro della resilienza democratica
  • Andreas Lind Kroknes, Advisor, NUPI

Le elezioni in Moldova sono un barometro della resilienza democratica e del potenziale allargamento dell’UE. Non tanto in funzione del risultato finale, quanto della capacità del processo di resistere a massicci tentativi di disinformazione, influenza e coercizione. Questi rischi non sono ipotetici: sono già presenti in numerosi episodi. Se il processo elettorale dovesse essere ulteriormente compromesso, la polarizzazione aumenterebbe e la fiducia si eroderebbe.

Occorre però non confondere automaticamente l’insoddisfazione verso Sandu con una posizione anti-UE. Ridurre le elezioni moldave a una mera scelta geopolitica sarebbe fuorviante. Le riforme promesse dal PAS di Sandu hanno avuto risultati disomogenei, se non fallimentari, e vi è una legittima insoddisfazione dei cittadini verso l’operato complessivo del governo.

La spaccatura tra elettorato filorusso e filoeuropeo riflette un clima politico profondamente polarizzato, caratteristica duratura di questo giovane Stato multi-etnico, sospeso tra storici centri di potere e influenza.

Se il blocco filorusso vincesse, il percorso di integrazione europea perseguito dal PAS si arresterebbe, se non deragliasse del tutto – uno scenario simile a quello della Georgia. Ciò confermerebbe i rischi che l’UE corre quando lega la propria credibilità di allargamento troppo strettamente a un singolo attore politico. Una vittoria filorussa metterebbe in evidenza la fragilità intrinseca del percorso europeo della Moldova e le conseguenze di fondare la narrativa dell’allargamento su basi politiche troppo ristrette, anziché su un consenso trasversale più ampio.

  • Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 27 settembre 2025

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Un commento

  1. Giuseppe 3 ottobre 2025

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