
Elezioni parlamentari in Siria (foto LaPresse).
Siria sempre in bilico, nell’attesa di sempre annunciati segnali di cambio di rotta governativo, anche perché si potrebbe profilare una importante schiarita, da incoraggiare. Cominciamo da qui. Il Senato degli Stati Uniti ha approvato a larga maggioranza il bilancio della difesa che comprende la rimozione entro l’anno delle sanzioni alla Siria, il famoso Cesar Act, che fu varato per contrastare le terribili e sistematiche violazioni dei diritti umani da parte del regime di Assad.
Ora il provvedimento passa alla Camera, dove però tempo addietro lo Speaker della Camera si dichiarò contrario alla trasformazione del bilancio della difesa in una sorta di decreto-omnibus. Dunque non avrebbe ammesso l’introduzione di testi non afferenti. Se confermerà la sua posizione, visto che le sanzioni alla Siria non sono questione attinente alle spese militari, difficilmente il provvedimento potrebbe arrivare sul tavolo di Trump, per la firma definitiva entro l’anno come auspicato.
Va aggiunto che l’attuale formulazione rende non più obblighi ma raccomandazioni le richieste alla Siria di agire in modo conforme ai parametri internazionali raccomandati dalla Casa Bianca, analisi che verrà comunque effettuata su base trimestrale. I negoziati tra Repubblicani e Democratici sono già cominciati.
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Se questo è il fronte delle “buone notizie” per Damasco, è molto ampio quello delle notizie di altro segno. Qui non si può che partire dalla totale distrazione, dei commentatori siriani come di quelli internazionali, dalle elezioni parlamentari che si sarebbero svolte nei giorni trascorsi.
Non si può che usare il condizionale perché non si è potuto votare nelle regioni sotto controllo druso e curdo, per i noti scontri tra governo centrale e autorità locali. Ma anche dove si è votato il voto è stato indiretto. La commissione elettorale centrale, nominata dal governo, ha ricevuto le proposte di candidatura dal territorio e proceduto a nominare diversi di questi come membri di sottocommissioni elettorali; che articolate collegio per collegio si sono riunite e hanno proceduto a scegliere al proprio interno il deputato o i deputati loro spettanti.
Le donne però non hanno raggiunto il quorum prefissato e così dovrebbe essere al-Sharaa stesso, nella quota di deputati che lui è chiamato a nominare, a dover mettere in pratica una “compensazione”.
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Difficilissima rimane poi la situazione con i curdi. La Siria, fortemente legata alla Turchia, vuole ritrovare la sua piena unità territoriale e militare superando la forma di autonomia, amministrativa e militare, creata dai curdi nell’ampio spazio siriano che governano autonomamente nel nord-est, e nella quale vivono con molti arabi.
I curdi insistono per una forma federale, sulla quale le resistenze di Damasco e di Ankara sono nette. L’impressione è che su questo una parte del governo sarebbe più malleabile di un’altra parte, più fermamente centralista.
L’attrito va avanti da mesi e ora scontri armati si sono verificati nella provincia di Aleppo tra esercito e curdi; i leader hanno raggiunto un cessate il fuoco, ma queste zone curde sarebbero ancora sotto assedio: si può uscire ma non rientrare.
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Ma in occasione del cessate il fuoco, governo centrale e leadership curda hanno convenuto sulla necessità di emendare la Dichiarazione Costituzionale che ai curdi non è mai piaciuta da quando al-Sharaa l’ha varata. Limitandosi a questo aspetto specifico potrebbe significare ad esempio un’apertura all’autonomia linguistica, non prevista attualmente.
Dichiarare il curdo, dopo l’arabo, lingua nazionale, sarebbe un passo avanti, magari accompagnato da qualche forma di autonomia amministrativa. Ma il nodo più corposo resta quello dell’inquadramento dei miliziani curdi nell’esercito nazionale: come corpo unico? È la richiesta curda sin qui respinta da Damasco. Le parti a oggi rimangono distanti.
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L’esercito siriano attualmente è addestrato dai turchi, e circola la previsione che giordani e americani verifichino che non vi siano nomi “sensibili” – diciamo jihadisti – tra i quadri militari. Qui interviene il negoziato sul ripristino della linea armistiziale con Israele: per non ritrovarsi i turchi alle porte di casa propria, Israele chiede che i mezzi e gli operativi di Ankara non stazionino al di sotto della città di Hama, nella Siria centrale.
Questa proposta, che sarebbe nell’accordo armistiziale tra Israele e Siria, si somma alla tanto citata e ventilata smilitarizzazione del sud della Siria, richiesta resa più forte dalla ferocia delle violenze commesse contro i drusi, spesso inermi civili, da milizie collegate all’esercito siriano e da alcuni componenti dello stesso.
Ma in un terreno impervio e drammaticamente impoverito come quello del sud siriano la smilitarizzazione secondo alcune fonti potrebbe favorire il ritorno dell’Isis, che qui era presente. Ne dà contro il Syrian Observer. È vero? O è un’esagerazione per dare forza all’esigenza del governo centrale di mantenere una sua presenza non simbolica su tutto il territorio nazionale? Difficile a dirsi. La voce comunque va registrata, l’Isis ha compiuto altre azioni di recente, come l’attentato contro una chiesa di Damasco che ha avuto luogo mesi fa.
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Ma è l’accordo con i curdi, se ci fosse, che potrebbe dare alla Siria il fiato necessario. La revisione della Dichiarazione Costituzionale coinvolge tanti punti importanti e di interesse di tutti. Occorrerebbe probabilmente una discussione più ampia del nuovo Parlamento di nominati, integrato ovviamente da drusi e curdi che non hanno ancora potuto votare.
A suggerire che uno sforzo davvero inclusivo è ciò che serve è lo sciopero degli insegnanti, che per un giorno faranno chiudere le scuole perché la violenza aumenta, come i sequestri di persona. La miseria estrema, in cui quasi tutti i siriani vivono, non è mai volano di serenità sociale e sicurezza.
L’emergenza riguarda tutti, il momento sarebbe quello giusto per coinvolgere, non per arroccarsi. E i recenti massacri di alawiti e drusi certamente pesano ancora, molto.





