
Con curiosità ho letto l’esortazione apostolica di Leone XIV Dilexi te (sull’amore verso i poveri). Ad una prima lettura, le sensazioni sono state di meraviglia. Il papa conosce bene la storia della carità della Chiesa, a partire da Cristo fino ai nostri giorni.
La tesi centrale dell’esortazione è che non è dato l’amore di Dio senza l’amore del prossimo. Sono due amori distinti, ma che si richiamano a vicenda, facendone unità indissolubile.
I cinque capitoli
Tesse il suo scritto con capitoli chiari e organici. Capitolo primo: Alcune parole indispensabili; capitolo secondo: Dio sceglie i poveri; capitolo terzo: Una chiesa per i poveri; capitolo quarto: Una storia che continua; capitolo quinto: Una sfida permanente.
Ripercorre nei secoli le vicende della Chiesa con le sue opere di carità, offrendo le basi della sua lettura sulla Scrittura, per proseguire nell’esame della vita di Cristo, nelle opere caritative, fino alle ultime sfide.
A chiare note, si sottolinea che non può darsi fede senza le opere. «L’Amore per il prossimo rappresenta la prova tangibile dell’autenticità dell’amore di Dio» (n. 26) «Per questa ragione sono raccomandate le opere di misericordia come segno dell’autenticità del culto che, mentre rende lode a Dio, hanno il compito di renderci aperti alla trasformazione che lo Spirito può compiere in noi, affinché diventiamo tutti immagine del Cristo e della sua misericordia verso i più deboli» (n. 27).
Ancora di più: «È un messaggio così chiaro, così diretto, così semplice ed eloquente che nessuna ermeneutica ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo» (n. 31).
Nel testo, dopo aver ricordato le parole di profeti, interpreta la vita di Gesù, non soltanto per le parole trasmesse, ma esaminando la povertà della vita di Cristo (nn. 18-24). Le prime comunità cristiane vivono condividendo i beni con chi non aveva risorse, perché, come dichiarava san Giustino «non si può separare il culto a Dio dall’attenzione dei poveri» (n. 40).
Sono poi citati i padri della Chiesa (s. Giovanni Crisostomo, sant’Agostino), per raccontare le opere misericordiose. E, nel XVI secolo, s. Giovanni di Dio, s. Camillo de Lellis, s. Vincenzo de’ Paoli (nn. 49-52).
Un capitolo a parte è dedicato alla vita monastica: san Basilio, s. Benedetto, i Trinitari, i Mercedari, con le loro opere che hanno riguardato la cura della natura, dei malati, della liberazione dei prigionieri.
Non potevano mancare i testimoni della povertà evangelica (s. Francesco, s. Chiara, s. Domenico) (nn. 63-67) e quanti hanno risposto alla povertà educativa, da san Giovanni Battista Scalabrini fino a s. Giovanni Bosco. (63-75) In ultimo, è citata madre Teresa di Calcutta dedita agli ultimi, insieme ai movimenti popolari (n.77- 79).
Nei capitoli quarto e quinto si affronta la situazione odierna. Richiama la dottrina sociale della Chiesa, citando la Rerum novarum, per ricordare il Vaticano II, soffermandosi sul discorso del card. Lercaro del 6 dicembre 1962: «Il mistero di Cristo nella Chiesa è sempre stato ed è, ma oggi lo è particolarmente, il mistero di Cristo nei poveri» (n. 84).
Ricorda Paolo VI nella seconda sessione del Concilio e la Costituzione pastorale Gaudium et spes.
Ricorda anche san Giovanni Paolo II (enciclica Sollicitudo rei socialis) e Benedetto XVI (enciclica Caritas in veritate) (nn. 86-87).
Affermazioni pregnanti
Per illustrare la situazione nei tempi recenti cita Medellin (Puebla, Santo Domingo, Aparecida). Ricorda le strutture di peccato e denuncia la “dittatura di un’economia che uccide”. Continua con papa Francesco ricorrendo a Evangelii gaudium e ai documenti dell’episcopato latino-americano.
Lo scopo del ricordo bimillenario dell’azione della Chiesa è il seguente: «La cura dei poveri fa parte della grande tradizione della Chiesa, come un faro di luce che, dal Vangelo in poi, ha illuminato i cuori e i passi dei cristiani di ogni tempo. Pertanto dobbiamo sentire l’urgenza di invitare tutti a immettersi in questo fiume di luce e di vita che proviene dal riconoscimento di Cristo nel volto dei bisognosi e dei sofferenti.
L’amore per i poveri è elemento essenziale della storia di Dio con noi e, dal cuore stesso della Chiesa, prorompe come un continuo appello ai cuori dei credenti, sia delle comunità che dei singoli fedeli» (n. 103).
Più sotto l’esortazione chiarisce: «Il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una “questione familiare”. Sono dei nostri. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o ad un officio della Chiesa» (n. 104).
Ritorna l’appello al “buon samaritano” per condannare l’indifferenza (nn. 106-107).
Altro richiamo indicato è il povero Lazzaro. Citando san Gregorio Magno si ricorda: «Ogni giorno possiamo trovare Lazzaro se lo cerchiamo e ogni giorno ci imbattiamo in lui, anche senza metterci a cercarlo» (n. 108). L’indicazione forte dell’esortazione: «La realtà è che i poveri per i cristiani non sono una categoria sociologica, ma la stessa carne di Cristo».
«Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretende di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali e critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde e con discorsi vuoti» (n. 113 cit. ripresa da Evangelii gaudium).
Altra affermazione illuminante: «L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria» (n. 127). Continua la critica a chi afferma: «C’è chi continua a dire che il nostro compito è di pregare e di insegnare la vera dottrina».
Una particolarità dell’esortazione di Leone XIV è l’attenzione all’elemosina (nn. 116-121). Essa è interpretata come l’avvicinarsi a chi è povero: «Non sarà la soluzione alla povertà del mondo, che va cercata con intelligenza, tenacia, impegno sociale. Ma noi abbiamo bisogno di esercitarci all’elemosina per toccare la carne sofferente dei poveri» (n. 119).
Alcune annotazioni
L’esortazione apostolica di Leone XIV è di grande valore, perché interpreta la povertà non come virtù o come azione, ma come elemento costitutivo dell’essere cristiano. L’attenzione è posta, ad iniziare da Cristo, ai padri della Chiesa, alle primitive comunità cristiane, alle opere antiche e recenti di carità, coniugando la vita con la santità.
Cristo è povero, il cristiano autentico non può scindere culto e azione caritatevole, preghiera e azione. Non a caso si citano vite dei monaci, dei santi, di quanti, nella storia della Chiesa, hanno interpretato il loro essere credenti. È una novità, perché coniuga dottrina e azione, andando oltre: la povertà appella chi ha bisogno, ma anche chi può porgere aiuto.
La riflessione è interamente religiosa: nessun accenno a spiegazioni sociali, economiche e politiche. Il cristiano è chiamato alla povertà da vivere e da combattere.
I riferimenti di pensiero sono tratti dalla Scrittura, dai Padri, dal Vaticano II, dai pontefici. I problemi della società moderna (le ricchezze, le disparità economiche e di genere) sono ricordate, senza tentativi di spiegazione sociale ed economica.
Le letture sociologiche della povertà sono riferite ai testi dei vescovi latino-americani. Sorprende il richiama all’elemosina, come gesto di vicinanza al povero.
Non sono date indicazioni per l’azione di cambiamento per l’agire dei singoli e delle strutture della Chiesa. Un silenzio che sembra rimandare a nuovi interventi di cambiamento. La sensazione è di un’esortazione spirituale da offrire come premessa alla conversione. Una specie di inizio da offrire al cuore dei credenti. Chi ascolta – indica l’esortazione – tragga le conseguenze del suo sentire il problema della povertà.
Nessun cenno al Sinodo in atto, che ha già posto problemi seri di strutture, di organizzazione ecclesiale, di partecipazione. Non resta che attendere perché, se è vero che la conversione è personale, ogni cambiamento va accompagnato da rivisitazioni, indicazioni prescrittive e, come hanno agito tutti i religiosi, da statuti e regole.






Purtroppo non mi sembra si faccia una analisi sulle altre varie altre forme di povertà non squisitamente materiali! Temo questo sia il limite dei papi sud-americani, ma da uno statunitense mi sarei aspettato di più!
Quello che chiamiamo “populismo” è la risposta di pancia di parte del mondo statunitense che sta scivolando verso il basso.
https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858149980
C’è povertà di “cura” soprattutto, come va di moda dire oggi.
Forse non è del tutto corretto chiamare il documento Esortazione di Papa Leone dal momento che era una bozza scritta da Papa Francesco prima di ammalarsi. Leone l’ha solo completata aggiungendo alcune frasi e alcune pagine che sembrano essere le più belle e spirituali. Poi vi ha apposto la sua firma.
Questa cosa la sanno tutti, forse andava menzionata nell’articolo
Poteva anche lasciarla nel dimenticatoio. L’ha fatta sua.
Concordo con don Vinicio sul fatto che ad una prima lettura sembra un bel testo, un testo che fa bene. Manca diciamo così una parte sulla Chiesa povera, sulla povertà nella Chiesa, una parte ecclesiologica. Perché la povertà, come ci insegnano i santi citati (in primis San Francesco d’Assisi), nella Chiesa è segno di credibilità: non hai altro che Cristo!
Molti parlano di continuità con Francesco ma tengono poco in conto che gli Agostiniani sono Stati uno dei primi ordini mendicanti. Era l’argomento della mia tesi in storia. Agostiniani, Francescani, Domenicani. Un ordine “minore” se vogliamo perché nato da piccoli gruppi di eremiti Uniti dalla regola di Agostino e privi del carisma di un fondatore come Francesco e Domenico.
Gutierrez era domenicano Leonardo Boff francescano, anche la rinascita sudamericana delle tematiche sulla povertà sono figlie di questi ordini. I Gesuiti paradossalmente sono l’ordine tridentino per eccellenza, per cui è un pò strano che si dia a Bergoglio l’esclusiva della povertà. Mi pare che la Dilexit faccia un buon excursus in quel senso. Spesso penso che Dio abbia il senso dell’umorismo..
Vabbè negli ordini mendicanti si ravvedono le prime forme di democrazia in Europa, con le elezioni democratiche nel 1200 e ben prima del sistema parlamentare inglese del 1265.
Comunque è un opera di transizione, anche con venature demagogiche. Anzi io, se fossi stato Papa, per essere sincero,e raffigurare la realtà del mondo avrei scritto direttamente Dilexi me. Altro che nos oppure te.
Qua dentro non se ne è parlato, ma il Borgo Laudato si lasciato in eredità da Bergoglio a Castelgandolfo mi ricorda un po’ le riduzioni gesuitiche in Sudamerica. Una forma di Hortus conclusus.