Pedagogie protestanti

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Il volume di Bruna Peyrot, storica e saggista, presidente della Fondazione Centro culturale valdese, è assai suggestivo, già nel titolo: Pedagogie protestanti. Dalla persona ideata alla cittadinanza costruita (Claudiana, pp. 232, € 24, disponibile anche come ebook). Si guardi innanzitutto al plurale: pedagogie. Non vi è una pedagogia protestante, è ovvio. E tuttavia non si tratta neppure, semplicemente, di autori di tradizione evangelica che si sono occupati di pedagogia. Qualcosa li lega, finendo per attraversare i loro cammini, pur tanto differenti. E qui ci aiuta il sottotitolo: quale idea di persona emerge? E come tale idea può promuovere la costruzione della cittadinanza? Sì, costruzione: cittadini non si nasce, si diventa. Così il nesso con la pedagogia, con le pedagogie acquista ancor più consistenza.

Si tratta di un libro avvincente come un romanzo, eppure i percorsi di lettura possibili sono diversi, sulla base degli interessi e della sensibilità di ciascuno e di ciascuna. Un grande racconto, nutrito da idee e autori, che non ha nulla dell’aridità che talora caratterizza i saggi. Pare quasi che i personaggi, i concetti, i secoli si rincorrano, dialogando tra loro, con Peyrot e con i lettori. Una fitta trama di pensiero, di fede e di vita.

Poniamoci in ascolto di qualche passaggio cruciale.

«[…], la nostra proposta procederà sulle tracce della tradizione protestante riformata, in particolar modo rispetto a tre dimensioni: il progressivo arricchimento dell’idea di persona, la relazione del singolo con la comunità e le battaglie, sul piano civile, per inserire l’istruzione nel corpo dei diritti. Nella storia, molte altre tradizioni culturali, non ultime il liberalismo e il socialismo, hanno affrontato queste sfide. Le tradizioni protestanti, tuttavia, sono meno conosciute; esse sembrano sciogliersi con altre alleanze sociali con le quali portare avanti istanze di emancipazione. Il nostro intento è di ritrovare nei pedagogisti – molti dei quali imprescindibili punti di riferimento per le discipline educative, come Rousseau e Pestalozzi – le eredità culturali protestanti del loro pensiero» (corsivo mio). E l’autrice vi riesce mirabilmente.

Più oltre, ella si sofferma su un concetto a cui mi sono avvicinato per il tramite dello studio del filosofo Charles Taylor: «La rivalutazione della quotidianità proposta dalla Riforma, con al centro la famiglia quale propulsore di vita evangelica, riportò l’attenzione sulla figura femminile. Con la chiusura forzata dei monasteri, preti e suore, frati e badesse furono invitati a contrarre matrimonio, un legame in cui esprimere la vocazione cristiana, dentro la quale educare i figli per condurli alla fede, un luogo insomma di reciproca solidarietà (documentata, fra l’altro, dai testamenti di molti mariti dedicati alle mogli). Con la Riforma, la “casa” diventa un nucleo di socialità evangelica, continuando idealmente l’atmosfera di altre “case” là dove gli eretici si incontravano, quando i barba valdesi, predicatori itineranti, raccoglievano intorno a sé uomini e donne per leggere clandestinamente la Bibbia». Insomma: la vocazione, come intesa nella tradizione protestante, non solo nel lavoro (l’etica calvinista del lavoro, celeberrima soprattutto grazie a Max Weber), bensì anche nella famiglia fondata sugli affetti.

E che dire, per approdare in un tempo a noi più prossimo, di John Dewey (1859-1952), nutrito dalla mentalità e dalle pratiche di democrazia e attiva partecipazione dei congregazionalisti? Ascoltiamo: «L’idea di esperienza intesa come attività del pensiero che nasce dalla manualità umana è la base della sua pedagogia, influenzata dal pragmatismo […] Si impone, di conseguenza, un equilibrio fra il sé e gli altri, fra l’individuo e il gruppo, fra la dimensione soggettiva e le regole necessarie al vivere in una collettività. Per raggiungere questa consapevolezza, tutti devono essere formati alla collaborazione». Un esempio, accanto a numerosi altri, di cosa voglia dire “cittadinanza costruita”.

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Un commento

  1. Adriano Bregolin 18 ottobre 2025

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